giovedì 31 marzo 2011

Conversazioni

Interno giorno.
Seduti scompostamente sul divano, madre (io), primogenito (Lorenzo) e secondogenito (Dario).
Sparsi ovunque, resti di pizza.
Colore delle mani del primogenito: marrone, per via di un'anteprima sull'uovo di Pasqua, smangiucchiato come dessert.
Madre: "Lorenzo, vai a sciacquarti le mani, che sono sporche."
Primogenito: "No, me le pulisci tu con lo scottex. Vallo a prendere."
Madre (visibilmente indispettita): "Chi sono io?"
Primogenito: "La mamma."
Madre: "Bravo. E quindi che cosa non sono?"
Primogenito (alzando gli occhi al cielo): "La mia serva."
Madre (soddisfatta): "Bene, e quindi?"
Primogenito (guardando la madre come se fosse andato a trovarla al centro di igiene mentale): "Quindi vado a pulirmele da solo."

Madre (rivolta al secondogenito): "Hai capito? Adesso le mani te le pulisco io, ma non per molto."
Secondogenito (sbavando): "A"


lunedì 28 marzo 2011

Bambini in festa

Vi aggiorno sul seguito del post precedente: dopo il regalo, la festa. Una sana vecchia festa di bambini di cinque anni, con i palloncini, le pizzette e il ballo della scopa. Commovente, direi. E mi sono sentita anche molto sollevata al momento dell'apertura dei regali: molti libri e una sola Barbie (che non ho visto bene, ma non mi sembrava nemmeno avesse l'abito da sera). Proprio un bel clima. Certo, poi ci vuole anche un bel momento catartico. Bisogna scaricare gli istinti repressi, assecondare la propria vitalità. E quindi, alla fine della festa, terminati tutti i giochi, i bambini si sono abbandonati a un baccanale senza precedenti: i maschi, brandendo delle spade fatte coi palloncini neri, inseguivano le loro compagne gridando: "LE FEMMINE! LE FEMMINE!" Queste ultime, terrorizzate, fuggivano come nel ratto delle Sabine, lasciando una scia di lustrini alle spalle. Magic moments.
A proposito di feste, mi è venuto in mente un episodio di un altro compleanno di circa un mese fa, in cui, organizzando le squadre per la caccia al tesoro, doveva venir nominato un capitano. Ovviamente quasi tutti volevano fare il capitano, sia i maschi, sia le femmine. Beata infanzia. Poi un bambino alza la voce più degli altri:
"Lo faccio io il capitano! Perché il capitano deve essere un maschio!"
Povero bambino, non aveva nemmeno finito di dire la frase, che un manipolo di madri è insorto in una protesta corale: "OOOOH! NON È VERO!" La veemenza è stata tale che si sono spaventate anche le bambine. Bene. Così se lo ricorderanno. A dire la verità un po' mi sono stupita di quella reazione così pronta ed energica. Sembrava che ce l'avessero sulla punta della lingua. Ma poi mi guardo intorno, e vedo che con i bambini festanti c'erano solo le madri. I padri erano in cucina a servirsi da bere. Ecco perché.
Per protesta, sono andata a bere anch'io e dopo dieci minuti ho chiesto: "Avete per caso visto dove sono i bambini?"

sabato 26 marzo 2011

"Quando sarò grande, voglio fare il bucato"

Irrompo nel vostro fine settimana perché il mio è iniziato con orrore nel solito negozio di giocattoli. Devo rettificare il mio post su Barbie e le sue lodevoli intenzioni ("When I grow up" mercoledì 27 ottobre 2010). Sembrava che con l'ultimo spot, Mattel volesse VERAMENTE contribuire a un mondo più equo. Sembrava che il personaggio di Barbie volesse VERAMENTE essere attuale e rispecchiare tutti i sogni delle donne, senza costringerle per forza a essere bellissime, principessissime, fashionissime. Sembrava che VERAMENTE se una voleva fare la pilota di elicotteri, poteva farlo. Oggi ho avuto la dimostrazione che quello spot, come tutto il mondo di Barbie, resta una distorta proiezione onirica del marketing, che ha ben poco a che vedere con la realtà in cui siamo quotidianamente calati noi.
Peccato, perché la giornata era iniziata proprio bene: sole, caldo, gabbiani in festa (e non sulla mia macchina), bambini di ottimo umore. Prendo un caffè in centro con un paio di amiche, facciamo due passi in un clima festoso in cui c'è un sacco di gente che suona in mezzo alla strada: c'è quello con la chitarra che fa musica folk, quello con il sax che fa un po' di blues, quello con la fisarmonica e quello con la pianola. Poi c'è pure un trio d'archi, che pare faccia parte dell'orchestra del teatro lirico, che con tanto di spartiti suonano arie famose. Mi ridimensiono subito: più che un clima di festa, è un clima di crisi economica, in cui ognuno cerca di sopravvivere come può. Ma non mi lascio adombrare; oggi dobbiamo comprare il regalo di compleanno per la compagna d'asilo del mio primogenito, che compie cinque anni. Interrogato al riguardo, mio figlio dice convinto che la bambina gradirebbe molto una Barbie su un cavallo.
"Ma sei sicuro che le piaccia?"
"Sì, certo"
"Ma non è che ce l'ha già?"
"Sì, ma ha solo il cavallo"
"E quindi vuole una Barbie da metterci sopra?"
"Sì, con un bel vestito da principessa"
"Ma se si veste da principessa, non credo che possa andare a cavallo poi..."
E ho iniziato a diventare pesante.
Comunque, seppur con qualche resistenza, decido di entrare nel negozio di giocattoli e di comprare una Barbie amazzone, o semplicemente cavallerizza. Già me la immagino, con gli stivali, il frustino, il cappello, una gicchetta corta di velluto e la coda di cavallo. Appunto. Penso allo spot When I grow up e mi rilasso: adesso non ci sono più soltanto le Barbie vestite a festa, o che si pettinano, o che firmano autografi. No, ci sarà il medico, il generale dell'esercito, la pittrice, la cantante rock, la scienziata. E la cavallerizza. L'ho vista la cavallerizza nello spot. C'era, me lo ricordo.
E invece.
Eccolo lo scaffale delle Barbie: Barbie principessa in blu, Barbie principessa in viola, Barbie col passeggino, Barbie bagnina di Baywatch, Barbie distesa su un morbido letto rosa, Barbie che fa il bucato (questa era talmente scioccante che l'ho fotografata).


