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mercoledì 5 marzo 2014

La leadership spiegata da una madre

Esiste un assioma, una legge scolpita nella pietra immaginaria di cui sono fatti i cervelli di molti, secondo cui una donna che rientra al lavoro dopo la maternità non può più essere una risorsa, ma solo un inutile - e stupido - peso.
Oggi vi spiego perché invece una donna, proprio dopo la maternità, acquisisce poteri sovrannaturali che qualsiasi top manager, per eguagliarli, si deve fare minimo dieci anni di training nell'esercito russo.

Questa settimana ero in montagna da sola coi miei figli. 4 e 7 anni.

Sapete cosa implica in termini organizzativi, una settimana bianca con due bambini?
A) Pianificazione strategica con definizione degli obiettivi.
Quali sono gli obiettivi? Analizziamoli.
Riposarmi.
Irrealistico.
Sciare.
Secondario.
Far divertire i bambini.
Fattibile a seconda delle attività pianificate. In caso di fallimento anche di una sola di queste attività, vanno calcolati i danni sul sistema nervoso (mio) ed economico per l'attivazione di esosissimi incentivi a compensazione.
Per questa ragione tutte le attività vanno pianificate prevedendo la propensione che ogni bambino avrà, in uno specifico momento, per il loro svolgimento. Può essere utile disegnare una curva di gradimento per ogni attività, che a seconda dell'orario della giornata sarà ascendente o discendente. Per esempio, pianificare l'ora di sci con il maestro ha una curva ascendente dalle 11 alle 13, ma fortemente decrescente dopo pranzo.
"Signora ho un'ora libera con il maestro Aldo alle 14:30"
Escluso.
"Dalle 9 alle 10?"
Escluso (prevedere risveglio, colazione, pipì, denti, capricci per chi si deve lavare per primo, vestizione con mutanda, calzamaglia, calzettoni, maglietta, pile, pantaloni da sci, scaldacollo, casco, guanti, mascherina con intermezzi di "Mi va stretto, mi da fastidio, mi stringe, ho sete, mi cola il naso", per finire a vestizione conclusa, scarponi compresi con "mi scappa la cacca". Il tutto, ENTRO le 8:30 di mattina).
B) Gestione del budget collegandolo a un numero impressionante di variabili.
Per esempio, quante ore di skipass dovrei calcolare al giorno? È verosimile ipotizzare mattina e pomeriggio. Solo mattina? Se sì, quante ore? Due? Tre? La fluttuazione dell'umore dei miei figli nei confronti di qualsiasi tipo di attività sportiva è molto simile a quella dei mercati dei paesi asiatici. Il lunedì potrebbero voler sciare tutto il giorno, ma la visione di un cucciolo di cane in un bar potrebbe far cambiare radicalmente lo scenario.
Evitare i bar affollati.
Quando si vedono animali, cambiare marciapiede.
C) Analisi del rischio e problem solving.
Compilare una scaletta dei bisogni primari.
Cibo.
Fare spesa per menu differenziati per 7 giorni. Bilanciare verdura, proteine e carboidrati. Prevedere merende trasportabili in zaino e mangiabili nel più breve tempo possibile per evitare che il calo ipoglicemico si trasformi in un bagno di sangue.
Quindi, NO yogurt, che implicherebbe cucchiaino sporco, pezzi di carta argentata impiastricciati e crisi di nervi nel tentativo di aprirlo.
Mi sto informando sulle pillole che usano gli astronauti in missione.
Bisogni.
Mappare tutti i bar vicini alle piste da sci e fare un calcolo mentale della strada più breve, ma anche meno faticosa per arrivarci. Per esempio, non è detto che il rifugio più vicino sia anche quello migliore, perché potrebbe avere un numero eccessivo di scalini da fare.

In ogni caso, spalare sempre la neve attorno alla macchina, prevedendo fughe in qualsiasi momento verso il pediatra più vicino.

