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lunedì 14 gennaio 2013

Storiella di Natale a posteriori

Un Natale qualunque, in una casa qualunque, arriva Babbo Natale, che deposita i regali sotto l'albero e riparte con la sua slitta. La mattina, il risveglio è emozionante.
"Vieni a scartare i regali! Guarda! Qui c'è scritto il tuo nome."
"MAMMA! GUARDA! MI HA PORTATO LA BAMBOLA CHE VOLEVO! IL CICCIOBELLO BUA!"
"Bene! Apriamo allora."
"Ha il ciuccio."
"Sì, proviamo a toglierlo."
"PIANGE!"
"Forse gli devi misurare la febbre."
"Sì, dovrò dargli anche lo sciroppo."
"Così guarisce."
"Mamma, ma anche tu avevi le bambole da piccola?"
"Qualcuna, sì."
"E le portavi in passeggino?"
"Non avevo il passeggino, però mi prendevo cura di loro. Mi esercitavo per quando avrei avuto dei figli."
"Anche io avrò dei figli."
"Se vorrai."
"Mi devo esercitare allora, così poi saprò fare tutto."
"Bene."
"E sarò bravo come papà."
"Speriamo."

domenica 23 dicembre 2012

Accendete quel forno.

Cari amici e care amiche, nell'augurarvi un sereno Natale, per chi lo festeggia, vi saluto con un articolo a tema. Forse per molti di voi ormai è tardi per una riflessione. O forse no. Avete comprato dei regali per bambini in questi giorni? Siete stati attenti a non favorire il dilagare degli stereotipi? No, perché i bambini, alcuni, potrebbero accorgersene. Altri invece potrebbero accorgersene troppo tardi. La maggior parte non se ne accorgerà mai. Sigh.
Tanti auguri!

IL FRATELLO PIÙ PICCOLO VOLEVA UN FORNO, MA IL PRODOTTO ERA PENSATO PER LE RAGAZZINE

Una petizione (online) per il forno unisex
Una bambina convince il colosso Hasbro

Complice un video su YouTube e le migliaia di visualizzazioni induce il produttore a realizzare prodotti per "maschietti"

«Che cosa vorresti per Natale? Un dinosauro e un fornetto», risponde sorridente alla sorella 13enne McKenna il piccolo Gavyn Pope, del New Jersey. Ma il forno in questione, prodotto dalla Hasbro, modello “Easy-Bake”, è disponibile storicamente in America come in Europa solo nei colori rosa e viola. E la pubblicità che lo reclamizza tra un cartone e l’altro alla tv coinvolge solo personaggi femminili. Proprio questa discriminazione nei confronti dei maschi per un gioco che potrebbe, potenzialmente, interessare entrambe i sessi, ha fatto molto arrabbiare la sorella maggiore McKenna che ha così deciso di sollevare il problema e, per ottenere attenzione, a fine novembre ha lanciato una petizione online.
LA PETIZIONE – In poche settimane, complice il video di YouTube (che ha raggiunto le 150mila visualizzazioni), la petizione pubblicata sul sito di Change.org ha superato le 45mila adesioni. Nel testo, l’adolescente del New Jersey chiede espressamente al produttore Hasbro di ricordarsi anche dei maschietti come suo fratello Gavyn e di produrre un forno giocattolo i cui colori, packaging e promozione siano unisex.
LA RISPOSTA - Proprio la grande risposta da parte degli altri utenti ha convinto la Hasbro a rispondere, invitando la ragazzina nei suoi uffici di Rhode Island, dove con la sua stessa famiglia ha potuto vedere i nuovi colori, nero, blu e argento, del forno unisex che verrà commercializzato già prima della prossima estate negli Stati Uniti. Oltre alle molte persone comuni, la petizione di McKenna aveva ottenuto adesioni anche da parte di alcuni grandi chef famosi negli Stati Uniti per aver partecipato a trasmissioni culto come Top Chef, che si erano adoperati e avevano girato video di supporto alla causa della “cucina per tutti”, già da bambini.
STUDIOSI ANTI-DISCRIMINAZIONE – Non è la prima volta che il tema della discriminazione per generi nel campo dei giocattoli tocca le cronache di tutto il mondo: nel 2011 scatenò un acceso dibattito un post della neurologa Laura Nelson che chiedeva a Hamley’s, il grande negozio di giocattoli presente nel centro di Londra, di smettere di “segregare” e differenziare con colori e piani diversi i prodotti per femmine e maschi. Per la dottoressa, una tale e spiccata divisione non faceva altro che condizionare i bambini alla discriminazione tra i sessi già in tenera età. Carol Auster, sociologa americana autrice di uno studio sul marketing del giocattolo, rincara la dose sulla responsabilità delle aziende: «Se i responsabili marketing continuano a promuovere giocattoli basati sullo stereotipo di genere, questi stereotipi continueranno a venir perpetrati, proprio perché sappiamo che anche il marketing è parte della socializzazione». Nel suo studio, che ha preso come esempio il sito di Disney, ha dimostrato come l’85 per cento dei giochi di colore rosso, marrone, grigio e nero sia dedicato ai maschi, mentre l’85 per cento degli oggetti rosa e il 65 per cento di quelli viola sia riservato alle femmine.
UN CATALOGO UNISEX – E proprio nelle ultime settimane, in un Paese in cui le differenze di genere vengono da sempre combattute, la Svezia (si pensi al progetto dell’asilo Egalia per bambini “senza sesso”), un produttore di giocattoli ha deciso di diffondere il catalogo per gli acquisti natalizi rigorosamente unisex. I prodotti vengono presentati indifferentemente per maschi o femmine, così vi si trova una ragazzina che abbraccia un fucile arancione e un bimbo sorridente che sistema le bambole dentro una casetta arredata di tutto punto, mentre una coppia, maschio e femmina, combatte tra mostri e dinosauri alati. «Non è questione di maschi e femmine», dichiara il responsabile della catena, «si tratta di giochi per bambini, tutto qui».
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venerdì 23 novembre 2012

Come la mamma!