L'unica eccezione era Barbie pilota di Ferrari, che infatti costava il triplo di tutte le altre. Della serie, se vuoi la libertà, la devi pagare.
Insomma, nei negozi la rivoluzione sessuale dello spot Mattel non sembra essere ancora arrivata. Siamo ancora al medioevo. Tante promesse, tante belle parole, ma poi? Poi niente, possiamo continuare a fare i lavori domestici. In tutto questo fra l'altro, scopro un nuovo prodotto, che si chiama "Ken il fidanzato ideale". Praticamente tu schiacci la pancia e lui registra la frase che dici (per un effetto più realistico dovrebbe dirla un uomo, o almeno il tuo compagno di asilo), e poi te la ripete a nastro. Penso all'effetto devastante sulla formazione psicologica di una bambina, che già cresce col mito fasullo del Principe Azzurro, da adesso anche con quello dell'uomo che ti dice ESATTAMENTE quello che vuoi sentirti dire. Pura fantascienza. Per dirla tutta, credo che Ken il fidanzato ideale, sia piuttosto un gadget adatto a quelle della mia età. Una sorta di pet therapy compensativa che fa bene all'autostima e all'umore. Credo lo comprerò. Prima frase: "Ma sei dimagrita?"
Comunque alla fine ho optato per un kit di creazione di collane e braccialetti, femminile ma creativo. Quella bambina un giorno mi ringrazierà.


venerdì 25 marzo 2011

Ripeto: motivatemi

Questo è un post autoreferenziale. Ma anche molto utile a capire il mio recente stato depressivo. Avete presente la scritta "standing ovation" qui a destra? Avete visto qual è il post più letto di sempre? È "Zoccole e maiali". Vi siete mai chiesti perché, da quando l'ho scritto, quel post è sempre rimasto in testa alla classifica? Inizialmente ho pensato che fosse perché avevo colto delle sfumature del linguaggio su cui la maggioranza dei lettori si è trovata pienamente d'accordo. Ho pensato di aver scritto delle cose particolarmente intelligenti. Ma qualcosa mi puzzava. E non era il pannolino del mio secondogenito.
Ho studiato un po' le statistiche di accesso a questo blog e ho scoperto alcune cose curiose. Intanto che c'è qualcuno che mi segue dalla Nigeria. Magari qualche donna che ha digitato su Google "condizioni della donna in Italia" ed è stata quindi subito dissuasa a immigrare da noi. E poi ho fatto uno studio sulle parole chiave attraverso le quali si raggiungono i miei post. Indovinate quali sono le due parole più digitate? Bravi, "zoccole" e "maiali". E infatti ecco un esempio delle ricerche che ho registrato nell'ultimo mese:
Le donne sono zoccole
Donne zoccole (e fin qua ci siamo: un classico che non stufa mai)
Donne maiali (qui abbiamo già una certa evoluzione di gusto)
Le magliale del sesso (che sono donne disinibite e un po' freddolose)
Datore di lavoro porca (variante di maiale)
Accoppiamento animali con donne (più fine)
Donne maiale in fuseaux (qui siamo proprio oltre, ma comunque apprezzo l'uso del termine old fashion "fuseaux" al posto di "leggins")
Tardone zoccole blog (in questo caso invece sale l'inquietudine: hanno voluto cercare proprio il mio blog - nei confronti del quale c'è un evidente disprezzo - oppure esiste un blog che tratta di donne di una certa età particolarmente disinibite?)

Al secondo posto tra le preferenze dei post, abbiamo "Se non ora quando - Roma, 13 febbraio". E in questo caso non ci sono secondi fini. La manifestazione ha evidentemente avuto una certa eco. Andiamo avanti e troviamo, al terzo posto, "Una bella gnocca sul calendario", il post che parlava di Oliviero Toscani e della sua geniale trovata. Ma chi ha fatto la ricerca su Google non voleva certo informazioni approfondite su quel caso, bensì:
Come rimediare una bella gnocca
Che bella gnocca (e qui mi chiedo: ma come ti viene in mente di fare una ricerca su Internet e scrivere "Che bella gnocca"? Cioè, perché quel "che" davanti? Volevi essere sicuro di trovare lo stesso entusiasmo anche nella risposta?)

