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lunedì 19 gennaio 2015

Donne in ritardo che traslocano












Cari e care, dopo quasi un anno di silenzio su questo URL (ma di infinite parole su altri), vi comunico che si è finalmente compiuta quella transizione tra il dire e il fare, tra il parlare dei ritardi delle donne e il fare qualcosa per accelerare il loro cammino verso una società finalmente paritaria. L'avevo già annunciato qui: La nuova creatura.
Ma il confronto verbale e teorico resta sempre importante, per cui da oggi possiamo continuare a parlarne sul blog di LABY, che inizia da una domanda di tipo lessicale: "Perché in Italia si fa così tanta fatica a parlare di padri? Talmente tanta che alla fine ci siamo dovuti perfino inventare un nome nuovo e cioè 'mammi'?"
Il blog "Donne in ritardo" finisce qui e inizia qui.
Buona continuazione!
Benedetta

martedì 11 marzo 2014

Meno moderazione e più rivoluzione

Sulla faccenda delle quote rosa ho poco da dire, ma quel poco lo dico con tanta rabbia e poca moderazione.
Trovo incredibile tutta questa grandissima attenzione alla reale preparazione e competenza delle donne che devono entrare in Parlamento. Questa fobia collettiva nei confronti delle donne poco preparate che dovrebbero andare a sedersi in numero pari agli uomini. Perché tutta la questione sulle quote rosa gira attorno a questo principio: obbligare il Paese ad avere la metà delle donne in Parlamento significa esporci all'impreparazione. Significa correre il rischio che vengano fatte eleggere donne "tanto per fare numero".
Ed è QUESTO il ragionamento che trovo più offensivo. Sì, perché alla base delle obiezioni che si travestono da ragionamento moderato al di là di maschilismi e femminismi, c'è in realtà un grandissimo pregiudizio. Un pregiudizio che associa alle quote rosa l'automatica impreparazione e inadeguatezza delle donne. Ancora una volta, chi dice "donna" dice "pericolo".

E quindi adesso vorrei chiedere a tutte queste persone e anche a molti di voi, da cui ho sentito questo tipo di discorso, QUANDO avete mai fatto un ragionamento del genere per le quote maschili, che di fatto sono invece radicate nel nostro Parlamento da secoli. Quand'è che vi siete preoccupati così tanto dell'eventuale impreparazione di un candidato? Quand'è che vi siete fatti lo scrupolo di impedire a certi candidati di essere eletti "solo per fare numero"? Da quando queste questioni lodevolissime sono parte dei vostri ragionamenti?
Da quando si ipotizza di rendere accessibile anche alle donne il sistema di potere. Ecco da quando.
E a me, scusate, non sembra proprio una coincidenza e la dimostrazione sta nel fatto che da oggi, archiviato il pericolo, la reale competenza e preparazione di un candidato non sarà più oggetto di dibattito.


mercoledì 5 marzo 2014

La leadership spiegata da una madre

Esiste un assioma, una legge scolpita nella pietra immaginaria di cui sono fatti i cervelli di molti, secondo cui una donna che rientra al lavoro dopo la maternità non può più essere una risorsa, ma solo un inutile - e stupido - peso.
Oggi vi spiego perché invece una donna, proprio dopo la maternità, acquisisce poteri sovrannaturali che qualsiasi top manager, per eguagliarli, si deve fare minimo dieci anni di training nell'esercito russo.

Questa settimana ero in montagna da sola coi miei figli. 4 e 7 anni.

Sapete cosa implica in termini organizzativi, una settimana bianca con due bambini?
A) Pianificazione strategica con definizione degli obiettivi.
Quali sono gli obiettivi? Analizziamoli.
Riposarmi.
Irrealistico.
Sciare.
Secondario.
Far divertire i bambini.
Fattibile a seconda delle attività pianificate. In caso di fallimento anche di una sola di queste attività, vanno calcolati i danni sul sistema nervoso (mio) ed economico per l'attivazione di esosissimi incentivi a compensazione.
Per questa ragione tutte le attività vanno pianificate prevedendo la propensione che ogni bambino avrà, in uno specifico momento, per il loro svolgimento. Può essere utile disegnare una curva di gradimento per ogni attività, che a seconda dell'orario della giornata sarà ascendente o discendente. Per esempio, pianificare l'ora di sci con il maestro ha una curva ascendente dalle 11 alle 13, ma fortemente decrescente dopo pranzo.
"Signora ho un'ora libera con il maestro Aldo alle 14:30"
Escluso.
"Dalle 9 alle 10?"
Escluso (prevedere risveglio, colazione, pipì, denti, capricci per chi si deve lavare per primo, vestizione con mutanda, calzamaglia, calzettoni, maglietta, pile, pantaloni da sci, scaldacollo, casco, guanti, mascherina con intermezzi di "Mi va stretto, mi da fastidio, mi stringe, ho sete, mi cola il naso", per finire a vestizione conclusa, scarponi compresi con "mi scappa la cacca". Il tutto, ENTRO le 8:30 di mattina).
B) Gestione del budget collegandolo a un numero impressionante di variabili.
Per esempio, quante ore di skipass dovrei calcolare al giorno? È verosimile ipotizzare mattina e pomeriggio. Solo mattina? Se sì, quante ore? Due? Tre? La fluttuazione dell'umore dei miei figli nei confronti di qualsiasi tipo di attività sportiva è molto simile a quella dei mercati dei paesi asiatici. Il lunedì potrebbero voler sciare tutto il giorno, ma la visione di un cucciolo di cane in un bar potrebbe far cambiare radicalmente lo scenario.
Evitare i bar affollati.
Quando si vedono animali, cambiare marciapiede.
C) Analisi del rischio e problem solving.
Compilare una scaletta dei bisogni primari.
Cibo.
Fare spesa per menu differenziati per 7 giorni. Bilanciare verdura, proteine e carboidrati. Prevedere merende trasportabili in zaino e mangiabili nel più breve tempo possibile per evitare che il calo ipoglicemico si trasformi in un bagno di sangue.
Quindi, NO yogurt, che implicherebbe cucchiaino sporco, pezzi di carta argentata impiastricciati e crisi di nervi nel tentativo di aprirlo.
Mi sto informando sulle pillole che usano gli astronauti in missione.
Bisogni.
Mappare tutti i bar vicini alle piste da sci e fare un calcolo mentale della strada più breve, ma anche meno faticosa per arrivarci. Per esempio, non è detto che il rifugio più vicino sia anche quello migliore, perché potrebbe avere un numero eccessivo di scalini da fare.

