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mercoledì 7 novembre 2012

Tu quanti handicap hai?

Torno sul tema che più di altri mi appassiona, per deformazione professionale e per demenza personale: la segnaletica. Sulla pagina facebook di Donne in ritardo ci stiamo confrontando sui dilemmi che suscita questo segnale:



Ringrazio la mia amica che è arrivata fino in Norvegia per consegnarci questo rompicapo.
Dunque, il senso generale del messaggio è chiaro: le mamme sono portatrici di handicap. Io, che ho due figli, come mi è stato giustamente fatto notare, ho due handicap. Immagino che in caso di quattro figli ti riservino direttamente una corsia stradale, perché è risaputo che in Norvegia sono molto attenti alle questioni sociali.
E fin qui ci siamo. Voglio dire, va bene: prendiamo coscienza di avere delle difficoltà rispetto al resto della popolazione abile. E su questa scia proporrei anche dei posteggi gratuiti e riservati in prossimità di negozi e principali luoghi di interesse, ché camminare sotto la pioggia, il pupo per mano e le buste dello shopping non è proprio il massimo.

Ma poi ci sono quegli altri due.
Quello con le stampelle e quello col bastone.
E mi domando: "perché?"
E forse se lo domandano anche quelle due donne, girate verso di loro in attesa di una risposta.
Perché in Norvegia sentono la necessità di differenziare l'handicap? Mi dicono che il primo è un giovane che si è appena operato al menisco, mentre l'altro è un anziano col bastone. Un'ipotesi sensata. Ma continuo: "perché?"
Forse l'obiettivo era quello di escludere qualsiasi dubbio su chi far sedere e chi no sull'autobus. Magari si sono trovati malissimo sui mezzi italiani, dove veniva rappresentato solo l'uomo col bastone e quindi quello con le stampelle ha fatto il viaggio in piedi, assieme alle donne incinte e alle madri coi bambini. Magari il giovane operato di menisco ha chiesto il posto e gli è stato risposto: "Eh no, caro. Tu mica hai il bastone".
Ma allora mi dovete mettere anche tutti gli altri. Tipo quelli col braccio in gesso. Perché come si tengono quelli col braccio in gesso? Quelli non li facciamo sedere? E quelli con la storta alla caviglia? E quelli con l'ascella pezzata? Ne vogliamo parlare?

Rimango sempre spiazzata dalla creatività repressa che hanno gli autori dei segnali convenzionali. Per questo ho dedicato un tag apposta su questo blog sotto la voce "segnaletica". L'argomento è veramente curioso.

Comunque resta un fatto ineluttabile: se sei un uomo e hai un bambino in braccio, resti in piedi. Ma anche se sei donna, anziana oppure giovane e operata al menisco.

venerdì 4 maggio 2012

Sterminio di uomini a Monaco di Baviera

Ahi ahi ahi! E qui la grande Germania mi perde di punti. Un'amica mi manda questa foto da Monaco di Baviera (ADORO questa vostra inclinazione alla foto-inchiesta).
Per le varie considerazioni su segnaletica e linguaggio iconico, non mi ripeterò e vi mando qui e qui.