Poi abbiamo il post "Tardone e tardoni". E qui, veramente, vi siete sbizzarriti.
Tardone con quattro vecchi
Blog locale liscio tardone? (così scopro che esiste un locale dove le signore ballano il liscio e che però è tecnologicamente avanzato, perché ha un blog. Così le signore magari potranno ripassarsi i passi, organizzare raduni per appassionate, ecc.)
Donne tardone su facebook (che immagino sarei io)
Milano 2011 tardone (una ricerca finalizzata)
Foto di donne tardone (chissà che spettacolo)
Tardoni (e finalmente un po' di pari opportunità!)

Poi c'è il post in cui parlavo del recente spot della nuova Twingo, in cui hanno piazzato una bella scena di lesbiche ad uso e consumo però degli uomini: "Donne (lesbiche) e motori".
Calendari donne lesbiche e motori (per quelli che il calendario Pirelli è roba da bambini)
Bionde capelli corti lesbiche (non ti sembra di essere un po' troppo esigente?)
Lesbiche al centro estetico (credo sia una categoria del porno di cui ignoravo l'esistenza)
Centro estitici x lasbiche (eh, qui l'emozione era veramente troppa, si vede dai refusi)
Video di ragazze che amoreggiano

I restanti post in classifica sono gli unici realmente letti per i contenuti che propongono, e mi prendo almeno una minima gratificazione. Concludo riportando random alcune delle altre parole chiave che mi collegano con il resto del mondo:

Burrosa Milano
Ho utilizzato clearblue (e quindi immagino non sarai mia fan)
Cartoni animati con morale l’importante non è vincere ma partecipare (non li troverai qui, purtroppo)
Depilazione e ciclo sull’isola famosi 8 (questa poi...)
Che età ha l’uomo perfetto (direi 25)
Uomini anziani escort Trieste
Avete a scuola orinatoi
Donne che vanno con prostituti maschi
Filo cucire giallo fluo
Lo stile di una signora sempre a posto
Frasi a mia figlia appena nata
Le donne vorrebbero rinascere uomo?
Donna mascolina segnali
Che siccome l’economia
Esistono cuccette promiscue
Le donne dovranno lavorare il doppio

Gli ultimi volete commentarli voi? Io ho finito le motivazioni.

martedì 22 marzo 2011

Motivatemi

Nella quinta stagione di Dexter, compare un tale Jordan Chase, che di professione fa il motivatore. In pratica è uno di quelli che ti insegnano a credere in te stesso, a prendere in mano la tua vita, a ottenere quello che vuoi. "Se vuoi qualcosa, prenditela!" Alla fine questo motivatore induce tre sfigati a rapire, stuprare e uccidere un sacco di donne. Ma non voglio rovinarvi il finale, perché quello che volevo dirvi è tutt'altro. Volevo dirvi che oggi mi servirebbe un motivatore (possibilmente che non mi stupri e non mi uccida), perché mi è venuta la recente idea di uscire un po' dall'orticello che mi sono costruita in questi ultimi mesi. In pratica ho smesso di frequentare i blog amici, quelli in cui si respira tanta solidarietà tra donne, in cui si ride insieme e si discute e in cui si esulta per la recente notizia per cui pare che le quote rosa partiranno dal 2015 e non più dal 2018, come sembrava all'inizio. E dove sono andata? Dappertutto nella rete. Senza meta. Un po' qua e un po' là. Ma soprattutto tra i commenti della gente, tra i post su Facebook, nei tweet di Twitter. Orrore e raccapriccio. Altro che Dexter.
L'esternazione più diffusa è: "Ma di cosa vi lamentate, se siete dappertutto?" Siamo dappertutto. Tipo invasione degli ultracorpi, o, per restare in tema di citazioni da teledipendente, tipo "gli altri" di Lost. Per chi non fosse appassionato di telefilm americani dell'ultima generazione, Lost racconta la storia di un equipaggio di un aereo che si schianta su un'isola tropicale. I sopravvissuti si organizzano come possono per trascorrere al meglio le loro giornate, ma ad un certo punto scoprono che sull'isola ci sono GLI ALTRI. Cioè persone che erano lì già prima di loro. Ecco, le donne, per la gran parte dei commentatori della rete, sono GLI ALTRI. Sono ovunque e prima di loro. E soprattutto, non si sa se siano buone o cattive.
Seconda osservazione molto frequente: "Voi donne comandate già". Come se azionare una lavatrice o ordinare un etto di prosciutto fossero espressioni di comando. E magari lo sono. Ma, voglio dire, se provocano una tale invidia da parte degli uomini, facciamo volentieri a cambio, eh.
La cosa sorprendente è che queste opinioni provengono dai soggetti più disparati: il comune cittadino, il poliziotto, il consigliere regionale, lo studente, l'ingegnere, l'idraulico, il manager, l'insegnante (ma di ginnastica, però). Cioè, persone che magari leggono anche. Eppure i giornali hanno più volte parlato della discriminazione di genere in Italia e in Europa. Hanno più volte scritto che le donne guadagnano in media il 20% in meno degli uomini a parità di preparazione. Hanno evidenziato il pessimo posizionamento del nostro paese nella classifica mondiale della parità di genere. E fino alla fine, in questi ultimi giorni, hanno scritto chiaramente che le donne nei CdA delle società italiane sono praticamente assenti. E non perché siano tutte morte mentre prendevano l'ascensore per arrivare in sala riunioni. Insomma, è tutto scritto. Persino sul Giornale. Ma niente. Da una parte entra e dall'altra esce. E io mi chiedo: devo stare calma e appellarmi alla tolleranza, perché in fondo si tratta semplicemente di opinioni diverse dalla mia, oppure si tratta di un fatto più grave? Dire che i negri puzzano, è un'opinione o un'istigazione al razzismo? Quanto spazio si può dare all'ignoranza? Quanto si può giustificare la persona che "non legge"?
Insomma, sono proprio demotivata. Jordan Chase, dove sei?