Ammetto che ultimamente sto diventando piuttosto talebana su tutto ciò che concerne il lato "educazione dei bambini". Mi accorgo di non essere mai completamente rilassata quando entro in un negozio di giocattoli. Non mi diverto a comprare regali per bambini. Voi direte perché sono diventata vecchia, e in effetti potrebbe essere. Ma credo si tratti proprio di una presa di coscienza più amara, che mi fa guardare sempre più spesso a come siamo e, soprattutto, a come continueremo a essere.
Questo ragionamento mi porta alla consapevolezza che forse è arrivato il momento di FARE, dopo aver tanto, ma tanto parlato. E quindi mi sono ritrovata, nelle ultime due settimane, a dover comprare dei regali di compleanno per delle amiche dei miei figli. Una di 4 e una di 6 anni. E ho comprato dei giochi che implicassero lo sviluppo della creatività, in maniera del tutto neutra dal punto di vista del genere. Niente bambole, niente cicciobelli da accudire, niente kit da perfetta casalinga, niente rosa. Ne sono stata molto soddisfatta io e anche le bambine, quando hanno aperto i pacchetti.
Questa mattina invece, entro di nuovo nello stesso negozio per prendere altri due regali, questa volta per bambini maschi, molto piccoli. Ero già incattivita perché uscivo da una conferenza stampa del centro antiviolenza della mia città, di cui vi parlerò lunedì, con più freschezza. Ho accarezzato l'idea di prendere qualcosa per la cura della casa. A uno dei due avevo già regalato un ferro da stiro, forse adesso avrebbe gradito un aspirapolvere o un set di pentole. Entro ovviamente nell'area ROSA, dove tutto è rosa e dove ti si cariano istantaneamente i denti per la stucchevolezza dei messaggi. 

Mi avvicino agli scaffali "casalinghe in erba" e resto colpita da un chiaro segno di progresso: i due ferri da stiro che vedo non sono rosa, ma azzurri! Non solo, ma su una delle due confezioni, campeggia la foto di un bambino con una maglietta azzurra! NON CI POSSO CREDERE.
Cioè, guardate! Non siamo in grado di connotarlo chiaramente come maschio o femmina. Può essere sia uno sia l'altra. Qui c'è stato uno sforzo verso il progresso, è evidente. Okay, la scatola è rosa, ma il prodotto è azzurro. Il testimonial è transgender. Poi però hanno dovuto svaccare, come al solito. Hanno avuto un pentimento, una fatale esitazione. Non se la sono sentita di andare avanti. E hanno voluto subito mettere in chiaro qual era il modello da seguire: "come la mamma!"
E fra l'altro hanno anche commesso un errore di valutazione: se i miei figli dovessero prendere esempio da me, quel ferro da stiro sarebbe usato come fermo in libreria.

Niente da fare invece per la testimonial della scatola delle pentole: inequivocabilmente femmina, e quindi spacciata. 
Cara bambina, ridi ridi finché puoi. No, la scatola non è rosa, è rosso Ferrari, ma questo non ti esonera dall'occuparti della cucina. "Come la mamma", del resto. La Ferrari è per il papà, che se la guarda sdraiato in divano, al Gran Premio in tivvù.
Alla fine ho optato per due regali neutri, ma non ve li dico per non rovinare la sorpresa ai loro genitori.
Buon fine settimana a tutti. E cercate di non fare troppe cose come la vostra mamma!

martedì 10 maggio 2011

Oggi cazzeggio








Un tipo entra in un negozio di giocattoli per acquistare una Barbie e chiede al commesso i vari prezzi.

"Dunque, 
Barbie ginnasta 18 Euro,
Barbie amazzone 24 Euro,
Barbie maestra 21 Euro,
Barbie avvocato 18 Euro,
Barbie divorziata 88Euro."

"E che cosa mai avrà di più la Barbie divorziata?" Sbotta il cliente.
E il commesso: "La casa di Ken, il cavallo di Ken, il fuori strada di Ken, lo yacht di Ken, la villa al mare di Ken..."

mercoledì 6 aprile 2011

Fine della storia

Direi che oggi può tranquillamente concludersi l'involontaria trilogia su Barbie (episodio 1: When I grow up, episodio 2: "Quando sarò grande voglio fare il bucato"), che ho iniziato mesi fa e che oggi posso portare a compimento segnalandovi il lavoro di Mariel Clayton.