Però non riesco a resistere alla tentazione di interpretare questo segnale. Non ce la faccio proprio a tenermi. Intanto analizziamo il contesto, perché il contesto è importante. Siamo in strada e sul marciapiede ci sono dei lavori: il percorso è interrotto da una transenna.
Adesso mi tocca spezzare una lancia in favore della segnaletica italiana, che quando ci sono dei lavori sul un lato della strada e ti invitano a camminare dalla parte opposta, mettono il cartello generico del pedone accompagnato da una freccia. Il pedone, significa TUTTI i pedoni: uomini, donne, bambini. Ma forse in Germania non è così. O forse in questo caso avevano finito il cartello giusto.
Fatto sta che qui mi si vuole dire una cosa. Provo a interpretare.
Versione letterale:
"Le mamme con i bambini devono camminare sul lato opposto, gli uomini sono invitati a scavalcare la transenna e magari fermarsi a dare una mano".
Versione ancora più letterale:
"Solo le mamme con i bambini possono camminare sul lato opposto. Le donne senza figli e gli uomini sono invitati a scavalcare la transenna".
Versione apocalittica:
"La popolazione maschile a Monaco è stata completamente sterminata, per cui il resto della popolazione, composta da madri con figli, deve camminare sul lato opposto".
Versione ancora più apocalittica:
"Assieme alla popolazione maschile, anche quella delle donne senza figli è stata sterminata. Le poche fortunate rimaste possono camminare dall'altro lato della strada".
Versione apocalittica soft:
"La popolazione maschile di Monaco è interamente impiegata nei lavori stradali, per cui il resto della popolazione, composta da madri con figli, deve camminare sul lato opposto".
Versione apocalittica soft delle pari opportunità:
"Oltre agli uomini, anche le donne senza figli sono impegnate nei lavori stradali, quindi il resto della popolazione, composta da donne con bambini, è invitata a camminare sul lato opposto della strada".
In ogni caso, qualunque sia l'interpretazione, io se fossi un uomo mi preoccuperei.


venerdì 24 febbraio 2012

Trova le differenze

Una mia cara vecchia compagna delle medie che vive in Germania mi segnala questi cartelli dell'Ikea di Brema:


Riuscite a trovare le differenze? Le differenze con i cartelli in Italia, ovviamente.


lunedì 31 ottobre 2011

Non prendete quell'ascensore

Purtroppo il mondo è pieno di contraddizioni e la perfezione non esiste. Non molto tempo fa avevo incensato la Spagna per il suo senso della decenza in campo pubblicitario. Oggi faccio un passo indietro e mi ri-cito. So che è una cosa odiosa, ma devo per forza ribadire un discorso che ho fatto ormai l'anno scorso, a proposito di segnali e simbologia. Lo trovate qui. All'epoca sindacavo sui cartelli che nei supermercati invitavano a dare la precedenza in cassa alle donne con bambini. Escludendo in automatico la pur folta categoria degli uomini con bambini. Mi ero lanciata in un'audace dissertazione semiotica sull'uso corretto dei simboli maschile e femminile. A parte il caso dei bagni, se usi il maschile, è universale, se usi il femminile, significa SOLO donne. Per esempio, l'omino sulla sedia a rotelle non ha la gonna, ma intende comunque indicare disabili maschi e femmine nello stesso tempo.
Bene, ecco cosa mi segnala un'amica da Siviglia: è un cartello che dice che i bambini non devono prendere l'ascensore da soli. Voi che cosa ci leggete? Io varie cose, a seconda dell'umore e della creatività del momento. Ci leggo, per esempio, che una donna può entrare in ascensore solo con un figlio. L'altro no. Deve rimanere giù, o farsi le scale. Oppure: se hai un marito basso, lascialo giù e prendi l'ascensore solo con tuo figlio. Ma volendo essere magnanima, mi sforzo di interpretare il segnale secondo le intenzioni del legislatore: i bambini soli non possono prendere l'ascensore. Devono essere accompagnati. Ma da chi? Non da un adulto in generale. No, dev'essere una donna. Anche con i capelli a caschetto, tra l'altro. Gli uomini non possono accompagnare i bambini in ascensore. Forse perché sono ugualmente inaffidabili? Questa ipotesi trova conferma anche nel fatto che si parla esplicitamente di bambini maschi. Deduco quindi che le bambine femmine possono andarci da sole in ascensore.
Vabbè, quanto la faccio lunga. Però è così: chi ha dato un'immagine alla regola dei minori accompagnati in ascensore, si è premurato di rappresentare una regola familiare ferrea, e cioè che con i bambini ci stanno solo le mamme. I padri probabilmente quell'ascensore l'hanno già preso la mattina presto, per andare a cacciare un mammuth e sfamare la loro comunità di ominidi.