In ogni caso, spalare sempre la neve attorno alla macchina, prevedendo fughe in qualsiasi momento verso il pediatra più vicino.

Potrei andare avanti per ore. Anzi, per una settimana esatta.
Ma la competenza migliore che sviluppa una madre è quella della leadership. Ma non della leadership vecchio-modello, del capo che sanziona e terrorizza. No, della leadership moderna. Del capo autorevole, che tutto sa e tutto può, ma che condivide, che motiva i collaboratori e che lavora perché tutto il team raggiunga gli obiettivi comuni. Questa, cari miei, è la vera ragione per cui chi licenzia una donna perché è diventata madre fa una grandissima cazzata, perché si priva di una risorsa che improvvisamente è in grado di traghettare tutta l'azienda verso qualsiasi obiettivo di crescita.

Tratto da uno mio speech:
"Guardate che sciare non è obbligatorio. C'è un sacco di gente che non scia e sta tranquilla e beata a casa in questo momento. Tipo quel tuo compagno lì, che non scia. Quello oggi è a casa e fa i compiti in serenità. Ma chi scia, chi vuole divertirsi e scendere per le piste come un missile, SI DEVE PORTARE GLI SCI DA SOLO, CHIARO?"
Il secondogenito mi guarda con le lacrime agli occhi mentre uno sci gli scivola da una parte e l'altro si incastra tra i lacci del doposci destro. Il primogenito con aria di sfida si incammina portando gli sci come le tavole della legge.
"Dai, che siete bravi." Incoraggiamento della squadra.
"Guardate me, che mi porto i miei sci e anche le vostre racchette". Buon esempio e condivisione degli obiettivi.
"Quando arriviamo, mettiamo giù gli sci e ci scartiamo un pangocciolo". Tecnica della visualizzazione e incentivo al raggiungimento dell'obiettivo.

Sempre il secondogenito ha un cedimento psicologico: "SONOTROPPOPESANTI!"
"No no no. Non voglio sentire storie. Perché Lorenzo si sta portando i suoi sci senza fiatare…" innescare la competizione "…e comunque non c'è alternativa, altrimenti giro la macchina e torniamo a casa, e sai che lo faccio" (e quasi quasi ci spero).
Il piccolo, punto nell'orgoglio, ricomincia a camminare.
E quindi attacca il primogenito: "Ma mamma, ma quando arriviamo? Uffa…"
"Dai, arriviamo a quel cassonetto e poi ci riposiamo, ok? Lo so che siete stanchi, ma è solo abitudine. Vedrete poi come andrà meglio prossimi giorni". Capacità di entrare in empatia con il team. Comprenderlo, motivarlo, fare concessioni.
E infatti i due, al cassonetto, non si sono fermati.

All'arrivo, grande riconoscimento per lo sforzo fatto: "Bravi! Avete visto? Ce l'abbiamo fatta! E domani???" Presi dall'entusiasmo promettono: "Mamma, domani non faremo neanche una protesta!".
Perché una madre è perfetta pure per le vertenze sindacali.



domenica 2 marzo 2014

Le cattive ragazze vanno dappertutto. E poi muoiono.

“Incensurata e disoccupata. Una propensione alle relazioni pericolose. Da giovanissima aveva avuto una lunga convivenza con un albanese da cui aveva avuto due figli.”

Grazie TG1, per queste note biografiche su Lidia, la donna trovata morta accoltellata in un sottopasso della stazione di Mozzate. Grazie per averci suggerito con dovizia giornalistica la ragione per cui una donna possa finire ragionevolmente ammazzata. Grazie per la funzione educativa verso tutte le altre cattive ragazze: siamo tutte avvisate.


lunedì 24 febbraio 2014

Che orrore quella Ministra!

Una donna all'ottavo mese di gravidanza è diventata Ministra della Pubblica amministrazione e semplificazione. Si chiama Marianna Madia e prima di oggi nessuno si era preoccupato molto di lei. Ma quel pancione...sì, quella cosa così grande che ti impedisce di vedere tutto il resto, ha monopolizzato ogni conversazione. Marianna Madia ha smesso di essere una donna, una professionista, una politica, una Ministra e infine, una persona, da quando ci siamo accorti che è incinta. Adesso è "solo" mamma, con tutto ciò che ne consegue: una mamma fa la mamma, non fa altro. Una mamma non lavora, non va in giro, non può e non deve fare altro che pensare alla sua maternità e soprattutto, ma che lo dico a fare, non può fare la Ministra.
Che orrore Marianna Madia che fa la Ministra!
"Come farà a lavorare seriamente con un figlio appena nato?" Dicono quelli che pensano che la maternità sia una malattia che ti fa diventare improvvisamente cretina.
"Come farà a prendersi cura del bambino se fa un lavoro di responsabilità?" Dicono quelli che pensano che il lavoro sia un ostacolo per il corretto allevamento dei figli.
"Come farà ad andare avanti in mezzo a tutta questa gente che si fa i cazzi suoi?" Dico io.

E dico anche: "Nella storia istituzionale italiana ci saranno pur stati altri ministri che hanno iniziato il loro incarico pochi mesi prima di diventare padri. Eppure nessuno si è mai preso la briga di farne argomento di conversazione. Evidentemente non fa così orrore che un uomo che sta per diventare padre accetti un impegno istituzionale. In sostanza non fa orrore che un padre stia lontano dai suoi figli. A me invece, un ministro così farebbe orrore. Ma magari quel padre-ministro si è organizzato. Magari la moglie si trasferisce a Roma per i primi mesi. E magari, anche per una donna può essere così. Magari Marianna Madia ha un compagno presente che la aiuterà nella gestione del figlio. Magari, per una volta, siamo di fronte a due genitori, anziché soltanto davanti a una madre che si deve smazzare da sola ogni singolo aspetto che riguarda il figlio. O magari si è semplicemente organizzata con delle brave tate. Perché no, se se lo può permettere? Ogni donna dovrebbe essere messa in grado di 'potersi organizzare', a prescindere dal lavoro che fa. Ogni donna ma anche ogni uomo."