Per un articolo approfondito sull'argomento, leggete quello che scrivono i miei amici Ninja.
Io vi lascio solo un assaggio, tanto per rendervi l'idea.




lunedì 28 marzo 2011

Bambini in festa

Vi aggiorno sul seguito del post precedente: dopo il regalo, la festa. Una sana vecchia festa di bambini di cinque anni, con i palloncini, le pizzette e il ballo della scopa. Commovente, direi. E mi sono sentita anche molto sollevata al momento dell'apertura dei regali: molti libri e una sola Barbie (che non ho visto bene, ma non mi sembrava nemmeno avesse l'abito da sera). Proprio un bel clima. Certo, poi ci vuole anche un bel momento catartico. Bisogna scaricare gli istinti repressi, assecondare la propria vitalità. E quindi, alla fine della festa, terminati tutti i giochi, i bambini si sono abbandonati a un baccanale senza precedenti: i maschi, brandendo delle spade fatte coi palloncini neri, inseguivano le loro compagne gridando: "LE FEMMINE! LE FEMMINE!" Queste ultime, terrorizzate, fuggivano come nel ratto delle Sabine, lasciando una scia di lustrini alle spalle. Magic moments.
A proposito di feste, mi è venuto in mente un episodio di un altro compleanno di circa un mese fa, in cui, organizzando le squadre per la caccia al tesoro, doveva venir nominato un capitano. Ovviamente quasi tutti volevano fare il capitano, sia i maschi, sia le femmine. Beata infanzia. Poi un bambino alza la voce più degli altri:
"Lo faccio io il capitano! Perché il capitano deve essere un maschio!"
Povero bambino, non aveva nemmeno finito di dire la frase, che un manipolo di madri è insorto in una protesta corale: "OOOOH! NON È VERO!" La veemenza è stata tale che si sono spaventate anche le bambine. Bene. Così se lo ricorderanno. A dire la verità un po' mi sono stupita di quella reazione così pronta ed energica. Sembrava che ce l'avessero sulla punta della lingua. Ma poi mi guardo intorno, e vedo che con i bambini festanti c'erano solo le madri. I padri erano in cucina a servirsi da bere. Ecco perché.
Per protesta, sono andata a bere anch'io e dopo dieci minuti ho chiesto: "Avete per caso visto dove sono i bambini?"

sabato 26 marzo 2011

"Quando sarò grande, voglio fare il bucato"

Irrompo nel vostro fine settimana perché il mio è iniziato con orrore nel solito negozio di giocattoli. Devo rettificare il mio post su Barbie e le sue lodevoli intenzioni ("When I grow up" mercoledì 27 ottobre 2010). Sembrava che con l'ultimo spot, Mattel volesse VERAMENTE contribuire a un mondo più equo. Sembrava che il personaggio di Barbie volesse VERAMENTE essere attuale e rispecchiare tutti i sogni delle donne, senza costringerle per forza a essere bellissime, principessissime, fashionissime. Sembrava che VERAMENTE se una voleva fare la pilota di elicotteri, poteva farlo. Oggi ho avuto la dimostrazione che quello spot, come tutto il mondo di Barbie, resta una distorta proiezione onirica del marketing, che ha ben poco a che vedere con la realtà in cui siamo quotidianamente calati noi.
Peccato, perché la giornata era iniziata proprio bene: sole, caldo, gabbiani in festa (e non sulla mia macchina), bambini di ottimo umore. Prendo un caffè in centro con un paio di amiche, facciamo due passi in un clima festoso in cui c'è un sacco di gente che suona in mezzo alla strada: c'è quello con la chitarra che fa musica folk, quello con il sax che fa un po' di blues, quello con la fisarmonica e quello con la pianola. Poi c'è pure un trio d'archi, che pare faccia parte dell'orchestra del teatro lirico, che con tanto di spartiti suonano arie famose. Mi ridimensiono subito: più che un clima di festa, è un clima di crisi economica, in cui ognuno cerca di sopravvivere come può. Ma non mi lascio adombrare; oggi dobbiamo comprare il regalo di compleanno per la compagna d'asilo del mio primogenito, che compie cinque anni. Interrogato al riguardo, mio figlio dice convinto che la bambina gradirebbe molto una Barbie su un cavallo.
"Ma sei sicuro che le piaccia?"
"Sì, certo"
"Ma non è che ce l'ha già?"
"Sì, ma ha solo il cavallo"
"E quindi vuole una Barbie da metterci sopra?"
"Sì, con un bel vestito da principessa"
"Ma se si veste da principessa, non credo che possa andare a cavallo poi..."
E ho iniziato a diventare pesante.
Comunque, seppur con qualche resistenza, decido di entrare nel negozio di giocattoli e di comprare una Barbie amazzone, o semplicemente cavallerizza. Già me la immagino, con gli stivali, il frustino, il cappello, una gicchetta corta di velluto e la coda di cavallo. Appunto. Penso allo spot When I grow up e mi rilasso: adesso non ci sono più soltanto le Barbie vestite a festa, o che si pettinano, o che firmano autografi. No, ci sarà il medico, il generale dell'esercito, la pittrice, la cantante rock, la scienziata. E la cavallerizza. L'ho vista la cavallerizza nello spot. C'era, me lo ricordo.
E invece.
Eccolo lo scaffale delle Barbie: Barbie principessa in blu, Barbie principessa in viola, Barbie col passeggino, Barbie bagnina di Baywatch, Barbie distesa su un morbido letto rosa, Barbie che fa il bucato (questa era talmente scioccante che l'ho fotografata).