Potrei andare avanti per ore. Anzi, per una settimana esatta.
Ma la competenza migliore che sviluppa una madre è quella della leadership. Ma non della leadership vecchio-modello, del capo che sanziona e terrorizza. No, della leadership moderna. Del capo autorevole, che tutto sa e tutto può, ma che condivide, che motiva i collaboratori e che lavora perché tutto il team raggiunga gli obiettivi comuni. Questa, cari miei, è la vera ragione per cui chi licenzia una donna perché è diventata madre fa una grandissima cazzata, perché si priva di una risorsa che improvvisamente è in grado di traghettare tutta l'azienda verso qualsiasi obiettivo di crescita.

Tratto da uno mio speech:
"Guardate che sciare non è obbligatorio. C'è un sacco di gente che non scia e sta tranquilla e beata a casa in questo momento. Tipo quel tuo compagno lì, che non scia. Quello oggi è a casa e fa i compiti in serenità. Ma chi scia, chi vuole divertirsi e scendere per le piste come un missile, SI DEVE PORTARE GLI SCI DA SOLO, CHIARO?"
Il secondogenito mi guarda con le lacrime agli occhi mentre uno sci gli scivola da una parte e l'altro si incastra tra i lacci del doposci destro. Il primogenito con aria di sfida si incammina portando gli sci come le tavole della legge.
"Dai, che siete bravi." Incoraggiamento della squadra.
"Guardate me, che mi porto i miei sci e anche le vostre racchette". Buon esempio e condivisione degli obiettivi.
"Quando arriviamo, mettiamo giù gli sci e ci scartiamo un pangocciolo". Tecnica della visualizzazione e incentivo al raggiungimento dell'obiettivo.

Sempre il secondogenito ha un cedimento psicologico: "SONOTROPPOPESANTI!"
"No no no. Non voglio sentire storie. Perché Lorenzo si sta portando i suoi sci senza fiatare…" innescare la competizione "…e comunque non c'è alternativa, altrimenti giro la macchina e torniamo a casa, e sai che lo faccio" (e quasi quasi ci spero).
Il piccolo, punto nell'orgoglio, ricomincia a camminare.
E quindi attacca il primogenito: "Ma mamma, ma quando arriviamo? Uffa…"
"Dai, arriviamo a quel cassonetto e poi ci riposiamo, ok? Lo so che siete stanchi, ma è solo abitudine. Vedrete poi come andrà meglio prossimi giorni". Capacità di entrare in empatia con il team. Comprenderlo, motivarlo, fare concessioni.
E infatti i due, al cassonetto, non si sono fermati.

All'arrivo, grande riconoscimento per lo sforzo fatto: "Bravi! Avete visto? Ce l'abbiamo fatta! E domani???" Presi dall'entusiasmo promettono: "Mamma, domani non faremo neanche una protesta!".
Perché una madre è perfetta pure per le vertenze sindacali.



venerdì 30 agosto 2013

"Non piangere"

Avete presente quel fenomeno strano per cui, quando siete a piedi per strada odiate tutte le macchine che vi passano a destra e sinistra e quando invece siete seduti voi in macchina, nel preciso istante in cui mettete in moto, il pedone diventa il vostro peggior nemico? Ecco, la stessa cosa a me succede coi bambini.
Che sia chiaro, io amo i miei figli. Adoro passare le vacanze con loro. Quest'anno ci siamo divertiti un sacco al mare: abbiamo riso come matti, abbiamo guidato i quad come i re dei tamarri, abbiamo fatto casino insieme e ci siamo voluti un gran bene, la sera, facendoci le coccole prima di dormire. Adoro le mie creature, veramente. Ma poi, capita magari un weekend con le amiche, o una trasferta di lavoro da sola e mi trasformo immediatamente in Crudelia De Mon. Odio i bambini che piangono in treno, quelli che piangono al ristorante, che piangono in spiaggia, al bar, al supermercato, che piangono ovunque! Confesso che se sono sola al mare, scelgo il posto più lontano possibile dalle tracce di presenza infantile. Quando prendo un treno, trasalisco quando vedo un passeggino nel mio scompartimento. E guardo con orrore quelle madri (perché nel nostro paese sono sempre ancora le madri che stanno coi figli) che si affannano a inseguire quei bambini, a pulirli, a dare loro da mangiare, a farli giocare, a farli smettere di piangere. Le guardo e penso a tutte le volte che vengo guardata anch'io così, mentre il mio primogenito vomita nel sacchetto per il mal di mare e il secondogenito grida perché vorrebbe essere a letto da tre ore. E penso che le donne che mi guardano con disappunto sono altre madri che a loro volta si prendono i loro 5 minuti di soddisfazione. 