martedì 11 ottobre 2011

Quello sporco bagno dell'Autogrill

Signore e signori, buongiorno. Ho lasciato volutamente passare sotto silenzio il giorno del mio compleanno per non sentirmi obbligata al solito bilancio della vita. Bilancio che in genere faccio, appunto, quando compio gli anni e non a Capodanno, quando potrei essere sempre troppo ubriaca per farlo. Comunque andiamo avanti. Ho un anno in più e invecchio con dignità (anche perché mi sono iscritta a pilates, attività tipica di chi vuole combattere l'artrite e l'osteoporosi - tipo Madonna).
Ho fatto passare quindi un po' di giorni nel silenzio, ma friggevo per raccontarvi una cosa.
La scorsa settimana sono andata per lavoro a Reggio Emilia. E siccome era un momento di mio odio nei confronti dell'umanità intera, ho scelto di andarci in macchina e di evitare così qualsiasi contatto umano e disumano in treno. E, diciamocelo, ho scelto soprattutto di evitare Trenitalia con tutto ciò che si porta dietro. Ah che meraviglia. Se fatti sporadicamente, i viaggi in macchina sono una vera pratica zen. Senti la musica che vuoi, ti fermi quando ti pare, parli da sola facendo considerazioni profonde sul senso della vita (senza che nessuno ti contraddica), e quando hai bisogno di adrenalina ti immagini sfide all'ultimo chilometro con quel monovolume che ti ha superato due minuti prima. E poi c'è tutto l'universo dell'Autogrill. Un mondo veramente affascinante. Dove, non si sa perché, tutti si sentono in dovere di comprare un biglietto della Lotteria Italia, come se ci fosse la consapevolezza che tanto, nella nostra vita quotidiana del paesello, non si vince mai niente, mentre è nei luoghi casuali di passaggio che si annida la fortuna.
Mi sono fermata tipo a Bologna, per far benzina e bermi un caffè. Più tappa obbligata in bagno. Lo so, ho già affrontato in passato il tema del bagno. Che vi devo dire? Mi farò vedere da uno bravo. Però è li che ho notato una cosa fastidiosa. Come al solito, c'erano i soliti simboli (anche di simboli ho già parlato...aiuto!) che indicavano "uomini" da una parte e "donne" dall'altra. E in più, sulla porta delle donne c'era anche il simbolo della mamma che cambia il pannolino al figlio. E infatti poi entri e vedi che sul ripiano dei lavandini è poggiato un fasciatoio. Uau. Intanto facciamo progressi, perché non so da quanti anni gli Autogrill siano dotati di un tale servizio. Sicuramente quando da piccola viaggiavo con i miei genitori, mi cambiavano sul cofano della macchina. Un sollievo d'inverno e un inferno d'estate. Comunque, il fato ha voluto che proprio in quel momento scendesse ai piani bassi un padre con un neonato in braccio. E allora mi sono fermata a gustarmi la scena. Il padre si ferma. Guarda il simbolo della donna che cambia il figlio e subito assume un'espressione di inadeguatezza. Quel simbolo gli sta dicendo: "Ma sei rimbambito? Non lo sai che sono le mamme che devono cambiare i pannolini? Non penserai veramente di poterlo fare tu?" Con grande forza d'animo, vedo che prova a entrare nel bagno degli uomini e gettare uno sguardo impaurito, alla ricerca di un fasciatoio anche lì. Niente. Solo cumuli di carta bagnata sparsa ovunque (i bagni degli uomini sono sempre così, e non è uno stereotipo). Il bambino inizia a piangere. Il padre esce dal bagno dei maschi. Io sono tentata di aiutarlo, di prendere il fasciatoio e di portarlo momentaneamente nel suo bagno, ma mi fermo. La vogliamo finire di pensare sempre a tutto noi? E poi è giusto che la protesta provenga dai padri, in questo caso. Ha più valore. Con un certo disappunto, il padre risale le scale. "Ah! Adesso lo sentiamo". Penso io. Sicuro andrà a protestare con qualcuno dell'Autogrill. "Insomma, possibile che non ci sia un cazzo di fasciatoio nel bagno degli uomini? Costa 7 euro. Non è un grande investimento". Sì, io avrei detto così. Asciutta. Schietta. E invece no. Un minuto dopo, scende la madre, col bambino in braccio, ed entra nel bagno delle donne per cambiarlo.
Caporetto.
Disfatta su tutto il fronte.
Risalgo e vedo il padre con aria finalmente sollevata, che si beve il suo caffè.
"Datemi un biglietto della Lotteria, va..."