giovedì 17 marzo 2011

Il processo di unione

Questo è un post a tema, perché non posso eticamente sottrarmi ai festeggiamenti per l'unità d'Italia. Quindi parlerò di unione, e più in particolare, dell'unione tra Napoli e Catania. E anche tra lo stereotipo e l'idiozia. Sono legami importanti.
Questa storia va avanti già da parecchio tempo. I vigilantes della dignità della donna l'hanno già segnalata ampiamente, ne hanno parlato, inorriditi, molto approfonditamente. Ma Anna, lettrice di questo blog, mi ha fatto tornare alla memoria la querelle e credo sia il giorno ideale per rispolverarla.
Si tratta della campagna pubblicitaria di TTTLines. Ora, proviamo per un istante a diventare tutti pubblicitari e rispondiamo a questa domanda: quale metafora usiamo per dire che Napoli e Catania sono unite da un traghetto veloce? Risposta: facciamo vedere due tette dicendo che una è il Vesuvio, l'altra è l'Etna e scriviamo che i due vulcani non sono mai stati così vicini. E poi capisco mia madre che si vergogna a dire che lavoro faccio. Questo è il risultato:

A parte che l'Etna non è esattamente a Catania. Comunque è impressionante il tentativo di difesa dell'agenzia che ha pensato (pensato?) questa geniale campagna. Leggo un'intervista alla art director che ci ha lavorato su (sì, è una donna), che invece di dire: "Non posso farci niente: si sa che le tette tirano e il nostro cliente è un porco che non capisce niente di comunicazione", ci racconta, nell'ordine che:
- i seni EVOCANO i vulcani
- i vulcani sono simbolo di vita e fertilità COME i seni
- l'accostamento seno-vulcano è NATURALE
Voglio dire, è noto che ci sono un sacco di uomini che si eccitano guardando il panorama di Napoli. E io che ho sempre pensato che l'accostamento immediato al vulcano fossero le idee. Ah...le idee...
Poi leggo un'altra intervista, quella fatta alla modella della campagna, Giulia Mango, che dice: «La mia prima esperienza come modella risale ad una decina di anni fa. Venni scelta, anzi i miei piedi vennero scelti, da una azienda napoletana di calzature per il tempo libero. Dopo i piedi, le mani. Qualche anno fa ha posato — solo le dita — per una azienda orafa. Ma sono venuta fuori solo quando ho mostrato una terza ’’porzione’’ del mio corpo. Ho iniziato dalla parte sbagliata. Ma ora voglio recuperare e farmi conoscere: non più solo ’’a pezzi’’».
E allora i pezzi li metto insieme io, nella giornata dell'unità d'Italia. Da un lato c'è una donna che fa la creativa pubblicitaria e ci dice che è naturale il parallelismo tra vulcano e seno, dall'altro c'è una modella che dice di aver iniziato la sua carriera dalla parte sbagliata (mani e piedi), e che finalmente è arrivata a quella giusta (il seno). Entrambe queste donne ne escono a pezzi. Di più la prima, perché cerca di difendere l'indifendibile, e crede veramente di potercela dare a bere. E mi domando adesso con quale parallelismo inconscio ci giustifica il sequel di quella campagna:
Il babà e il cannolo, simboli di Napoli e di Catania, sono forse anch'essi portatori del concetto di VITA? Hanno forse un legame stretto con la FECONDAZIONE? Forse sì. Forse c'entra il processo di lievitazione. Chissà quante notti insonni avranno trascorso i creativi dell'agenzia per arrivare a cotale risultato.
Comunque, qui è il corpo maschile ad essere sfruttato per vendere una cosa che con la nudità non ha niente a che vedere. Lode alla par condicio. 
Vi lascio con l'ultima chicca per completare degnamente questo trittico: "Abbiamo le poppe più famose d'Italia."

In questo caso la par condicio manca ancora. Arriverà?


martedì 15 marzo 2011

Non capisco, sono incinta?