L'unica eccezione era Barbie pilota di Ferrari, che infatti costava il triplo di tutte le altre. Della serie, se vuoi la libertà, la devi pagare.
Insomma, nei negozi la rivoluzione sessuale dello spot Mattel non sembra essere ancora arrivata. Siamo ancora al medioevo. Tante promesse, tante belle parole, ma poi? Poi niente, possiamo continuare a fare i lavori domestici. In tutto questo fra l'altro, scopro un nuovo prodotto, che si chiama "Ken il fidanzato ideale". Praticamente tu schiacci la pancia e lui registra la frase che dici (per un effetto più realistico dovrebbe dirla un uomo, o almeno il tuo compagno di asilo), e poi te la ripete a nastro. Penso all'effetto devastante sulla formazione psicologica di una bambina, che già cresce col mito fasullo del Principe Azzurro, da adesso anche con quello dell'uomo che ti dice ESATTAMENTE quello che vuoi sentirti dire. Pura fantascienza. Per dirla tutta, credo che Ken il fidanzato ideale, sia piuttosto un gadget adatto a quelle della mia età. Una sorta di pet therapy compensativa che fa bene all'autostima e all'umore. Credo lo comprerò. Prima frase: "Ma sei dimagrita?"
Comunque alla fine ho optato per un kit di creazione di collane e braccialetti, femminile ma creativo. Quella bambina un giorno mi ringrazierà.


martedì 7 dicembre 2010

Domanda esistenziale (ovvero, com'è strano questo San Nicolò)

Faccio un preambolo storico e vi parlo di San Nicola.
Nicola (prima di diventare santo) fu un uomo ricco vissuto nel III sec. d.C. e la leggenda narra che, siccome era anche molto buono, quando seppe che un padre caduto in disgrazia economica non riusciva a far maritare le tre figlie, e siccome non usava, all'epoca, che le donne lavorassero e che accedessero a un mutuo in banca per pagarsi il matrimonio, decise di intervenire. Sì, perché l'unica alternativa per queste tre donne sarebbe stata quella della prostituzione. Il che, fra l'altro, mi fa pensare che dopo quasi duemila anni le alternative per le donne non siano molto cambiate. Comunque, si dice che Nicola abbia preso un bel po' di denaro, lo abbia avvolto in un panno e, di notte, l'abbia gettato in casa di quel padre per tre notti consecutive, in modo che le figlie avessero la possibilità di pagarsi la dote. Nulla si dice, ovviamente, della vita matrimoniale che ebbero in seguito queste tre figliole. Ma non polemizziamo come al solito. Successivamente Nicola cambiò città e diventò vescovo di Myra, dove fece un bel po' di miracoli e dove morì il 6 dicembre, presumibilmente nell'anno 343. E qui viene il bello. Perché la città di Bari e quella di Venezia si contesero le spoglie del Santo. Ebbe apparentemente la meglio Bari, che organizzò una spedizione a Myra per portarsi via le reliquie, che quindi giunsero a destinazione l'otto maggio. Quindi ecco spiegato perché San Nicola, patrono di Bari, si festeggia in quella data. Ma Venezia non si diede per vinta e scoprì che le reliquie in realtà erano da un'altra parte e che i Baresi avevano preso quelle sbagliate. Così anche i veneziani organizzarono una gita a Myra, da cui tornarono con i poveri resti di Nicola e li deposero nell'abbazia di San Nicolò del Lido. Dopo tutto questo trambusto, risulta evidente che San Nicola fu un santo molto popolare in Italia, al punto da diventare protettore di un sacco di gente: marinai, pescatori, farmacisti, profumieri, bottai, bambini, ragazze da marito, scolari, avvocati nonché delle vittime di errori giudiziari. È patrono inoltre dei mercanti e commercianti. Quella cosa dei doni gettati in casa delle ragazze è poi antesignana della storia di Babbo Natale. Infatti da San Niklaus a Santa Klaus il passo è breve, e la tradizione cristiana si mescola a quella dei popoli nordici. Ed è qui che volevo arrivare, perché nella mia città, Trieste, come in buona parte dell'Italia Nord-Orientale, il 6 dicembre i bambini festeggiano San Nicolò, aspettando i famosi regali, che non necessariamente servono per accantonare la dote. Pur non essendo patrono della città, San Nicolò ha un ruolo da divo nell'infanzia dei piccoli triestini. I bambini scrivono la letterina e la notte fra il 5 e il 6 dicembre fanno sonni agitati sapendo che il santo lascerà dei regali per loro. Insomma, da noi San Nicolò è in tutto e per tutto uguale a Babbo Natale. Anzi, per il fatto che arriva prima, gli toglie pure un certo prestigio.
Ieri era San Nicolò, e i miei figli si sono svegliati di ottimo umore. Il secondogenito ovviamente, vista la sua tenera età, non si rendeva ancora conto di quello che stava succedendo, ma il primogenito sì, ed è andato subito a verificare se aveva ricevuto quello che aveva richiesto: una cucina nuova.
Quella che aveva prima era ormai troppo piccola, e soprattutto esposta alle continue invasioni del fratello unenne. "Mamma, non riesco più a cucinare con quella cucina". Erano le sue lamentele da massaia frustrata. Ed ecco che San Nicolò ha provveduto, con un acquisto all'Ikea che gli è costato 2 ore di sudore e sangue per montarla di notte.
Com'era prevedibile, non tutti sembrano entusiasti di questo regalo. I più hanno detto: "Ah! Che bella idea..." con un'espressione sul volto che invece diceva: "Ma è matta?" Ovviamente a nessuno importa che Lorenzo è da ieri mattina il bambino più felice del mondo. Niente, mi guardano come se gli avessi regalato una valigetta piena di kalashnikov. E per fortuna non ho parlato della batteria di pentole a corredo della cucina!
Ma alla fine di questo lungo post, forse anche un po' bislacco, ecco la domanda esistenziale che volevo farvi: come mai tanta ostilità verso la situazione bambino maschio-cucina, se poi la stragrande maggioranza degli chef del mondo sono uomini?