giovedì 18 novembre 2010

Donne in stallo (Austrian version)

Vi ricordate il post Donne in stallo? Beh, andatevelo a rivedere, perché qui abbiamo un aggiornamento in salsa austriaca.
Un'amica mi riporta la stessa iniziativa del parcheggio di Udine (e di altri in Italia), ma con qualche sottile differenza. Riuscite a trovarla? Dai, facciamo come il giochino della Settimana Enigmistica. Solo che la soluzione di questo è molto più facile. A Vienna i parcheggi dedicati alle donne sono indicati con un cartello che dice: "Parcheggio per le donne". Qualcuno potrà trovarlo banale e didascalico in effetti. Noi in Italia siamo molto più fantasiosi, si sa. Noi abbiamo bisogno di luci, colori, suoni ed effetti speciali. Così da noi il cartello si tinge di rosa e ci fa vedere un'ammiccante signorina con la messa in piega. "Perché noi, in Italia, le donne le amiamo". E che male c'è? "Noi alle donne cantiamo le serenate". "Noi alle donne dichiariamo il nostro amore anche sui muri di un parcheggio". "Perché le donne sono tutte bellissime". "Perché senza di loro non potremmo vivere". "Perché sono le madri dei nostri figli". "Perché sono le regine della casa". "Perché ci sostengono, ci confortano, ci consigliano". "Perché noi siamo calienti e invece in Austria sono freddi, e noi sappiamo come riscaldare una donna".
"Perché per una donna noi faremmo pazzie. Purché stiano al loro posto. Anzi, posteggio".

mercoledì 3 novembre 2010

WC

No, rispetto a ieri le cose non sono migliorate. Per chi morisse dalla voglia di saperlo e per tutti quelli che non hanno il calendario di Frate Indovino, oggi è San Giusto, patrono della mia città. E artefice di uno dei più bei ponti dell'anno. Questa volta era proprio una manna: sabato, domenica, lunedì festivi, martedì ponte, e mercoledì festa patronale.
Ovviamente io oggi lavoro in una città che non è la mia, dove sono arrivata con un'ora di ritardo perché non ci siamo capiti sul posto e dove coltivo la mia influenza scoppiata nel momento stesso in cui è suonata la sveglia stamattina all'alba. Ho 8 ore di lezione consecutive e due tonsille che mi fanno parlare come Lisa Simpson. Per far calare la febbre mi sono appena presa due aspirine insieme, il che mi causerà un coma neurovegetativo in macchina. Ma sono una donna perdinci! Non staremo mica qui a lamentarci come un uomo? Ho una missione da compiere, al di là del lavoro: devo portare avanti questo blog.
Il caso mi viene incontro (almeno lui) e mi fa notare un altro di quegli esempi di segnaletica oscura che lanciano messaggi incomprensibili e subliminali alle persone ignare di tutto. Come un disco in vinile letto all'incontrario, da cui si sentono messaggi del diavolo o canzoni di Marilyn Manson, a seconda dei casi.
Banalmente, si tratta dei segnali dei bagni. Uno per le donne e uno. No, non è un mio errore di battitura, guardate qua:




