Sulla vicenda, che per me non è una vicenda, non ho altro da dire. Discutiamo un po' meno della vita familiare dei Ministri e un po' più di quella professionale.


martedì 7 gennaio 2014

P&G pensa alle madri separate

Ho già parlato qui del rapporto che P&G vorrebbe avere con tutte le mamme del mondo. Ho già protestato contro l'immagine della mamma che DA SOLA si sobbarca tutti i lavori domestici, DA SOLA cresce i figli e sempre DA SOLA li fa pure diventare campioni olimpici. Ho protestato anche a nome di tutti quei padri che dicono: "Hey! Ma non è così!!! Anche io porto mio figlio ad allenamento, gli preparo la cena e carico la lavatrice!" Ma niente, a P&G l'opzione che esistano anche i padri e che questi padri possano essere attivi nelle famiglie proprio non piace. Meglio insistere sullo stereotipo della donna/mamma che fa tutto da sola. Perché si sa, le donne sono multitasking e i fustini di detersivo si vendono meglio a loro.

Adesso esce il sequel di quello spot che in molte, troppe, ha suscitato lacrime di commozione.



E mi è venuta l'illuminazione. Non avevo capito niente. Pensavo che P&G fosse la classica multinazionale che si nutre del marketing più conservatore e generalista. Pensavo che la sua comunicazione fosse un ostacolo culturale al lento e difficile processo verso la parità di genere, verso il superamento degli stereotipi. E invece mi sbagliavo: P&G in realtà promuove un reale cambiamento della società verso nuovi modelli di famiglia.
Sì, perché finalmente si parla a una categoria di donne che non sono mai considerate nella comunicazione italiana e forse nemmeno in quella estera: le donne separate.
E allora sì! Essere una donna separata non ti emargina dalla società! Guarda donna separata: sei forte anche se sei da sola! Insegni ai tuoi figli che si può anche cadere ma che l'importante è rialzarsi! Un bellissimo messaggio di coraggio. Pensate che rivoluzione: non è più la famiglia tradizionale al centro di una comunicazione di una delle multinazionali che investono di più al mondo in comunicazione, ma è un modello nuovo, indipendente.
Le donne, che in caso di separazione sono in genere quelle più svantaggiate, adesso hanno uno sponsor importante. Uno sponsor che le incoraggia e dice loro che possono sempre farcela, che possono sempre rialzarsi, esattamente come insegnano loro ai figli.

Vabbè dai, la smetto, che quasi quasi mi convinco da sola.

P.S.: aggiungo un chiarimento "postumo". Siccome mi stanno arrivando commenti entusiastici su questa cosa delle mamme separate, sono costretta a specificare che si tratta di una mia personale provocazione e che non c'è evidentemente alcuna intenzione da parte dell'azienda di fare un salto così audace. Purtroppo le cose restano come sono sempre state: l'azienda inscena le mamme nel loro ruolo più classico, che è quello di donne che si occupano dei figli e della cura della casa e comprano i prodotti P&G. I padri probabilmente sono tutti al lavoro.


venerdì 27 settembre 2013

La buona vecchia tradizione del rogo

Negli ultimi anni in Italia, ogni pubblicitario che si rispetti ha dovuto misurarsi con il più celebre dei binomi, quello che deve assolutamente accompagnare la filosofia di ogni prodotto, di ogni servizio, di ogni azienda, piccola, media, grande, nuova o vecchia che sia. Un binomio che può accomunare un produttore di gelati con un designer di bidet. Un binomio che sta bene su tutto, come una donna nuda per intenderci.
Il binomio "tradizione e innovazione".
Ora, sono sicura che nella vostra vita anche voi avrete i vostri bei grattacapi sul lavoro e non voglio di certo sminuirli adesso, ma veramente: non avete idea di che cosa significhi per un creativo che lavora in pubblicità dover tradurre in parole e immagini il concetto "tradizione e innovazione". Una volta ho lavorato per un'azienda che fa tappi di sughero e non vi dico tutte le idee che ci sono venute in mente per "sistemare" quei tappi in maniera tradizionale ma innovativa. Nessuna di queste era pubblicabile, ovviamente.
Per fortuna ultimamente le cose stanno migliorando: questo pauroso senso di bilico tra passato e futuro sta scomparendo. Gli imprenditori italiani e con loro molti responsabili marketing hanno capito che era molto pericoloso tenere la gente in sospeso tra ieri e domani. E così, il concetto di innovazione è stato soppresso e ci siamo tenuti quello di tradizione. Vuoi mettere la sicurezza? La stabilità? Solidità, certezza? I valori? Dove sono i valori di un tempo? Un tempo, quando si stava veramente bene.

Ed ecco che negli ultimi tre giorni abbiamo assistito alla santificazione della Tradizione. La Tradizione è salvezza, la Tradizione è vita. Ci siamo ridotti così perché per un attimo ci siamo dimenticati del nostro passato, abbiamo ceduto all'innovazione e guarda adesso come siamo combinati!
Tutti, intellettuali, giornalisti, menti illuminate, hanno per un attimo abbracciato la sicurezza della tradizione quando la Presidente della Camera ha sollevato il caso della pubblicità italiana. Che, diciamocelo, anche se è contro i miei interessi, fa veramente cagare. E che cosa ha detto Laura Boldrini di tanto scandaloso? Qual è stato il suo odioso attacco alla Tradizione?
Ha detto che quando una donna, negli spot televisivi, viene rappresentata sempre e solo come una mamma che serve la cena a tavola oppure come corpo da associare a qualsiasi prodotto, beh, c'è qualche domanda da farsi.
Ommioddio.
La Presidente della Camera ha raccontato una verità che sfido chiunque a contestare: la donna nella pubblicità italiana viene rappresentata principalmente in due modi: madre/casalinga oppure tigre del materasso. Questo è parte di un problema culturale enorme che tocca tantissimi aspetti della nostra società, dal fatto che le donne guadagnano meno degli uomini, che non riescono a fare carriera, che devono scegliere tra figli e lavoro, che devono firmare dimissioni in bianco, al fatto che vengono molestate, stuprate e uccise quando vogliono semplicemente farsi i beati cavoli loro. Il modo in cui si rappresentano le donne sui media e il modo in cui se ne parla è un problema serio.