venerdì 29 ottobre 2010

Per esempio

Quando dico che i genitori e le famiglie dovrebbero educare le nuove generazioni al rispetto reciproco e alla parità delle opportunità, parlo sul serio. Con piccoli gesti quotidiani si possono cambiare molte cose e abbattere molti luoghi comuni e stereotipi. I bambini assorbono tutto ciò che li circonda: i nostri atteggiamenti e comportamenti, sentono i nostri discorsi e soprattutto, attraverso il gioco, imparano a diventare adulti. È per questo che ho scritto spesso di favole e di giocattoli. La presenza dei genitori è necessaria non solo quando i bambini guardano Profondo rosso, ma anche quando vedono un cartone animato, che è comunque un prodotto della nostra cultura. E si sa, questa cultura non è sempre perfetta. Per esempio, un cartone animato a cui sono sempre stata molto affezionata è Barbapapà. Un cartone rivoluzionario per gli anni Settanta, quando è nato. La famiglia di questi esseri gommosi e un po' strani era una sorta di comune ambientalista impegnata nella lotta all'inquinamento e amante degli animali. Ancora oggi, quando il mio primogenito di quasi quattro anni lo guarda, ne scopro l'attualità e il grande potere educativo. La rottura degli stereotipi è netta già da subito, visto che il capofamiglia è rosa. Ogni personaggio segue le proprie inclinazioni: tra le barbabambine, una sta sempre davanti allo specchio, un'altra suona e la terza è un'intellettuale. Dei fratelli, uno è forte, uno è una specie di Mc Giver in erba, il terzo dipinge. Insomma, di tutto un po'. Ieri sera, quando Barbapapà veniva cacciato dallo zoo perché era troppo strano, le mamme allontanavano i loro figli perché avevano paura e il capotreno non lo faceva salire nel vagone passeggeri, indirizzandolo in quello degli animali, mio figlio mi chiede: "Ma perché Barbapapà è triste?"
"Perché nessuno lo vuole e tutti lo evitano".
"E perché?"
"Perché è un diverso".
"Ma non è un animale, però".
"No".
"È solo un personaggio, vero?"
A volte i bambini riescono veramente a stupirci con la loro ricercatezza terminologica. Sono in grado di cogliere delle importanti sfumature. Dipende da cosa insegni loro.
Dopo il cartone animato, arriva il momento del gioco. Tanto per rendervi l'idea che parlo sul serio, vi faccio vedere uno scorcio di casa molto rappresentativo.


C'è il garage con seimila macchine, e c'è la cucina con le pentole. Regali di un Babbo Natale particolarmente attento alle pari opportunità. Lorenzo gioca con entrambi: fa benzina alle macchine e poi mi prepara un ottimo caffè. Certo, Babbo Natale ha avuto qualche difficoltà quando è entrato nel negozio di giocattoli. Ha dovuto sostenere lo sguardo interrogativo della commessa che doveva fare due pacchetti regalo: "Sicuro? Tutti e due con il fiocco azzurro?" La cucina, se l'è dovuta andare a prendere nel reparto bambine, dove il rosa era il colore dominante. Rosa come Barbapapà. Povero Babbo Natale, quest'anno dovrà tornare in quello stesso negozio per prendere l'upgrade della cucina, perché mancava la lavastoviglie. Per fortuna lo salva la tecnologia: gli acquisti online garantiscono sempre una certa privacy.

mercoledì 27 ottobre 2010

When I grow up

Vi segnalo uno spot politically correct per uno dei prodotti più discriminatori della storia dell'umanità. La Barbie. Almeno dal mio punto di vista, la bambolina più venduta al mondo è la concretizzazione di tutte le favole Disney in cui le adorabili principesse aspettavano di essere salvate dal loro Principe Azzurro. Per chi avesse perso qualche puntata di questo blog, può trovare adeguate spiegazioni nel post "I sogni son desideri".
Da piccola anche a me hanno regalato una Barbie. Anzi, avevo pure il camper. Ma siccome avevo solo amici maschi con cui giocare (i figli delle amiche di mia madre), la Barbie faceva sempre una brutta fine. Rapita, torturata, maltrattata, uccisa, mentre i Big Jim che le giravano intorno non erano molto preoccupati della sua sorte. Qualcuno potrebbe pensare che quei miei vecchi compagni di giochi oggi siano degli stupratori seriali, ma vi tranquillizzo: hanno sfogato con il gioco infantile tutti i loro istinti più bassi, e oggi sono degli uomini adorabili. Per chi invece ha potuto giocare con la Barbie senza dover prevedere dei conflitti a fuoco, l'infanzia è stata inficiata da pesanti storture nella percezione della realtà. Barbie era bellissima, dolce, elegante, principesca e soprattutto, MUTA. Il trend del marketing dei giocattoli ha poi continuato sulla stessa strada, trasformando le bambine in fashion victims e i bambini in supereroi mutanti. Ma qualcosa sta cambiando. E Barbie adesso si pubblicizza con uno spot quasi sociale. Eccolo qua.