Insomma, sono un mostro, lo so. E in mezzo a questa mia mostruosità, ci sono i bambini, poveri esseri inconsapevoli e innocenti che non possono fare altro che piangere di fronte alle brutture di questo mondo, compresa la mia.
Sì, perché i bambini piangono. Che scoperta, eh? I bambini non ti dicono: "Guarda, sono rimasto molto deluso dal fatto che non ci fosse il budget per il nuovo Trenino Thomas". No, i bambini piangono. Non ti dicono: "Vorrei schedulare la nostra giornata in maniera diversa dall'asilo". Non ti dicono nemmeno "Questi spaghetti hanno un retrogusto esotico". Piangono, piangono e basta. È l'unico modo che hanno per esprimersi, per manifestare i loro sentimenti, per sfogarsi. E invece noi che facciamo? Qual è la frase più ricorrente di un genitore medio? "Dai, non piangere (tantomeno in treno, o in un luogo pubblico)". Questa cosa poi, prosegue in maniera differenziata per maschi e femmine. Il maschio è bene che non parli dei propri sentimenti, che non li esprima. Il maschio dovrebbe smettere presto di piangere. Per le femmine invece c'è più indulgenza. Anzi, le femmine sono così, sempre un po' isteriche, perché ci hanno gli ormoni e non ragionano e ce le teniamo così. E molte femmine quando crescono, tengono un diario, chiuso con un lucchetto, che le madri più smaliziate imparano a rintracciare e a scassinare senza lasciare traccia dell'effrazione. Sul diario si incanalano emozioni, paure, lacrime, gioie. Nei diari delle femmine ci sono pezzi autentici di vita vissuta, sentimenti allo stato puro. 
E i maschi? I maschi non tengono diari. L'ho scoperto quando mia madre ha deciso di regalare al mio primogenito un diario su cui lui potesse appuntare i suoi pensieri. "Così si esercita a scrivere" mi ha detto, coerentemente con il suo ruolo di professoressa d'italiano e latino in pensione (e con il ruolo di rompiballe). Mia madre quel diario ha fatto fatica a trovarlo. Dice che ci sono solo diari di Barbie, Winx, Hello Kitty, dice che sono tutti rosa e parlano alle bambine. Alla fine ne ha trovato solo uno unisex, e l'ha preso:

Il diario del Piccolo principe. Carino eh. Con lucchetto. Ovviamente è importato dalla Francia, dove evidentemente i maschi sono liberi di tenere un diario.
E allora penso che se i bambini maschi fossero liberi e magari anche incoraggiati a esprimere i loro sentimenti, anziché a reprimerli o far finta che non esistano, magari la futura generazione di adulti potrebbe essere un pelo migliore di quella attuale. Magari ci sarebbero meno uomini tristi e frustrati. Magari ci sarebbero uomini più consapevoli perché hanno imparato a verbalizzare per iscritto i loro sentimenti. Magari ci sarebbero meno omofobi, meno misogini, in generale meno stronzi in giro. Chissà. Magari un diario può contribuire a fare la differenza. 

Lorenzo ha iniziato a scrivere. A matita, perché dice che così quando finisce lo spazio, può cancellare e scrivere di nuovo. Perché oltre alle pari opportunità gli stiamo insegnando anche l'ecologia.