Ho un tarlo da diversi mesi a questa parte (e ho scoperto che non è solo mio, dato che se ne discute anche in rete). Una sorta di spina nel fianco di cui mi devo assolutamente liberare. Oggi potrebbe essere il giorno giusto. Prima però devo fare una premessa, perché è giusto fornirvi gli strumenti adeguati per comprendere bene quello che vi sto per dire.
Allora, avete presente l'esame per la patente? Quando dovete studiarvi i significati di tutti i cartelli stradali? Per esempio c'è quello tondo con lo sfondo azzurro e una freccia bianca che punta verso l'alto con una che invece gira a destra. Significa che hai l'obbligo di andare dritto oppure di girare a destra. Cioè, non è che puoi fare altro. Non puoi girare a sinistra per esempio. Poi c'è quello a forma di triangolo, con lo sfondo bianco e il contorno rosso e in mezzo due bambini che corrono tenendosi per mano. Ecco, quello significa che c'è una scuola nelle vicinanze e devi stare attento. Ah, che meraviglia il linguaggio simbolico: ti permette di raccontare delle storie con pochi e semplici segni grafici. È un lavoro di sintesi e di comunicazione. Certo, per capirli bisogna possedere un codice, e in genere questo codice fa parte del nostro bagaglio culturale e iconografico. Lo impariamo un po' con l'intuito e un po' con l'esperienza. E a volte ce lo spiegano anche con delle istruzioni.
Prendiamo i test di gravidanza per esempio. Sono un altro caso di linguaggio simbolico: una linea = non incinta, due linee = incinta. E me lo spiegano sul foglietto illustrativo. Mi fanno anche dei disegnini, nel caso io sia analfabeta. Vedete? Il simbolo ha la meglio sul linguaggio verbale, perché è immediato e non richiede nemmeno la terza elementare. Che cosa sarebbe il traffico in città, se al posto dei cartelli ci fossero delle scritte come: "Attenzione, poco distante da qui c'è una scuola, quindi dovresti rallentare e procedere con circospezione per evitare che dei bambini si spiaccichino sul tuo parabrezza"? Oppure: "Da qui in poi puoi scegliere se andare dritto o girare a destra. A sinistra no. Non ci puoi andare, è inutile che chiedi." È per questo motivo che a un secolo dall'invenzione dell'automobile a nessuno è mai venuto in mente di sostituire il linguaggio simbolico con quello verbale.
Tuttavia è venuto in mente ai signori della Clearblue, nota marca di test di gravidanza. Vi mostro lo spot che ha stimolato questa mia riflessione, ma sono sicura che lo conoscete bene (purtroppo è in spagnolo, perché non ho trovato la versione italiana).





I geni della Clearblue hanno deciso che il linguaggio verbale è più comprensibile di quello simbolico. Hanno creato un prodotto nuovo su questa intuizione. Hanno fatto studi, hanno pagato persone. Se fosse per Clearblue oggi leggeremmo per strada: "Attenzione, dei massi potrebbero staccarsi dalla roccia e caderti sul cofano".
A parte il principio discutibile, mi fa sempre un certo orrore il trattamento pubblicitario che coinvolge le donne. E in effetti, a ben guardare, queste donne non ne escono per nulla bene. Perché quale messaggio abbiamo da Clearblue? Ci sono tre mentecatte della media borghesia che giocano a fare le protagoniste della serie TV Lipstick Jungle (una di queste sembra realmente la controfigura di Brooke Shields). Solo che nel telefilm le tre amiche discutono di investimenti immobiliari, di amanti e di business plan. Qui invece sono molto concentrate su un problema esistenziale: "I test di gravidanza sono veramente troppo complicati". Eh sì, perché in effetti, contare una o due linee può provocare vertigini e confusione mentale. È difficile per noi donne raccapezzarci in mezzo a questo surplus di informazioni. Ma per fortuna c'è questo strumento nuovo, che è finalmente chiaro e non lascia dubbi interpretativi. Interviene poi Brooke Shields in un dialogo surreale, informando le amiche che "Domani è il giorno giusto per il concepimento". Le altre due, incredule, domandano come fa a saperlo, e lei, con sguardo un po' maliziosetto (evidentemente sta già pensando al rituale dell'accoppiamento con l'esemplare maschio), risponde: "Perché ho usato il test di ovulazione di Clearblue". Che altro non è che una sorta di metodo Ogino Knaus elettronico. Sì, insomma, una specie di termometro che va usato tipo ecoscandaglio, vuoi per fini procreativi, vuoi per fini contraccettivi. Ora, ditemi voi se non è surreale tutto questo.
Mi consolo, perché altre donne intelligenti hanno voluto chiarire prima di me la loro estraneità ai fatti. Se volete leggere una versione alternativa, e se non vi risulta troppo incomprensibile, andate qui.