Però è la Tradizione, baby. Insomma, si è sempre fatto così. Ma cosa vuole la Boldrini? Le mamme cucinano da sempre, perché "servire è amore" ha detto qualcuno su Twitter. Perché tutti abbiamo una nonna o una mamma che hanno preparato dei piatti prelibatissimi di cui andavano orgogliose. Qual è il problema? Non vorrete mica toglierci i pilastri della società italiana? Mamma mia che paura: la Boldrini lancia messaggi troppo innovativi per essere compresi. L'innovazione è morta, resta solo la Tradizione. E alla Tradizione non piace che si parli male degli spot con le mamme che servono a tavola. Alla Tradizione non piace che negli spot possano essere rappresentate donne che lavorano o che studiano. Cosa sono queste diavolerie?

E arriva pure l'industria italiana a dare manforte all'esercito dei portatori dei sani valori di un tempo, e lo fa parlando della TRADIZIONALE famiglia italiana, quella in cui le donne servono a tavola e sono tutti eterosessuali. Grazie a Guido Barilla, noi pubblicitari siamo finalmente e definitivamente salvi dall'orrido binomio "tradizione e innovazione". Grazie a lui e a tutti quelli che si battono per difendere tutto il nostro passato remoto - per lo più onirico, a dire la verità - possiamo dimenticarci della parola "innovazione". Oh, quant'è rassicurante sapere che si torna a casa e ci sarà la televisione accesa sul TG1 e la mamma che ci serve la pasta al sugo e tutti i problemi del mondo restano fuori: froci, negri, puttane, disoccupati, musulmani e zingari.

Sì, è vero, ogni azienda deve scegliersi bene il suo target. Barilla è liberissima di scegliere quello ariano. Non discuto su questo. Discuto però sullo sbandieramento di un nuovo, terrificante binomio, un binomio che è emerso fortissimo in questi ultimi giorni e che ci fa rimpiangere quello vecchio. È il binomio Tradizione e orgoglio. Perché la Tradizione, rimasta senza l'innovazione, adesso incarna il bene assoluto. Il nostro passato è il bene assoluto. Ma prima di gioire, guarderei bene di cosa è fatto questo passato e soprattutto a quale presente ci ha condotti.

Ora scusate, ma prima che io venga bruciata al rogo secondo tradizione, torno a lavorare, finché quei pochi innovatori rimasti me ne danno la possibilità.

mercoledì 18 settembre 2013

La rivoluzione delle penne

Ho parlato altre volte dei geni del marketing che spesso allietano la nostra vita con scelte originali.  BIC non ha voluto essere da meno e si è sentita in dovere di regalare al mercato un nuovo, rivoluzionario prodotto: la penna per le donne.
Questa volta farò parlare chi ha sollevato il caso prima di me: Ellen DeGeneres. Io non avrei saputo dirlo meglio:



Ora che possiamo finalmente scrivere a nostro agio, non ci manca più niente.
Corro a comprarle!

venerdì 30 agosto 2013

"Non piangere"

Avete presente quel fenomeno strano per cui, quando siete a piedi per strada odiate tutte le macchine che vi passano a destra e sinistra e quando invece siete seduti voi in macchina, nel preciso istante in cui mettete in moto, il pedone diventa il vostro peggior nemico? Ecco, la stessa cosa a me succede coi bambini.
Che sia chiaro, io amo i miei figli. Adoro passare le vacanze con loro. Quest'anno ci siamo divertiti un sacco al mare: abbiamo riso come matti, abbiamo guidato i quad come i re dei tamarri, abbiamo fatto casino insieme e ci siamo voluti un gran bene, la sera, facendoci le coccole prima di dormire. Adoro le mie creature, veramente. Ma poi, capita magari un weekend con le amiche, o una trasferta di lavoro da sola e mi trasformo immediatamente in Crudelia De Mon. Odio i bambini che piangono in treno, quelli che piangono al ristorante, che piangono in spiaggia, al bar, al supermercato, che piangono ovunque! Confesso che se sono sola al mare, scelgo il posto più lontano possibile dalle tracce di presenza infantile. Quando prendo un treno, trasalisco quando vedo un passeggino nel mio scompartimento. E guardo con orrore quelle madri (perché nel nostro paese sono sempre ancora le madri che stanno coi figli) che si affannano a inseguire quei bambini, a pulirli, a dare loro da mangiare, a farli giocare, a farli smettere di piangere. Le guardo e penso a tutte le volte che vengo guardata anch'io così, mentre il mio primogenito vomita nel sacchetto per il mal di mare e il secondogenito grida perché vorrebbe essere a letto da tre ore. E penso che le donne che mi guardano con disappunto sono altre madri che a loro volta si prendono i loro 5 minuti di soddisfazione. 