Povera creatura.

venerdì 23 agosto 2013

Ragazze ininterrotte

Sono passati quasi due mesi dall'ultimo mio post, il che farebbe inorridire qualsiasi analista di social strategy, ma siccome non devo vendere niente, posso permettermi di dire "chissenefrega". Però un attimo, "chissenefrega" fino a un certo punto, perché in realtà non sto attraversando un periodo di perdita di interesse o di scarsa motivazione. Non mi sono stufata di scrivere su temi legati alle questioni di genere, né ho smesso di occuparmene. In realtà, la causa del mio recente silenzio è proprio l'opposto (sì, vabbè, ho fatto tre settimane di ferie, ma che c'entra). In realtà sono stata meno a scrivere e più ad agire. Perché arriva un momento nella vita di ognuno di noi, in cui, dopo aver segnalato un problema, bisogna fare qualcosa per risolverlo. Cioè, non si può mica stare a segnalare per tutta la vita, no?
Posto che credo comunque molto nell'attività di denuncia di questo e di altri blog e che quindi non smetterò mai di parlarne, ho avuto voglia di realizzare alcune idee che mi sono venute strada facendo.

Oggi vi parlo della prima idea, che adesso si è concretizzata in un vero e proprio progetto.
Per inquadrare il campo di intervento, vi racconterò un eloquente episodio vacanziero.

Esterno giorno.
Spiaggia.
Temperatura esterna: 2000 gradi.
Temperatura del mare: appena sotto la soglia dell'evaporazione.
Unica strategia anti caldo vincente: praticare l'immobilismo assoluto.
Velocità bioritmo: zero.
Velocità metabolismo: zero (il che significa quindi assimilazione istantanea anche delle calorie degli esseri viventi circostanti).
Encefalogramma: piatto.
Unica attività intellettuale: costante osservazione sociologica sul campo.
Soggetti osservati: famiglia italiana media, composta da padre, madre, figlia dodicenne.
La ragione per cui ho osservato solo questa famiglia è che sono stati anche loro immobili per otto ore di fila e questo per me è stato molto rassicurante.

Evento della giornata: verso le sei e mezza di sera, mentre iniziamo un po' tutti a sbaraccare le nostre postazioni balneari, regalando finalmente a quella spiaggia una parvenza di vitalità, succede qualcosa.
Un signore dell'ombrellone vicino, che evidentemente si è dedicato alla mia stessa attività, è andato a congratularsi personalmente con la madre della famiglia italiana media.

"Guardi, le devo dire che ha una figlia BRA-VIS-SI-MA. L'ho osservata, sa? Braaava, buooona, è stata tutto il giorno tranquilla, ha letto, è stata con voi...Io invece ho un maschio, sa? Ah, i maschi, che invece non stanno fermi un attimo..."

La signora ha incassato elegantemente, anche con un certo compiacimento. Io a quel punto, vigile come un felino di notte, guardo la ragazza per scrutarne la reazione. Ed eccola lì, l'espressione che mi ha dato la soddisfazione più grande di tutta la vacanza. Che mi ha riempito di orgoglio, che mi ha fatto pensare che sì, sono sulla strada giusta, e sì, è il momento di fare qualcosa di concreto.
L'espressione è la stessa che balenava negli occhi di Angelina Jolie in Ragazze interrotte. Per l'esattezza, questa:


È quell'espressione che anche io, da giovane, da piccola, avevo spesso, un'espressione eloquente, che si può tradurre più o meno così: "Attento, che se scopro qual è la tua auto familiare di merda, te la faccio diventare una Panda, facendoci sbattere la tua testa vuota".

Quell'espressione racconta una realtà molto diversa da quella di cui sembrano compiacersi ancora molte persone oggi. Una realtà che non corrisponde allo stereotipo delle ragazze brave, belle e buone che non danno pensieri ai genitori. La realtà che vuole che le ragazze si comportino in modo decoroso, che restino il più possibile invisibili, che non si facciano sentire. Come un soprammobile per esempio. Come un complemento d'arredo, che si guarda e si ammira per la sua eleganza e il suo abbinamento al resto della casa e che bagnanti qualsiasi si sentono in dovere di elogiare.
Quel signore è andato a congratularsi apposta con quella madre, per le virtù della figlia. Ed era un uomo con una certa posizione, si vedeva, con una certa cultura, la cultura italiana. E quel che preoccupa di più è che quell'uomo ha un figlio maschio. "Esuberante" diceva lui. E beato lui, dico io. E deve averlo pensato anche quella ragazza di dodici anni, che magari avrebbe voluto essere libera di lasciarsi andare come un maschio, senza rischiare di essere rinchiusa in un istituto per ragazze interrotte.