A dire la verità una piccola critica ci sarebbe: forse si dà un po' troppo spazio alle aspirazioni creative delle donne, come se fosse una loro naturale inclinazione. La donna pilota di elicotteri e la donna pompiere non bastano a farmi rendere l'idea della vastità della scelta. Non vedo donne negli uffici insomma. Ma non esageriamo. Rimane comunque un video che ci libera da tutti i pizzi e i merletti a cui ci hanno legato decenni di comunicazione della Mattel. Per dovere di cronaca, ve ne faccio vedere uno a caso, così potete cogliere le sottili differenze tra i due spot.






Il premio che vince Barbie Superstar è ovviamente Ken, mica l'oscar. Ken decorativo. Ken inespressivo. Ken che però guida la macchina. Non so voi, ma io da bambina mi sono sempre domandata perché il naturale compagno di Barbie non potesse essere piuttosto Big Jim. E ancora oggi, da adulta, manifesto sempre una certa preferenza per l'uomo che "ha da puzzà", piuttosto che quei fanatici della depilazione al torace e dei colpi di sole ai capelli. E mi domando anche che tipo di donne siano, oggi, quelle che hanno comprato Ken da piccole. Se siete una di loro, raccontatemelo. Nel frattempo, vado a vedere se nell'impeto del rinnovamento la Mattel ha anche insegnato a Big Jim a stirare.

lunedì 18 ottobre 2010

Uno sconosciuto alla porta 2

No, perché poi sembra che capitino tutte a me, ma vi giuro che è successo veramente. Dopo lo sconosciuto alla porta del mio ufficio, l'altra sera, se n'è presentato un altro direttamente a casa mia. Premessa: era una settimana che la mia caldaia era senz'acqua, per cui i caloriferi non davano segni di vita. E siccome le disgrazie non vengono mai da sole, anche i miei figli avevano iniziato ad avere una sorta di simbiosi proprio con i caloriferi, manifestando evidenti sintomi di congelamento. In pratica, si stava verificando lo stesso rapporto che c'era tra E.T. e il bambino Eliott. Per evitare di vedere i miei figli esaminati dalla NASA sotto dei teloni di plastica, ho preventivamente telefonato alla ditta che fa la manutenzione della caldaia. Siccome mi hanno detto che mi avrebbero chiamata loro perché in quel momento erano pieni di lavoro, ho telefonato anche all'idraulico, sperando che arrivasse prima lui. Insomma, per una settimana non si è visto nessuno. Esasperata (e domandandomi se le cose sarebbero andate meglio se avesse telefonato il mio compagno minacciandoli come solo un maschio riesce a fare), richiamo l'idraulico venerdì pomeriggio, implorandolo (come solo una donna riesce a fare) di fare un salto in serata. Lui, implacabile, mi dice di no, e che sarebbe venuto appena lunedì. Ho trascorso il resto del pomeriggio a pianificare un week-end ai tropici per i miei figli (lo spirito di sacrificio di una madre non ha confini), maledicendo la categoria - prevalentemente maschile - degli addetti ai tubi, anzi, al tubo. Poi, alle sette e mezza di sera, suona il campanello. Era l'idraulico.
"Oh, si è messo una mano sulla coscienza!" Gli ho detto piena di gratitudine (mentre il mio compagno era comunque pronto a spaccargli la faccia). Gli ho mostrato la caldaia, lui mi ha spiegato dettagliatamente la procedura da seguire per le prossime volte, mi ha raccontato come funziona il meccanismo, il significato delle spie, dei pulsanti e delle valvole (ovviamente, non come si fa con uno che non l'ha mai fatto prima, ma come si fa con uno affetto da ritardo cognitivo, quindi ripetendomi le cose più volte). Il tutto, mentre il mio compagno metteva a letto il bambino più piccolo (che ha un cedimento strutturale fisso alle otto di sera), e il bambino più grande passava il suo mini mocio Vileda pulendo tutto il corridoio. Alla fine, chiedo all'idraulico quando faremo il prossimo controllo della caldaia.
"Io non mi occupo di caldaie."
"Ah, mi scusi, pensavo fosse della ditta che ho chiamato lunedì. Allora è l'idraulico Marchesi."
"No."
"Mi scusi, e allora chi è lei?"
"Sono un idraulico, ma mi ha chiamato lei nel pomeriggio dandomi questo indirizzo."
"No, io ho chiamato un altro idraulico. Credevo fosse lei."
Insomma, per una circostanza ancora da chiarire, che per il momento chiameremo "culo", quell'idraulico era stato contattato da un'altra signora del condominio e lui aveva ben pensato, sbagliando, di citofonare al mio campanello. Mi spiace per quella signora che non avrà risolto il suo problema (e adesso, per la legge del contrappasso, mi aspetto che mi crolli il soffitto per il suo spandimento mai riparato), ma i miei figli hanno potuto trascorrere un fine settimana al caldo.
Comunque, oltre all'identità di quell'uomo, mi sono rimaste delle altre domande. Tipo: perché sono sempre le donne a chiamare gli idraulici? Non sarà per una sorta di vergogna che hanno gli uomini di chiedere aiuto? Un po' come quando si trovano in una città sconosciuta e si rifiutano di abbassare il finestrino della macchina per chiedere informazioni. O forse perché il binomio donna-idraulico è diventato ormai un topos della nostra cultura? Non saprei.
L'altra domanda nasce invece da quello che ha fatto quello sconosciuto quando se ne stava andando. Il mio primogenito, deposto il mini mocio Vileda, è andato a prendere la sua Barbie e ha iniziato a pettinarla (una Barbie diversamente abile, dato che le manca un braccio a causa dell'utilizzo violento e tipicamente maschile che mio figlio ne fa). L'idraulico allora ha sentito la necessità di intervenire: "Una Barbie??? Ma come? Tu sei un maschietto, dovresti giocare con le macchinine, con i trattori..." Mio figlio ha risposto con un dignitoso silenzio, mentre io non ho potuto fare a meno di intervenire: "Perché censurare la creatività dei bambini?" Ma la conversazione era nata già morta, perché l'idraulico parte con un'ode al proprio figlio, che è INCREDIBILMENTE affascinato da scavatrici, gru e camion. E si vedeva che la cosa era motivo di grande soddisfazione per il padre. Come se mi avesse appena detto che il figlio aveva preso la laurea. "Vabbé, allora grazie..." ho concluso io. "Ciao! Alla prossima!" Ha detto mio figlio, che poi ho sgridato: "Quante volte ti ho detto che non si parla con gli sconosciuti?"