Insomma, sono un mostro, lo so. E in mezzo a questa mia mostruosità, ci sono i bambini, poveri esseri inconsapevoli e innocenti che non possono fare altro che piangere di fronte alle brutture di questo mondo, compresa la mia.
Sì, perché i bambini piangono. Che scoperta, eh? I bambini non ti dicono: "Guarda, sono rimasto molto deluso dal fatto che non ci fosse il budget per il nuovo Trenino Thomas". No, i bambini piangono. Non ti dicono: "Vorrei schedulare la nostra giornata in maniera diversa dall'asilo". Non ti dicono nemmeno "Questi spaghetti hanno un retrogusto esotico". Piangono, piangono e basta. È l'unico modo che hanno per esprimersi, per manifestare i loro sentimenti, per sfogarsi. E invece noi che facciamo? Qual è la frase più ricorrente di un genitore medio? "Dai, non piangere (tantomeno in treno, o in un luogo pubblico)". Questa cosa poi, prosegue in maniera differenziata per maschi e femmine. Il maschio è bene che non parli dei propri sentimenti, che non li esprima. Il maschio dovrebbe smettere presto di piangere. Per le femmine invece c'è più indulgenza. Anzi, le femmine sono così, sempre un po' isteriche, perché ci hanno gli ormoni e non ragionano e ce le teniamo così. E molte femmine quando crescono, tengono un diario, chiuso con un lucchetto, che le madri più smaliziate imparano a rintracciare e a scassinare senza lasciare traccia dell'effrazione. Sul diario si incanalano emozioni, paure, lacrime, gioie. Nei diari delle femmine ci sono pezzi autentici di vita vissuta, sentimenti allo stato puro. 
E i maschi? I maschi non tengono diari. L'ho scoperto quando mia madre ha deciso di regalare al mio primogenito un diario su cui lui potesse appuntare i suoi pensieri. "Così si esercita a scrivere" mi ha detto, coerentemente con il suo ruolo di professoressa d'italiano e latino in pensione (e con il ruolo di rompiballe). Mia madre quel diario ha fatto fatica a trovarlo. Dice che ci sono solo diari di Barbie, Winx, Hello Kitty, dice che sono tutti rosa e parlano alle bambine. Alla fine ne ha trovato solo uno unisex, e l'ha preso:

Il diario del Piccolo principe. Carino eh. Con lucchetto. Ovviamente è importato dalla Francia, dove evidentemente i maschi sono liberi di tenere un diario.
E allora penso che se i bambini maschi fossero liberi e magari anche incoraggiati a esprimere i loro sentimenti, anziché a reprimerli o far finta che non esistano, magari la futura generazione di adulti potrebbe essere un pelo migliore di quella attuale. Magari ci sarebbero meno uomini tristi e frustrati. Magari ci sarebbero uomini più consapevoli perché hanno imparato a verbalizzare per iscritto i loro sentimenti. Magari ci sarebbero meno omofobi, meno misogini, in generale meno stronzi in giro. Chissà. Magari un diario può contribuire a fare la differenza. 

Lorenzo ha iniziato a scrivere. A matita, perché dice che così quando finisce lo spazio, può cancellare e scrivere di nuovo. Perché oltre alle pari opportunità gli stiamo insegnando anche l'ecologia.

Povera creatura.

venerdì 23 agosto 2013

Ragazze ininterrotte

Sono passati quasi due mesi dall'ultimo mio post, il che farebbe inorridire qualsiasi analista di social strategy, ma siccome non devo vendere niente, posso permettermi di dire "chissenefrega". Però un attimo, "chissenefrega" fino a un certo punto, perché in realtà non sto attraversando un periodo di perdita di interesse o di scarsa motivazione. Non mi sono stufata di scrivere su temi legati alle questioni di genere, né ho smesso di occuparmene. In realtà, la causa del mio recente silenzio è proprio l'opposto (sì, vabbè, ho fatto tre settimane di ferie, ma che c'entra). In realtà sono stata meno a scrivere e più ad agire. Perché arriva un momento nella vita di ognuno di noi, in cui, dopo aver segnalato un problema, bisogna fare qualcosa per risolverlo. Cioè, non si può mica stare a segnalare per tutta la vita, no?
Posto che credo comunque molto nell'attività di denuncia di questo e di altri blog e che quindi non smetterò mai di parlarne, ho avuto voglia di realizzare alcune idee che mi sono venute strada facendo.

Oggi vi parlo della prima idea, che adesso si è concretizzata in un vero e proprio progetto.
Per inquadrare il campo di intervento, vi racconterò un eloquente episodio vacanziero.

Esterno giorno.
Spiaggia.
Temperatura esterna: 2000 gradi.
Temperatura del mare: appena sotto la soglia dell'evaporazione.
Unica strategia anti caldo vincente: praticare l'immobilismo assoluto.
Velocità bioritmo: zero.
Velocità metabolismo: zero (il che significa quindi assimilazione istantanea anche delle calorie degli esseri viventi circostanti).
Encefalogramma: piatto.
Unica attività intellettuale: costante osservazione sociologica sul campo.
Soggetti osservati: famiglia italiana media, composta da padre, madre, figlia dodicenne.
La ragione per cui ho osservato solo questa famiglia è che sono stati anche loro immobili per otto ore di fila e questo per me è stato molto rassicurante.

Evento della giornata: verso le sei e mezza di sera, mentre iniziamo un po' tutti a sbaraccare le nostre postazioni balneari, regalando finalmente a quella spiaggia una parvenza di vitalità, succede qualcosa.
Un signore dell'ombrellone vicino, che evidentemente si è dedicato alla mia stessa attività, è andato a congratularsi personalmente con la madre della famiglia italiana media.

"Guardi, le devo dire che ha una figlia BRA-VIS-SI-MA. L'ho osservata, sa? Braaava, buooona, è stata tutto il giorno tranquilla, ha letto, è stata con voi...Io invece ho un maschio, sa? Ah, i maschi, che invece non stanno fermi un attimo..."

La signora ha incassato elegantemente, anche con un certo compiacimento. Io a quel punto, vigile come un felino di notte, guardo la ragazza per scrutarne la reazione. Ed eccola lì, l'espressione che mi ha dato la soddisfazione più grande di tutta la vacanza. Che mi ha riempito di orgoglio, che mi ha fatto pensare che sì, sono sulla strada giusta, e sì, è il momento di fare qualcosa di concreto.
L'espressione è la stessa che balenava negli occhi di Angelina Jolie in Ragazze interrotte. Per l'esattezza, questa:


È quell'espressione che anche io, da giovane, da piccola, avevo spesso, un'espressione eloquente, che si può tradurre più o meno così: "Attento, che se scopro qual è la tua auto familiare di merda, te la faccio diventare una Panda, facendoci sbattere la tua testa vuota".