E allora penso che quell'idea che mi frullava in testa da tempo, che adesso è diventata un progetto e che vuole iniziare a educare fin da piccoli i bambini (maschi e femmine) a sentirsi liberi di scegliere i propri giochi e il proprio modo di essere, è un'idea sensata. E deve averlo pensato anche la commissione della mia Regione, che ha deciso di finanziare questo progetto, che si chiamerà "Pari o dispari? Il gioco del rispetto" e che partirà quest'anno scolastico, in quattro asili pilota del Friuli Venezia Giulia, con la distribuzione di kit didattici che insegneranno ai bambini, attraverso il gioco, a superare gli stereotipi e a rispettare la differenza di genere. Così che in futuro, se un dodicenne maschio vorrà essere bravo e buono, potrà farlo senza dubitare della sua identità di maschio e allo stesso modo, se una ragazza vorrà giocare a calcetto sulla spiaggia (o spaccare la faccia a chi glielo vorrà impedire), non si sentirà sbagliata.
L'ho scritto tante volte su questo blog: bisogna partire dall'educazione, dai bambini. Ma non dalle scuole medie, non dalle elementari, quando sono già tutti divisi tra rosa e azzurro. Bisogna iniziare dagli asili, scardinando in tempo gli stereotipi che vogliono le femminucce brave e i maschietti avventurosi.
E quindi adesso iniziamo.

P.S.: il progetto ha potuto vedere la luce grazie a Daniela Paci, insegnante della scuola dell'infanzia, e a Lucia Beltramini, psicologa, che supportano scientificamente e professionalmente questa idea.

venerdì 10 maggio 2013

Scoprire che i tuoi figli ti odiano

C'è stato un tempo in cui per la festa della mamma curavo i testi delle campagne pubblicitarie per l'AIRC - Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro. Bei tempi quando lavoravo in agenzia e i miei principali strumenti di lavoro erano la carta e la penna. E bei tempi quando la mamma era festeggiata facendo anche un'opera di beneficenza: uscivi la domenica, andavi in piazza, ti compravi un'azalea e facevi commuovere tua madre aiutando contemporaneamente l'AIRC.
Attenzione, questa cosa la si può ancora fare eh. Si può ancora comprare una piantina, finanziare la ricerca e fare un bel regalo alla mamma. Informatevi qui. Il problema è che io non lavoro più con carta e penna, ma soprattutto con la mania dei social network e della corsa alla viralità a tutti i costi, ci dobbiamo sorbire anche questo:


Cioè, io non è che mi voglia per forza accanire contro P&G. Ma me le servono tutte su un piatto d'argento! Per chi si fosse perso le puntate precedenti, P&G ha iniziato a occuparsi di madri in occasione delle olimpiadi, mandando in circolazione un video virale in cui si vedevano madri di tutto il mondo che si facevano il mazzo a lavare, stirare, cucinare, pulire la casa e far diventare i loro figli dei campioni olimpionici. La lacrima scattava facile alla fine del video quando queste madri orgogliose vedevano le loro creature cresciute vincere delle medaglie. Il messaggio intrinseco dell'azienda era: cara mamma, noi ti saremo sempre vicini con i nostri prodotti tutte le volte che dovrai pulire il cesso di casa e stirare le magliette dei tuoi figli. Ovviamente in tutto questo i padri non esistevano, e si dava per assodato il fatto che bambini olimpionici e case pulite fossero da statuto questioni di donne.

A confermare la linea di marketing arriva poi la campagna stampa che mostra un uomo che si sbrodola facendo colazione esattamente come quando aveva due anni. E indovinate chi è che pulirà col Dash la macchia? Bravi, una donna.