mercoledì 15 settembre 2010

Piccole richieste

Bisogna lavorare sulle generazioni future. Non bisogna lasciare nessuno spazio a possibili fraintendimenti. Nessuna scusa per i nostri figli, che domani saranno uomini e donne e si interfacceranno con l'altro sesso. Dobbiamo insegnare da subito il concetto di uguaglianza, che prima di diventare astratto oggetto di discussione, deve essere una pratica costante e quotidiana. Anzi, ad un certo punto, non si dovrebbe più sentire nemmeno la necessità di discuterne, e io potrei finalmente dedicarmi ad altro, tipo una passeggiata nel bosco, un po' di shopping, imparare a suonare la batteria.

Mio figlio, che ha quasi 4 anni, viene costantemente monitorato nei suoi atteggiamenti e comportamenti. È in costante osservazione. Per ora la prognosi è ancora riservata, ma stiamo lavorando per scioglierla nel migliore dei modi. Gli vengono insegnate poche e semplici regole per il vivere civile. Si cerca di dargli quella sicurezza che gli permetterà di essere un adulto equilibrato e solido. Gli si spiega come ci si comporta, cosa si deve fare e cosa non si deve fare. Ovviamente ogni genitore adotta il suo metodo, ma più o meno tutti sgridano il bambino quando fa i capricci, più o meno tutti gli dicono che non si rubano i giocattoli degli altri, non si tirano i capelli, non si prendono a sberle i bambini, non si incendiano le tende, non si chiude il fratello minore nel forno o nella lavatrice o in nessun posto dal quale potrebbe uscirne morto, non si lanciano i sassi sulla spiaggia vicino alle altre persone, né da un cavalcavia sulle automobili. Si mangia seduti a tavola senza fare schifezze tipo le bolle nel bicchiere pieno d'acqua, si va a dormire presto senza vedere film tipo Il silenzio degli innocenti o programmi tipo Miss Italia.
Fin qui tutto facile. Diciamo che l'imprinting educativo ce l'abbiamo ben sviluppato. Ma poi arrivano le domande del nostro piccolo infante. Domande che vanno oltre al semplice: "Mi compri un gelato?" o "Puoi mandare via mio fratello?". Sono domande inattese, che spesso celano un pericoloso trabocchetto.

La prima volta che mi sono trovata in difficoltà è stata quando Lorenzo mi ha chiesto che cosa fosse la giustizia. Poi i suoi interrogativi si sono spostati proprio sull'identità di genere. Ha capito di essere un maschio. La discriminante iniziale era: i maschi hanno il pisellino, le femmine hanno le tettine. A dire la verità, per me era sufficiente così. Cioè: oggi la distinzione dovrebbe essere soltanto fisica e biologica. Al limite si potrebbe anche dire che le femmine sviluppano di più le aree del cervello dedicate al linguaggio, ma la ricerca scientifica, si sa, è in costante evoluzione: oggi ti dicono una cosa, domani un'altra. Ma Lorenzo ha voluto andare oltre, domandandosi che cosa fanno i maschi e che cosa fanno le femmine. Per esempio, è molto attratto da tutte le principesse di Disney. Ha una passione smodata per Cenerentola, e spesso lo vedo spazzare il pavimento cantando I sogni son desideri. Allora gli ho regalato dei pupazzetti che ritraevano le varie principesse. Lui, entusiasta, ha iniziato a dirmi che vuole essere Cenerentola. Tra me e me ho pensato: che triste prospettiva...una vita passata a fare da serva prima alla matrigna e alle sorellastre, poi, anche se nessuno lo dice, al Principe azzurro. Comunque, a qualcuno potrebbe venire in mente che mio figlio abbia tendenze omosessuali, o che io lo confonda, facendogliele venire. È una questione molto delicata. Posto che se fosse omosessuale non ci sarebbe alcun problema, il punto è se la nostra educazione possa influire sul suo orientamento sessuale. Cioè: è sufficiente far giocare il bambino con giochi da maschi per farlo sentire eterosessuale? Se gli permetto di giocare con le bambole, lo sto confondendo? Me lo sono chiesta, ma poi mi sono convinta che i gusti sessuali di un individuo si sviluppino a prescindere dal tipo di gioco scelto in età infantile. Fra l'altro, sono supportata dal fatto che Lorenzo si innamori spesso di qualche mia amica (gli piacciono le tardone: è un problema?). Predilige quelle magre, carine, molto femminili. Le sue cotte mi fanno pensare che il suo istinto sia quello di accoppiarsi con delle donne. Anche se in mano ha una Barbie con l'abito da sera.
Comunque, superato lo scoglio dell'orientamento sessuale, resta tutto il campo delle diverse competenze di uomini e donne.