martedì 8 marzo 2011

8 marzo, festa di carnevale

Oggi ho deciso di mantenere un basso profilo. Lo so che è la festa della donna e che dovrei dire qualcosa di intelligente a riguardo, ma su questo blog ogni giorno è la festa della donna (solo sul blog, peraltro). Mi viene solo spontaneo rilevare come, in questo periodo così delicato per il genere femminile, il destino abbia voluto accanirsi, offuscando parzialmente la festa, sovrapponendoci il martedì grasso, che, con la sua valenza commerciale e di disimpegno, avrà sicuramente la meglio. Lo vedo già a casa, con i miei figli, che non sanno nemmeno cosa sia una mimosa, ma conoscono perfettamente l'abbigliamento di Zorro. Le bambine in asilo non riceveranno nessun fiore, ma saranno sepolte dai coriandoli. La grande beffa del carnevale. E poi i telegiornali dovranno decidere come dividere i tre minuti a disposizione per le notizie di poco conto: un minuto e mezzo per la festa della donna, un minuto e mezzo per i carri. La guerra dei poveri.
Allora, lo scorso sabato ho portato il mio primogenito a una festa di quattro-cinquenni. Ovviamente erano tutti in maschera, e stranamente anche mio figlio ha voluto vestirsi. Dico stranamente, perché tipo due anni fa gli ho comprato un vestito da corsaro nero, che il primo anno non ha voluto mettersi perché gli faceva paura, e il secondo perché gli dava fastidio. Sì, lo so, non mi sono impegnata per niente, ripiegando su un abito banale, stereotipato e anche un po' sciatto, ma il carnevale non ha mai acceso particolarmente la mia fantasia. Comunque questa volta mio figlio non ha voluto gli stivali, né il cappello, né la spada, però la camicia e il mantello sì. Già qualcosa. Per fortuna l'avevo comprato in crescere, come fanno le brave madri previdenti. E sempre come una brava madre, mi sono pure ritrovata dopopranzo a cucire il mantello che l'anno prima, in un raptus di protesta, la dolce creatura aveva strappato. Chiaramente ci ho messo due ore, maledicendo l'assenza di "economia domestica" dalle materie della scuola dell'obbligo. Mentre giocavo alla piccola sarta, mi è venuta in mente la storia di quella madre americana che per Halloween aveva vestito il figlio di cinque anni da Daphne di Scooby Doo, generando un vespaio di polemiche. Avete presente Daphne vero? Ecco, non è propriamente il personaggio macho da cui i bambini usano travestirsi a carnevale. E mi chiedo perché. In fondo il panorama ludico di riferimento di bambini così piccoli è molto vario, però, alla fine, si vedono sempre le femminucce vestite da principesse e i maschietti da pirati o da supereroi. In questa fiera dello stereotipo mi ci metto anch'io, che ho scelto e imposto a mio figlio un vestito da corsaro (che ormai non si sa nemmeno più che cosa sia). E infatti questa mia arbitrarietà mi si è rivoltata contro. Forse mio figlio voleva vestirsi da Hello Kitty e io non ho saputo interpretare le sue esigenze. Comunque la festa è andata molto bene. I bambini hanno corso ininterrottamente per tre ore, per poi svenire privi di conoscenza ognuno nella propria macchina. A prescindere dal loro abbigliamento.
Stamattina invece, festa della donna, ho lasciato i due nani in asilo, dove ad accoglierli c'erano uno stuolo di fatine e principesse tutte sbrilluccicanti. La loro femminilità era così sfacciata che il mio primogenito è addirittura arrossito. Sicuramente quelle piccole donne oggi saranno festeggiate con il massimo dei fasti. Avranno pirati, astronauti, uomini ragno, batman, gormiti, peter pan, tutti ai loro piedi. Altro che noi, in ufficio, con un rametto striminzito di mimosa, a domandarci dove abbiamo sbagliato.
Ah, se solo mia madre all'epoca avesse vestito anche me come una principessa! Ma niente. Nel nome della parità (più inconscia che conscia) mi ha sempre imposto vestiti unisex, tipo arlecchino e pierrot. L'unica volta che ha sconfinato in un colore femminile mi ha vestita da pantera rosa. Ovvio che poi si finisca a scrivere di Donne in ritardo.