Quell'espressione racconta una realtà molto diversa da quella di cui sembrano compiacersi ancora molte persone oggi. Una realtà che non corrisponde allo stereotipo delle ragazze brave, belle e buone che non danno pensieri ai genitori. La realtà che vuole che le ragazze si comportino in modo decoroso, che restino il più possibile invisibili, che non si facciano sentire. Come un soprammobile per esempio. Come un complemento d'arredo, che si guarda e si ammira per la sua eleganza e il suo abbinamento al resto della casa e che bagnanti qualsiasi si sentono in dovere di elogiare.
Quel signore è andato a congratularsi apposta con quella madre, per le virtù della figlia. Ed era un uomo con una certa posizione, si vedeva, con una certa cultura, la cultura italiana. E quel che preoccupa di più è che quell'uomo ha un figlio maschio. "Esuberante" diceva lui. E beato lui, dico io. E deve averlo pensato anche quella ragazza di dodici anni, che magari avrebbe voluto essere libera di lasciarsi andare come un maschio, senza rischiare di essere rinchiusa in un istituto per ragazze interrotte.

E allora penso che quell'idea che mi frullava in testa da tempo, che adesso è diventata un progetto e che vuole iniziare a educare fin da piccoli i bambini (maschi e femmine) a sentirsi liberi di scegliere i propri giochi e il proprio modo di essere, è un'idea sensata. E deve averlo pensato anche la commissione della mia Regione, che ha deciso di finanziare questo progetto, che si chiamerà "Pari o dispari? Il gioco del rispetto" e che partirà quest'anno scolastico, in quattro asili pilota del Friuli Venezia Giulia, con la distribuzione di kit didattici che insegneranno ai bambini, attraverso il gioco, a superare gli stereotipi e a rispettare la differenza di genere. Così che in futuro, se un dodicenne maschio vorrà essere bravo e buono, potrà farlo senza dubitare della sua identità di maschio e allo stesso modo, se una ragazza vorrà giocare a calcetto sulla spiaggia (o spaccare la faccia a chi glielo vorrà impedire), non si sentirà sbagliata.
L'ho scritto tante volte su questo blog: bisogna partire dall'educazione, dai bambini. Ma non dalle scuole medie, non dalle elementari, quando sono già tutti divisi tra rosa e azzurro. Bisogna iniziare dagli asili, scardinando in tempo gli stereotipi che vogliono le femminucce brave e i maschietti avventurosi.
E quindi adesso iniziamo.

P.S.: il progetto ha potuto vedere la luce grazie a Daniela Paci, insegnante della scuola dell'infanzia, e a Lucia Beltramini, psicologa, che supportano scientificamente e professionalmente questa idea.

venerdì 7 giugno 2013

"Ho un fucile, una vanga e due ettari dietro casa"


Ciao Benedetta, 

gira questa cosa su Facebook. Fa ridere no? Il papà che minaccia di morte il ragazzetto della figlia, che vuole come risposta "presto Signore", che richiede lavori in cambio di un'uscita con la figlia. Fa ridere no? no? no. A me no. Mah, sarà che forse non capisco, ho due bimbi maschi. Ma che è questo attaccamento "protettivo" verso le figlie femmine? Non riesco bene a mettere in parole il fastidio che mi dà. Ho proprio difficoltà. Che cos'è? Un ennesimo tentativo di mostrare la ragazza fragile che ha bisogno dell'uomo (padre o marito)? Che da sola non se la sa cavare. O addirittura il diritto di decidere i termini delle uscite della figlia? per "proteggerla" perché una donna non può essere indipendente, ma sempre protetta... Non so, ho difficoltà. 

Ma so che la cosa che mi ha infastidito di più sono stati i commenti di miei amici (donne e uomini) che fanno battute, dicono che alla figlia regaleranno il burka, che queste regole saranno appese sulla porta di casa. E mi sei venuta in mente te... Vorrei tanto sapere come la pensi te, e soprattutto vorrei farti una domanda, non ti sembra che anche questo sia un sintomo della donna oggetto? Non solo oggetto di pubblicità volgari e irreali, ma anche oggetto dell'uomo, fidanzato, ex, marito, e stavolta anche padre? 

Ilaria

Lascio a voi la risposta. Che ne pensate?


lunedì 20 maggio 2013

#TISALUTO

In Italia l'insulto sessista è pratica comune e diffusa. Dalle battute private agli sfottò pubblici, il sessismo si annida in modo più o meno esplicito in innumerevoli conversazioni.

Spesso abbiamo subito commenti misogini, dalle considerazioni sul nostro aspetto fisico allo scopo di intimidirci e di ricondurci alla condizione di oggetto, al violento rifiuto di ogni manifestazione di soggettività e di autonomia di giudizio.

In Italia l'insulto sessista è pratica comune perché è socialmente accettato e amplificato dai media, che all'umiliazione delle persone, soprattutto delle donne, ci hanno abituato da tempo.

Ma il sessismo è una forma di discriminazione e come tale va combattuto.

A gennaio di quest'anno il calciatore Kevin Prince Boateng, fischiato e insultato da cori razzisti, ha lasciato il campo. E i suoi compagni hanno fatto altrettanto.
Mario Balotelli minaccia di fare la stessa cosa.

L'abbandono in massa del campo è un gesto forte. Significa: a queste regole del gioco, noi non ci stiamo. Senza rispetto, noi non ci stiamo.
L'abbandono in massa consapevole può diventare una forma di attivismo che toglie potere ai violenti, isolandoli.

Pensate se di fronte a una battuta sessista tutte le donne e gli uomini di buona volontà si alzassero abbandonando programmi, trasmissioni tv o semplici conversazioni.

Pensate se donne e uomini di buona volontà non partecipassero a convegni, iniziative e trasmissioni che prevedono solo relatori uomini, o quasi (le occasioni sono quotidiane).
Pensate se in Rete abbandonassero il dialogo, usando due semplici parole: #tisaluto.

Sarebbe un modo pubblico per dire: noi non ci stiamo. O rispettate le donne o noi, a queste regole del gioco, non ci stiamo.

Se è dai piccoli gesti che si comincia a costruire una società civile, proviamo a farne uno molto semplice.
Andiamocene. E diciamo #tisaluto.