L'altra sera, guardando una pubblicità di qualche gadget di Hello Kitty, mio figlio mi fa:
"Mamma, ma io non voglio giocare con quelli, perché sono un maschio"
"Che c'entra?" gli faccio io "Ti piacciono?"
"Sì"
"E allora puoi giocarci"
Devo essere stata piuttosto perentoria, perché Lorenzo non ha più, stranamente, proferito verbo.
Evidentemente in asilo maschi e femmine iniziano a dividersi i giochi di loro competenza. Evidentemente qualcuno deve avergli detto che lui non può giocare con certe cose, perché è un maschio. Evidentemente qualcuno che sottovaluta le insidie della discriminazione.
"Mamma, ma è vero che io e Michele non possiamo sposarci perché siamo due maschi?"
"È vero tesoro, qui no. Ma in Spagna sì"
Lo ammetto, a volte ci godo.
"Lorenzo, metti a posto i tuoi giocattoli"
"No, lo devi fare tu"
"Non sono la tua serva"
Poi sopraggiunge il padre, impietosito, che inizia a raccogliere pezzi di Lego, teste mozzate (di bambole), resti di pizza, proiettili di gomma sparati sul fratello.
No, non è facile. Ma ce la faremo.

giovedì 9 settembre 2010

Ricordi d'infanzia

I miei genitori sono persone perbene.
Ma se oggi mi riduco a scrivere post del genere di notte, non senza una vaga ossessione, è colpa loro.

I miei genitori mi hanno educata come se fossi un maschio. Anzi no. Come se fossi asessuata. Una specie di Lady Oscar dei poveri. Tuo padre voleva un maschietto, ma ahimè sei nata tu. I valori che mi venivano trasmessi erano: studio, cultura, lavoro. Il top della parità con i miei amici maschi. I loro input erano così scientificamente al di sopra delle distinzioni di genere, che trent'anni dopo, quando ho partorito Lorenzo, mi sono domandata se la maternità fosse una cosa normale. Osservavo questo neonato e mi chiedevo che cosa mai si aspettasse adesso da me. Che cosa avrei dovuto fare. Cercavo disperatamente di risalire con la memoria a quando da piccola la mamma ti spiega come giocare con la bambola, a come si culla, a come si cambia, a come si pettina. Ma niente. Nessuno mi aveva mai regalato una bambola. Al limite un Monciccì, che però era una scimmia, e per questo richiedeva un grado di assistenza nettamente inferiore. I giochi che mi facevano fare i miei erano tutti basati sull'intelligenza. Ricordo partite infinite a Paroliere. Dove mio padre e mia madre mi umiliavano con parole tipo "perifrastica" o "avvicendamento", mentre io ero lì, muta con la mia lista di "tra" "in" "con" "sol". Mi spronavano a impegnarmi sulla terminologia.
Avevo sei anni.
Quindi al mio neonato ho insegnato subito la consecutio temporum. Per non sbagliare.

Ma c'è un episodio, un doloroso punto di rottura in cui ho creduto che l'educazione transgender dei miei fosse tutta una farsa.

Una sera, i miei genitori organizzano una cena tra amici a casa nostra. In fase di aperitivo, sento mia madre che mi chiama a gran voce. Quando la raggiungo in cucina, mi mette in mano una ciotola di noccioline, chiedendomi di portarla in salotto, agli ospiti. Io la guardo come se fosse un ufo. "Perché non la dai a papà?" chiedo incredula. E allora mia madre mi risponde con quel tono fatto di una punta di acidume sapientemente mixata con una piccola dose di sarcasmo, che solo noi donne sappiamo produrre: "Eh, papà è l'unidicesimo ospite". In effetti mio padre stava comodamente seduto in divano, discettando di politica ed economia con gli altri ospiti, in attesa che succedesse qualcosa. Tipo che la cena si materializzasse come per incanto nel suo piatto. Allora "perifrastica" e "avvicendamento" sono state sostituite da "ignominia" e "sgomento".
A dire il vero, quell'episodio mi ha fatto capire che c'era un baco nel sistema. Come dire: il software è pronto e funziona, ma ci sono dei bug ancora da sistemare. E' come se la nostra società, oggi, fosse un'enorme versione beta ancora da ottimizzare.

Dall'episodio della cena in poi, scovare i bug è diventata la mia missione.