lunedì 7 marzo 2011

La semplicità dell'uomo. Terza parte: nudità

Concludo la trilogia sulla semplicità dell'uomo, rendendovi partecipi di un'altra riflessione molto profonda: rispetto alla donna, l'uomo vive in maniera molto più serena il suo corpo nudo. Ovviamente non prenderò in considerazione le ultime tendenze che vedono uomini ossessionati dal pelo in eccesso, dall'addominale scolpito, dalla pelle liscia come il culo di un bambino, del colorito "spiaggia della Sardegna anche a gennaio". No, perché credo (spero) che si tratti ancora di una minoranza. La maggioranza invece, continua a esibire con candore e a volte con orgoglio le tre P: panza, pelo e puzza.
Iniziano già da piccoli gli uomini, messi uno accanto all'altro davanti ai loro orinatoi alle scuole elementari. Avete presente come sono fatti gli orinatoi, vero? Ecco, personalmente una delle principali ragioni di felicità per essere nata donna, me l'hanno data proprio gli orinatoi. Mi sono sempre chiesta come facciano gli uomini ad espletare le loro funzioni chiacchierando col vicino di pisello. Qualche settimana fa sono andata da un cliente col mio socio, e dopo la riunione lui e il cliente sono andati in bagno. Così, fraternamente. E quando sono usciti sembravano molto più in sintonia. In pratica una pipì giova agli affari molto di più di due ore di riunione. Ho provato ad immaginare di fare la stessa cosa, di sedermi su un wc accanto a una cliente e discutere dell'arredamento del bagno, o dell'ultima campagna pubblicitaria, ma non ho potuto fare a meno di rabbrividire. Per gli uomini è diverso. Si sentono più liberi, più in contatto con la loro parte animale. Sono più sereni. A volte una donna si sente a disagio anche solo se nel bagno accanto al suo c'è un'altra persona. "Oddio, non mi avrà mica visto qualcuno entrare?"
"Naturalia non sunt turpia". "Le cose naturali non sono vergognose" mi ripete spesso mio padre. E non a caso me lo ripete lui e non mia madre. Confesso che negli anni ho lavorato molto su me stessa per abbattere il muro dell'ingiustificata pudicizia. Ferme restando le basi del decoro, tipo emanare un odore gradevole, depilarsi e non indossare nulla che possa provocare ilarità, posso dire di aver acquisito una soddisfacente serenità. Che fa rima con semplicità. Insomma, quando vado al mare non mi sento a disagio per la cellulite, esattamente come gli uomini che passeggiano sulla spiaggia non si sentono a disagio per la loro schiena rigogliosa. E poi, facendo della filosofia spicciola, trovo anche poetico questo atteggiamento maschile: siamo tutti uguali nelle nostre nudità. Ci ricordiamo che siamo esseri umani e non macchine della perfezione. Però è dura.
È dura uscire da secoli in cui la donna è sempre stata coperta in tutte le maniere. Ho delle foto (ma le avrete anche voi) in cui le mie antenate facevano il bagno vestite. E non perché erano ubriache dopo una festa di laurea. E ancora oggi, in molti paesi, la donna viene premurosamente coperta. Chissà perché poi, visto che il corpo femminile è sempre stato celebrato come la quintessenza della bellezza. L'unica deroga a queste abitudini è nel commercio. Se devi vendere qualcosa, è meglio che ti presenti con una donna nuda. Ma non voglio fare polemiche, che oggi è lunedì ed è già abbastanza difficile così.