E nella versione maschile da Lorenzo Gasparrini.


Se ti va, copincollalo anche tu!


lunedì 13 maggio 2013

Finalmente delle belle donne in pubblicità

Finalmente c'è l'occasione di pubblicare una bella campagna che abbia come soggetto una donna. Ecco, questo è uno di quei casi in cui mi sento orgogliosa di appartenere alla categoria dei professionisti della comunicazione e in particolare dei creativi.
Lode a Lara Rodriguez e Giorgio Fresi (Tbwa), che hanno dato voce e immagine a questa bella campagna per la petizione dell'ADCI - Art Directors Club Italiano, per fermare la pubblicità sessista.
A questo punto non vi resta che firmare qui.





venerdì 10 maggio 2013

Scoprire che i tuoi figli ti odiano

C'è stato un tempo in cui per la festa della mamma curavo i testi delle campagne pubblicitarie per l'AIRC - Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro. Bei tempi quando lavoravo in agenzia e i miei principali strumenti di lavoro erano la carta e la penna. E bei tempi quando la mamma era festeggiata facendo anche un'opera di beneficenza: uscivi la domenica, andavi in piazza, ti compravi un'azalea e facevi commuovere tua madre aiutando contemporaneamente l'AIRC.
Attenzione, questa cosa la si può ancora fare eh. Si può ancora comprare una piantina, finanziare la ricerca e fare un bel regalo alla mamma. Informatevi qui. Il problema è che io non lavoro più con carta e penna, ma soprattutto con la mania dei social network e della corsa alla viralità a tutti i costi, ci dobbiamo sorbire anche questo:


Cioè, io non è che mi voglia per forza accanire contro P&G. Ma me le servono tutte su un piatto d'argento! Per chi si fosse perso le puntate precedenti, P&G ha iniziato a occuparsi di madri in occasione delle olimpiadi, mandando in circolazione un video virale in cui si vedevano madri di tutto il mondo che si facevano il mazzo a lavare, stirare, cucinare, pulire la casa e far diventare i loro figli dei campioni olimpionici. La lacrima scattava facile alla fine del video quando queste madri orgogliose vedevano le loro creature cresciute vincere delle medaglie. Il messaggio intrinseco dell'azienda era: cara mamma, noi ti saremo sempre vicini con i nostri prodotti tutte le volte che dovrai pulire il cesso di casa e stirare le magliette dei tuoi figli. Ovviamente in tutto questo i padri non esistevano, e si dava per assodato il fatto che bambini olimpionici e case pulite fossero da statuto questioni di donne.

A confermare la linea di marketing arriva poi la campagna stampa che mostra un uomo che si sbrodola facendo colazione esattamente come quando aveva due anni. E indovinate chi è che pulirà col Dash la macchia? Bravi, una donna.

Ed eccoci qui, alla vigilia della festa della mamma. E la solita azienda non manca di ricordarci quale sia il ruolo delle madri di oggi: quello di tenere la casa pulita, fare il bucato, accudire i figli (attenzione: sempre da un punto di vista pratico e di igiene, perché probabilmente il gioco è roba da padri). Ma la cosa che fa orrore è che si usino strumentalmente dei bambini per dire una cosa sostanzialmente sbagliata, perché l'amore che questi bambini hanno per le loro mamme sicuramente non dipende da quanto ben fatti siano i lavori domestici! L'amore dei figli per le mamme è un amore che nasce da ben altri piani e il fatto che si voglia piazzare a tutti i costi un detersivo in mezzo a questo amore lo trovo terribile. Non solo, ma anche qui la donna viene ridotta al solito vecchio ruolo stereotipato della casalinga, e la cosa peggiore è che vi si fa coincidere anche quello della mamma.
Dice la bambina alla fine: "E come potrei smettere di amare la mamma?" Risposta di P&G: per esempio se lei non facesse più il bucato.
Questa è una gran brutta campagna per le donne e per le mamme. E per me è un gran brutto momento, perché scopro che i miei figli non mi vorranno mai bene.


giovedì 9 maggio 2013

Come essere felici a prescindere dai risultati




Un giorno, tra un'email e l'altra, trovo un invito curioso. Mi scrive Claudia, che si occupa di social media in Mondadori e in copia mette pure il responsabile social media in Mondadori. Roba seria, penso. Claudia mi dice che mercoledì 8 maggio avverrà una cosa pazzesca mai vista prima al mondo, e cioè il rilancio contemporaneo di tre, dico tre, periodici femminili di Mondadori. Mi dice che parlerà l'AD di Mondadori e poi le direttrici di Donna Moderna, Tu Style e Grazia e che verrà dato ampio spazio a una chiacchierata tra donne sul loro ruolo oggi, e che questa chiacchierata potrà poi proseguire durante il light lunch che verrà predisposto nello spazio eventi di Mondadori in Duomo.
Ora, a parte la mia indignazione per l'aggettivo "light" accostato a "lunch", la curiosità per cotanto evento mi ha spinta a rispondere immediatamente, tanto più che proprio quel giorno sarei stata già a Milano.
E così, carica dei miei consueti e sani pregiudizi, mi sono recata all'appuntamento, dove, come ha rilevato Valentina Maran "Sembra di stare dentro al 'Diavolo veste Prada' tutte col completo giusto". Tranne noi due, ovviamente, ma questo era scontato.
Vi dirò, essere seduta lì poteva anche essere un'esperienza professionalmente piacevole, se non fosse per il fatto che ero lì in quanto Benedetta Gargiulo di Donne in ritardo, e quindi in sostanza come la solita rompicoglioni, ruolo al quale non mi sono eticamente sentita di sottrarmi.
E allora eccolo il mio commento a questa operazione che nemmeno il terzo segreto di Fatima riesce ad eguagliare.
1) Presentano l'operazione nell'ordine: Ernesto Mauri, AD Mondadori, Carlo Mandelli, direttore generale periodici Italia, Angelo Sajeva, AD Mondadori pubblicità. Tre uomini in posizioni apicali che gestiscono il mondo dei più letti femminili italiani. Uomini. Tre. POI, arrivano le donne, le tre direttrici di Donna Moderna, Tu Style e Grazia. Quelle che stanno sul campo. Quelle che fanno splendere la casa così i mariti fanno bella figura con gli ospiti. Uh, che cattiva. Ma no, è solo per dire che c'è ancora un certo dislivello di genere tra una posizione e l'altra.
2) Non ho capito perché nella segmentazione di mercato, tra i periodici maschili è annoverato Panorama. Come dire: delle cose serie se ne occupano gli uomini. Che poi mi fa strano perché nella mia vita ho sicuramente letto più Panorama che Donna Moderna. Per dire.
3) Originalissima battuta sul trovarsi davanti a una platea da sogno e cioè a grande maggioranza di donne. E tutti giù a darsi di gomito. Non so, ma a me, se fossi davanti a una platea pubblica piena di uomini, non verrebbe proprio spontaneo dire "Wow! Ma che bello...è pieno di uomini!" Cioè, certo che magari un occhio ce lo butto, ma insomma, avrei la decenza di non farne un argomento di conversazione. Gli uomini invece lo fanno.