Cioè, i bagni sono vicini. Sono sullo stesso piano, non ce ne sono altri. Insomma, è inutile che la cercate: la versione WC MASCHI non c'è. Ovviamente, sotto l'effetto di analgesici assunti irresponsabilmente, inizio a farmi dei trip mostruosi sul bagno da scegliere. Resto inebetita per mezz'ora a studiare le alternative tipo libro game. O, per i più giovani, tipo Lara Croft. Dunque, la scritta WC non mi impedirebbe di entrare. Quindi potrei farlo. Però le femmine sono esplicitamente indicate dall'altra parte. Insomma, io sono una femmina? Direi di sì. Ma forse non abbastanza. Forse per uomini e donne normali c'è un bagno in comune, e per le femmine speciali, quelle che proprio non potrebbero mai rinunciare allo smalto sulle unghie e allo shopping compulsivo, hanno previsto una zona a sé. Beh, a me piace lo shopping. Oddio, non so fino a che punto però. Oh insomma! Me la sto facendo addosso. Oggi mi sento donna più che mai (perché lavoro con 39 di febbre e non mi sono accasciata al suolo come avrebbe fatto un uomo), quindi: ENTRO. Tutto a posto. Non mi fanno provini per le veline, né per la prossima festa del Presidente del Consiglio. Il sapone è rosa, ma che c'entra? Nell'altro bagno non sono ancora entrata. Non so, c'è qualcosa che mi intimorisce. Forse la luce spenta. E si sa che una donna è più sicura sotto un lampione. Aspetterò che passi l'effetto delle aspirine e poi vado a vedere. Nel frattempo, se avete delle teorie, comunicatemele. 

martedì 26 ottobre 2010

Lovely Nippon

Lo sapevo che dai creatori del sushi non potevano che venire delle iniziative lodevoli. Grazie a Elisa e al suo viaggio in Giappone.

martedì 19 ottobre 2010

Donne in stallo

Ormai mi arrivano con una certa frequenza numerose segnalazioni da parte vostra: guarda questo sito, leggi questo articolo, senti questa storia...Praticamente il blog nato da poco più di un mese rivela già i suoi limiti: dovrei creare una vera e propria community, dove ognuno può portare il proprio contributo originale. Se solo avessi vinto quel famoso superenalotto (a cui non ho giocato).
Ormai mi avvalgo addirittura della collaborazione di fotoreporter che scovano tracce indelebili delle storture del nostro sistema. Ecco quello che mi segnala Massimo da un parcheggio di Udine.




















Si tratta del parcheggio Magrini di Udine, livello -1, circa dieci posti. Il cartello dice che non si tratta di una prescrizione del codice della strada, ma di una semplice indicazione affidata al senso civico degli utenti. Come dire: "Se sei un uomo, dovresti parcheggiare il più lontano possibile dall'uscita". Su questo cartello ci sarebbero molte cose da dire. Intanto mi domando come mai abbiano scelto una libera interpretazione del simbolo femminile, anziché il classico omino nero con la gonna, universalmente riconosciuto e privo di ogni riferimento seduttivo. Forse che curando l'acconciatura di questa simbolica donna, ci si aspettano risultati migliori? Forse gli uomini ci pensano su due volte prima di posteggiare sulle strisce rosa? Come se dicessero: "Mmm, carina questa qua...le cedo volentieri il posto, altro che quel cesso con la gonna a triangolo".
La seconda cosa che mi crea disagio è il termine "stallo". Voglio dire, non credo si faccia un torto alla lingua italiana scrivendo "area" o "zona" o, per essere addirittura precisi: "parcheggio". Perché chiamarlo stallo? L'uomo medio è più incline a comprendere "stallo" anziché "parcheggio"? Stalla, forse. Ma stallo proprio non credo.
Al di là delle questioni terminologiche e iconografiche, c'è comunque da rilevare l'assoluta idiozia di questa iniziativa. Capirei lo "stallo" per le donne incinte. Per i disabili. Per gli anziani. Per i genitori con bambini (sia uomini, sia donne). Ma perché avvantaggiare solo le donne? E infatti la polemica arriva subito, perché il fotografo Massimo commenta nell'e-mail che mi ha mandato: "Non parla di donne incinte. È chiaro che siete più deboli e non potete fare due rampe di scale". L'ironia ci sta tutta. E allora perché non raffigurarla su una sedia a rotelle quella donna con la messa in piega? Perché si deve sempre travisare il senso delle cose? Essere donna non significa avere dei problemi di deambulazione. Nemmeno "in quei giorni". Il cartello si appella al senso civico degli utenti. Ma senso civico in questo caso significa soltanto discriminare ulteriormente. E soprattutto fare confusione.
Concludo con un'osservazione trasversale. Per evitare che gli uomini si parcheggino in quell'area, potremmo tranquillamente fare a meno del cartello e fare affidamento soltanto sulle linee rosa sull'asfalto. Vista l'omofobia dilagante tra gli uomini, quello sarebbe stato il deterrente migliore. Eh già, il senso civico è proprio in stallo.