martedì 1 marzo 2011

La semplicità dell'uomo. Seconda parte: l'allattamento

L’esempio più classico dello schema donna-dubbi/uomo-nulla, ce l’abbiamo nel caso dell’allattamento. Recentemente ho partecipato a una discussione su un blog che parlava proprio di questo: la tortura psicologica a cui milioni di donne sono sottoposte quando devono allattare. Chi ha figli mi ha capita al volo. Chi non ne ha, ora glielo spiego. Allora, tu hai appena partorito, che è come se avessi corso la maratona di New York. Solo che dopo la maratona, quando arrivi al traguardo, torni in albergo, ti fai un idromassaggio di un’ora e vai a dormire per le seguenti 12. Poi fai colazione ed esci a fare shopping. Dopo il parto invece, quando vorresti farti l’idromassaggio, ti piazzano tuo figlio in braccio perché dicono che faccia bene al bambino e alla mamma stare appiccicati, e tu hai appena letto di quella figlia che ha ammazzato i genitori e pensi che magari è stato perché appena nata non ha dormito nel letto con la mamma. Quindi ti tieni il bambino addosso. Vorresti andare in bagno, vorresti dormire, vorresti farti un panino al prosciutto, ma niente, non puoi. Dello shopping non parliamo neanche. In quel momento capisci che la tua vita è finita per sempre. Certo, è finita solo la vita che facevi prima, adesso ne hai una ancora più bella e gratificante, capisci di aver dato un senso alla tua esistenza, ti sentirai sempre completa e appagata, i figli ti danno infinite soddisfazioni e amore. Ma queste sono considerazioni che vengono soltanto dopo, con il tempo. Intanto, a poche ore dal parto, vorresti solo essere a New York. Anche solo a fare colazione. E invece la colazione la deve fare tuo figlio, che si deve attaccare al seno e nutrirsi. Sembra facile eh? Cioè, lo fanno le donne da quando erano delle scimmie. Lo fanno tutti i mammiferi. Addirittura gli ornitorinchi, che dopo aver deposto le uova, scelgono di allattare. Ed è lì che ti accorgi di non essere sola. Ti rendi subito conto che l’allattamento non è una questione tra te e tuo figlio, ma una questione di tutti. Perché TUTTI avranno qualcosa da dirti sull’allattamento. E di solito non sono mai cose positive. Iniziano in ospedale, quando la rappresentante della lega del latte (che in genere è anche un’ostetrica) ti spiega come posizionare in maniera corretta il bambino e ti comunica la Prima Grande Regola dell’Allattamento: non esiste alimento migliore del latte materno per il bambino. A questo segue il Primo Grande Corollario alla Regola dell’Allattamento: il latte in polvere è veleno. Non fai in tempo a provare la prima sensazione di tuo figlio che si nutre da te, che subito te lo portano via per la pesata. E di solito, quando te lo riportano, non ci sono mai buone notizie: “Signora, suo figlio ha avuto un calo ponderale importante”. Che se non sei sufficientemente equilibrata e non hai una sufficiente padronanza della comprensione lessicale, potresti pure farti venire un colpo: “COS’HA AVUTO MIO FIGLIO???” Niente, ha avuto che quando è nato pesava 4,350 Kg e adesso ne pesa 3,800 (i riferimenti non sono puramente casuali: cito dati vissuti). È normale, visto che quando era nella pancia, il bambino era costantemente nutrito dal sangue della mamma, e una volta uscito, gli hanno tolto (tagliato) il rubinetto. E poi il latte alle mamme viene appena dopo circa 72 ore. Prima c’è questa cosa che si chiama colostro, che, voglio dire, già il nome…Ma che non è latte. Esattamente come le uova di lompo non sono caviale. Insomma, è ovvio che il bambino cali di peso. Lo recupererà, pensi tu fiduciosa. Ma intanto all’ospedale, dopo aver appreso la Prima Grande Regola dell’Allattamento, con relativo Corollario, scopri che quando portano tuo figlio a fare le canoniche visite, gli danno pure un rinforzino di latte in polvere, perché “ha avuto il calo ponderale”. In pratica, stando a quello che ti dice la rappresentante della lega del latte, lo avvelenano. Dopo un paio di giorni torni a casa, e hai già perso il controllo della questione dell’allattamento.
A questo punto le madri si dividono in due categorie: quelle che allattano senza problemi e quelle che allattano con problemi. Quali problemi?
- Il bambino si attacca male e ti vengono le ragadi (delle specie di piaghe sanguinanti, che nemmeno le scarpe nuove senza calze ti procurano)
- Il bambino si attacca bene, ma ci rimane per ore e quando lo stacchi, grida come un maialino da latte
- Il bambino si attacca bene, ma ci sta poco e non cresce
- Tu devi tornare a lavorare
La risposta unica a tutto ciò, la risposta semplice, quella maschile insomma, sarebbe: latte in polvere. Fine della sofferenza, fine dei pianti, fine della denutrizione, fine dei problemi. E invece ti viene subito fornita la Seconda Grande Regola dell’Allattamento: ci vogliono pazienza, perseveranza e resistenza al dolore. Primo Corollario alla Seconda Regola: non esistono donne che non hanno abbastanza latte. Secondo Corollario alla Seconda Regola: se non allatti sei una cattiva madre. La storia del lavoro invece, ti taglia direttamente fuori da ogni discussione.
Quindi tu sei lì, a casa, sola, mentre il tuo compagno ha ripreso la sua vita di sempre e realizzi che quindi è solo la TUA di vita, che è finita. Cerchi di allattare questa creatura che però piange insoddisfatta e nemmeno tu ti senti un granché bene. Pensi al latte in polvere, a quanto sarebbe più veloce, indolore e soddisfacente per la fame del bambino, ma ti trattieni. Come se avessi pensato di ucciderlo. E in effetti hai pensato anche a quello. E cerchi conforto sulle riviste, sui forum, tra la gente. Tutti sono molto prodighi di consigli. Pure quelli che non hanno mai avuto figli. Ma non sai deciderti. Come quando devi scegliere i vestiti per andare a lavorare. Poi, grazie al cielo, subentra l’istinto di sopravvivenza, e con un liberatorio “Vaffanculo” fai di testa tua. Qualcuna opta per la resistenza fino alla morte (sua o del bambino) e qualcun’altra sceglie il biberon. E va a farsi un bell’idromassaggio con il bambino. Io sono una di quelle. Ho detto vaffanculo alla lega del latte, vaffanculo all’ostetrica, vaffanculo ai forum su internet, vaffanculo a tutti quelli che ti dicono che “Il latte materno è l’alimento migliore che esista per il bambino”. Perché presumo che sia anche meglio la frutta del proprio orto senza concimi e pesticidi, ma se non hai un orto, la frutta te la compri al supermercato e nessuno ti viene a dire che stai avvelenando tuo figlio. Chissà perché. Poi fai anche mente locale, e pensi che se è stata inventata la figura della balia, che aveva come funzione quella di allattare i bambini delle altre, una ragione ci sarà. Forse che qualche altra donna, prima di noi, ha avuto problemi di allattamento? Forse che una volta, senza le balie, c’erano dei bambini che morivano? E forse, senza il latte in polvere, ce ne sarebbero anche oggi.
Questo per il mio primo figlio. Per il secondo è stata una passeggiata. Ancora prima che nascesse ho comprato due scatole di latte in polvere, di cui poi, ironia della sorte, non ho avuto bisogno, fino a quando non sono tornata a lavorare, e sono stata esclusa da questo genere di discussioni.
Poi ti guardi in giro, e scopri che pure quelle che hanno fatto tutte le cose che andavano fatte, quelle che hanno seguito tutte le Grandi Regole e i loro Corollari, vengono comunque criticate. Tipo perché hanno scelto di allattare oltre i primi sei mesi del bambino. Come se ci fosse una Terza Grande Regola dell’Allattamento: okay, hai dato a tuo figlio il tuo latte, però adesso basta, eh. Su che basi non si sa. Come se questo latte prodigioso, alla lunga facesse male. Ma che fa? Scade?
Bene, in tutto questo, nel mezzo di elucubrazioni, dubbi, sofferenze e patimenti fisici e psicologici, l’uomo ti guarda con stupore e smarrimento e sembra chiedersi “Perché?” E in effetti dovremmo chiedercelo anche noi. Perché l’uomo è una creatura semplice, e dovrebbe esserlo un po’ di più anche la donna.
Fine seconda parte.