Bisogna lavorare sulle generazioni future. Non bisogna lasciare nessuno spazio a possibili fraintendimenti. Nessuna scusa per i nostri figli, che domani saranno uomini e donne e si interfacceranno con l'altro sesso. Dobbiamo insegnare da subito il concetto di uguaglianza, che prima di diventare astratto oggetto di discussione, deve essere una pratica costante e quotidiana. Anzi, ad un certo punto, non si dovrebbe più sentire nemmeno la necessità di discuterne, e io potrei finalmente dedicarmi ad altro, tipo una passeggiata nel bosco, un po' di shopping, imparare a suonare la batteria.
Mio figlio, che ha quasi 4 anni, viene costantemente monitorato nei suoi atteggiamenti e comportamenti. È in costante osservazione. Per ora la prognosi è ancora riservata, ma stiamo lavorando per scioglierla nel migliore dei modi. Gli vengono insegnate poche e semplici regole per il vivere civile. Si cerca di dargli quella sicurezza che gli permetterà di essere un adulto equilibrato e solido. Gli si spiega come ci si comporta, cosa si deve fare e cosa non si deve fare. Ovviamente ogni genitore adotta il suo metodo, ma più o meno tutti sgridano il bambino quando fa i capricci, più o meno tutti gli dicono che non si rubano i giocattoli degli altri, non si tirano i capelli, non si prendono a sberle i bambini, non si incendiano le tende, non si chiude il fratello minore nel forno o nella lavatrice o in nessun posto dal quale potrebbe uscirne morto, non si lanciano i sassi sulla spiaggia vicino alle altre persone, né da un cavalcavia sulle automobili. Si mangia seduti a tavola senza fare schifezze tipo le bolle nel bicchiere pieno d'acqua, si va a dormire presto senza vedere film tipo Il silenzio degli innocenti o programmi tipo Miss Italia.
Fin qui tutto facile. Diciamo che l'imprinting educativo ce l'abbiamo ben sviluppato. Ma poi arrivano le domande del nostro piccolo infante. Domande che vanno oltre al semplice: "Mi compri un gelato?" o "Puoi mandare via mio fratello?". Sono domande inattese, che spesso celano un pericoloso trabocchetto.
La prima volta che mi sono trovata in difficoltà è stata quando Lorenzo mi ha chiesto che cosa fosse la giustizia. Poi i suoi interrogativi si sono spostati proprio sull'identità di genere. Ha capito di essere un maschio. La discriminante iniziale era: i maschi hanno il pisellino, le femmine hanno le tettine. A dire la verità, per me era sufficiente così. Cioè: oggi la distinzione dovrebbe essere soltanto fisica e biologica. Al limite si potrebbe anche dire che le femmine sviluppano di più le aree del cervello dedicate al linguaggio, ma la ricerca scientifica, si sa, è in costante evoluzione: oggi ti dicono una cosa, domani un'altra. Ma Lorenzo ha voluto andare oltre, domandandosi che cosa fanno i maschi e che cosa fanno le femmine. Per esempio, è molto attratto da tutte le principesse di Disney. Ha una passione smodata per Cenerentola, e spesso lo vedo spazzare il pavimento cantando I sogni son desideri. Allora gli ho regalato dei pupazzetti che ritraevano le varie principesse. Lui, entusiasta, ha iniziato a dirmi che vuole essere Cenerentola. Tra me e me ho pensato: che triste prospettiva...una vita passata a fare da serva prima alla matrigna e alle sorellastre, poi, anche se nessuno lo dice, al Principe azzurro. Comunque, a qualcuno potrebbe venire in mente che mio figlio abbia tendenze omosessuali, o che io lo confonda, facendogliele venire. È una questione molto delicata. Posto che se fosse omosessuale non ci sarebbe alcun problema, il punto è se la nostra educazione possa influire sul suo orientamento sessuale. Cioè: è sufficiente far giocare il bambino con giochi da maschi per farlo sentire eterosessuale? Se gli permetto di giocare con le bambole, lo sto confondendo? Me lo sono chiesta, ma poi mi sono convinta che i gusti sessuali di un individuo si sviluppino a prescindere dal tipo di gioco scelto in età infantile. Fra l'altro, sono supportata dal fatto che Lorenzo si innamori spesso di qualche mia amica (gli piacciono le tardone: è un problema?). Predilige quelle magre, carine, molto femminili. Le sue cotte mi fanno pensare che il suo istinto sia quello di accoppiarsi con delle donne. Anche se in mano ha una Barbie con l'abito da sera.
Comunque, superato lo scoglio dell'orientamento sessuale, resta tutto il campo delle diverse competenze di uomini e donne.
L'altra sera, guardando una pubblicità di qualche gadget di Hello Kitty, mio figlio mi fa:
"Mamma, ma io non voglio giocare con quelli, perché sono un maschio"
"Che c'entra?" gli faccio io "Ti piacciono?"
"Sì"
"E allora puoi giocarci"
Devo essere stata piuttosto perentoria, perché Lorenzo non ha più, stranamente, proferito verbo.
Evidentemente in asilo maschi e femmine iniziano a dividersi i giochi di loro competenza. Evidentemente qualcuno deve avergli detto che lui non può giocare con certe cose, perché è un maschio. Evidentemente qualcuno che sottovaluta le insidie della discriminazione.
"Mamma, ma è vero che io e Michele non possiamo sposarci perché siamo due maschi?"
"È vero tesoro, qui no. Ma in Spagna sì"
Lo ammetto, a volte ci godo.
"Lorenzo, metti a posto i tuoi giocattoli"
"No, lo devi fare tu"
"Non sono la tua serva"
Poi sopraggiunge il padre, impietosito, che inizia a raccogliere pezzi di Lego, teste mozzate (di bambole), resti di pizza, proiettili di gomma sparati sul fratello.
No, non è facile. Ma ce la faremo.