lunedì 13 settembre 2010

Supermercato 1

Recentemente, i supermercati più evoluti dal punto di vista etico e sociale (che poi si scopre sempre che i dipendenti fanno turni di 12 ore con tre minuti per il WC e 1 per il pranzo) hanno affisso una segnaletica particolare in prossimità delle casse. Traduco letteralmente i simboli: dare la precedenza a donne incinte; dare la precedenza a donne con bambini piccoli; dare la precedenza a portatori di handycap.
Allora, posto che a questo punto ci stava bene anche una precedenza agli anziani, mi chiedo se un uomo con bambino o bambini al seguito può godere degli stessi diritti.
Già mi figuro la scena: sabato mattina, fila interminabile a tutte le dieci casse dell'ipermercato, cassiere che hanno l'obiettivo di venedere entro tre ore 100 sacchetti etici in cotone cuciti a mano dai carcerati, per cui non vanno in bagno da quando si sono svegliate, carrelli stracolmi di viveri come alla vigilia di un conflitto nucleare. E un uomo, con due bambini piccoli. Uno sul carrello, che urla disperato la sua protesta contro la mercificazione della sua vita, l'altro, ormai in stato d'incoscienza, che ciondola appeso al braccio del padre. Nel raggio di 5 metri, tutti si girano a vedere chi è il bambino che grida come un indemoniato. Ovviamente tutti sfoggiano il miglior sguardo di disappunto possibile, frutto di anni di allenamento nel farsi i cazzi degli altri.
Mi viene in mente The beach, con Di Caprio, quando il ragazzo attaccato dallo squalo viene isolato in una tenda lontano dall'accampamento perché le sue urla avrebbero turbato la pacifica vita quotidiana dei suoi amici. Questi i pensieri dei vicini di cassa: "Il padre dovrebbe far qualcosa" "Eh, non si portano bambini così piccoli a fare la spesa" "Ma perché non lo prende in braccio?" "Ma dov'è la madre?"
Ad un certo punto il padre decide di fare qualcosa. Interpreta il linguaggio iconico dei segnali di precedenza alle casse ed estende alla categoria maschile la precedenza, in quanto bambino-munito. Insomma, è logico che il cartello significhi "genitore" con bambini. Quindi chiede di passare avanti. Ma nella lotta per la sopravvivenza al supermercato, non c'è spazio per l'interpretazione. "Scusi, lei non è mica una donna...porti pazienza...gli dia un dolcetto"

Ecco. Ora vorrei parlare con chi ha concepito il cartello. Si sa che nel meccanismo delle generalizzazioni, il maschile viene traslato sul femminile. Per esempio, se dico che l'uomo è l'evoluzione della scimmia, intendo "uomo" come insieme di uomini e donne. Se invece dico che la donna è l'evoluzione della scimmia, mi viene subito spontaneo chiedermi da dove venga l'uomo, segno che la generalizzazione da donna a uomo non funziona. Quindi, se si vuole significare che alle casse bisogna dare la precedenza al genitore con bambini, si deve necessariamente usare il simbolo maschile. Il punto è che chi ha concepito il cartello ha dato per scontato che fossero solo le madri a fare la spesa con i figli. Del resto, che altro dovrebbero fare nella loro vita?
Quindi, cari uomini, se vi trovate a fare la spesa con qualche bambino al seguito, rassegnatevi a una lunga attesa.