Ma siccome sono una persona intellettualmente onesta, devo darvi anche una buona notizia: le cose stanno veramente cambiando. Annalisa Monfreda, direttrice di Donna Moderna, viene presentata come una che "fa le cose che la rendono felice a prescindere dai risultati". Punta sull'ironia, ed è perfettamente consapevole della fatica che le donne fanno a "fare le cose che le rendono felici a prescindere dai risultati". Ha 34 anni, due figli e un approccio realistico alle tematiche femminili. Per quanto molto diversa da lei, anche Silvia Grilli, direttrice di Grazia, introduce la bella novità dell'informazione e dell'attualità accanto al corposo lato moda. Come se anche lei sentisse un po' strano che l'informazione venga data solo dai periodici "maschili" come Panorama. Nel numero di lancio di Grazia si parla anche di femminicidio, per esempio. Di famiglie allargate. Di politica.
Ho chiesto a entrambe se per questo rilancio avessero riflettuto esplicitamente sul modello culturale che volevano rappresentare. No, non ci hanno ragionato, ma è venuto evidentemente spontaneo impostare i contenuti dei loro giornali in linea con la realtà e non con gli stereotipi che tanto male hanno fatto alla nostra cultura. In effetti anche Marina Bigi di Tu Style ha impostato le offerte di moda comprendendo sempre anche la parte low cost, segno di una certa aderenza alla realtà.

Certo, poi fa un po' "unghie sulla lavagna" vedere l'inondazione di inserzioni di creme antiage, prodotti per la cura della casa, pillole dimagranti. Ma è anche bello poter notare finalmente questo contrasto.
E comunque alla fine il light lunch era light ma abbondante. Mica come il menù rosa di Trenitalia.


giovedì 2 maggio 2013

(In) camera con Laura

Scusi, Presidente Letta, la sua bellezza l'ha favorita nel lavoro e ora in politica?
Scusi, Onorevole Bersani, quei suoi occhietti vispi l'hanno aiutata con la dirigenza del PD?
Onorevole Brunetta, il fatto che lei sia alto come un bambino di dieci anni, suscita tenerezza presso il suo elettorato? Crede che questo la avvantaggi?
E lei, Senatore Monti, ritiene che la sua innata eleganza l'abbia favorito nei suoi rapporti con Angela Merkel?

Queste e infinite altre domande vorremmo porre ai nostri politici.
Titolo di copertina: Camera con Laura (che secondo me volevano scrivere "In camera con Laura" ma poi sembrava esagerato, hanno tolto "in" e lasciato un titolo senza senso).

Attendiamo con ansia e per par condicio:
- Camera con Enrico
- Camera con Luigi
- Camera con Renato
- Camera con Mario


mercoledì 10 aprile 2013

Ci sono donne

Ci sono donne veramente stronze.
Tipo che tu ne aiuti una a essere assunta dove lavori tu e questa poi ti fa le scarpe e ti frega il posto tuo. Ci sono quelle che ti dicono che sei un mito e che vorrebbero essere come te e poi ti sputtanano appena giri l'angolo. Poi ci sono quelle che quando diventano dirigenti trattano gli uomini come cuccioli da salvare e le donne come il loro peggior nemico.
Ci sono donne che fanno da testimoni al tuo matrimonio e poi si scopano tuo marito. Donne che insultano gli omosessuali, i neri, i disabili. Donne che quando hanno dei figli, il tuo è sempre più cretino del loro. Ci sono donne che pensano di averla solo loro. E di sapere tutto mentre invece non sanno niente. Ci sono donne avide, avare, senza scrupoli. Le donne sono anche capaci di uccidere e di far uccidere. Ti possono ridurre in miseria e calpestarti fino a che non riesci più ad alzarti. Donne che ti rovinano l'esistenza.
Ci sono donne che sono capaci delle peggiori cose.
Margaret Thatcher è stata per molti una di queste donne. Ken Loach non ha mancato di ricordarci che "Margaret Thatcher è stato il primo ministro che ha seminato più divisioni e devastazioni nella storia moderna. Disoccupazione di massa, fabbriche chiuse, comunità distrutte: questo è quello che ci ha lasciato. È stata una combattente e il suo nemico era la classe operaia inglese. Le sue vittorie sono state facilitate dalla corruzione della dirigenza laburista e di gran parte dei sindacati. È grazie alle politiche a cui ha dato il via lei che oggi ci ritroviamo in questo disastro. Altri premier hanno seguito la sua strada, in particolare Tony Blair. Lei era il suonatore di organetto, lui la scimmietta. Non ci dimentichiamo che definì Mandela un terrorista e che prendeva il tè con il torturatore e assassino Pinochet. Come la dovremmo onorare? Privatizziamo il suo funerale. Indiciamo un'asta competitiva e accettiamo l'offerta più bassa. È quello che avrebbe voluto lei."

Che cosa magnifica però poter parlare male di una donna di potere. Trovo che sia la massima espressione di democrazia. Beato Ken Loach e gli inglesi che lo possono fare.
Noi possiamo parlare sempre e solo degli uomini.