Ed eccoci qui, alla vigilia della festa della mamma. E la solita azienda non manca di ricordarci quale sia il ruolo delle madri di oggi: quello di tenere la casa pulita, fare il bucato, accudire i figli (attenzione: sempre da un punto di vista pratico e di igiene, perché probabilmente il gioco è roba da padri). Ma la cosa che fa orrore è che si usino strumentalmente dei bambini per dire una cosa sostanzialmente sbagliata, perché l'amore che questi bambini hanno per le loro mamme sicuramente non dipende da quanto ben fatti siano i lavori domestici! L'amore dei figli per le mamme è un amore che nasce da ben altri piani e il fatto che si voglia piazzare a tutti i costi un detersivo in mezzo a questo amore lo trovo terribile. Non solo, ma anche qui la donna viene ridotta al solito vecchio ruolo stereotipato della casalinga, e la cosa peggiore è che vi si fa coincidere anche quello della mamma.
Dice la bambina alla fine: "E come potrei smettere di amare la mamma?" Risposta di P&G: per esempio se lei non facesse più il bucato.
Questa è una gran brutta campagna per le donne e per le mamme. E per me è un gran brutto momento, perché scopro che i miei figli non mi vorranno mai bene.


giovedì 9 maggio 2013

Come essere felici a prescindere dai risultati




Un giorno, tra un'email e l'altra, trovo un invito curioso. Mi scrive Claudia, che si occupa di social media in Mondadori e in copia mette pure il responsabile social media in Mondadori. Roba seria, penso. Claudia mi dice che mercoledì 8 maggio avverrà una cosa pazzesca mai vista prima al mondo, e cioè il rilancio contemporaneo di tre, dico tre, periodici femminili di Mondadori. Mi dice che parlerà l'AD di Mondadori e poi le direttrici di Donna Moderna, Tu Style e Grazia e che verrà dato ampio spazio a una chiacchierata tra donne sul loro ruolo oggi, e che questa chiacchierata potrà poi proseguire durante il light lunch che verrà predisposto nello spazio eventi di Mondadori in Duomo.
Ora, a parte la mia indignazione per l'aggettivo "light" accostato a "lunch", la curiosità per cotanto evento mi ha spinta a rispondere immediatamente, tanto più che proprio quel giorno sarei stata già a Milano.
E così, carica dei miei consueti e sani pregiudizi, mi sono recata all'appuntamento, dove, come ha rilevato Valentina Maran "Sembra di stare dentro al 'Diavolo veste Prada' tutte col completo giusto". Tranne noi due, ovviamente, ma questo era scontato.
Vi dirò, essere seduta lì poteva anche essere un'esperienza professionalmente piacevole, se non fosse per il fatto che ero lì in quanto Benedetta Gargiulo di Donne in ritardo, e quindi in sostanza come la solita rompicoglioni, ruolo al quale non mi sono eticamente sentita di sottrarmi.
E allora eccolo il mio commento a questa operazione che nemmeno il terzo segreto di Fatima riesce ad eguagliare.
1) Presentano l'operazione nell'ordine: Ernesto Mauri, AD Mondadori, Carlo Mandelli, direttore generale periodici Italia, Angelo Sajeva, AD Mondadori pubblicità. Tre uomini in posizioni apicali che gestiscono il mondo dei più letti femminili italiani. Uomini. Tre. POI, arrivano le donne, le tre direttrici di Donna Moderna, Tu Style e Grazia. Quelle che stanno sul campo. Quelle che fanno splendere la casa così i mariti fanno bella figura con gli ospiti. Uh, che cattiva. Ma no, è solo per dire che c'è ancora un certo dislivello di genere tra una posizione e l'altra.
2) Non ho capito perché nella segmentazione di mercato, tra i periodici maschili è annoverato Panorama. Come dire: delle cose serie se ne occupano gli uomini. Che poi mi fa strano perché nella mia vita ho sicuramente letto più Panorama che Donna Moderna. Per dire.
3) Originalissima battuta sul trovarsi davanti a una platea da sogno e cioè a grande maggioranza di donne. E tutti giù a darsi di gomito. Non so, ma a me, se fossi davanti a una platea pubblica piena di uomini, non verrebbe proprio spontaneo dire "Wow! Ma che bello...è pieno di uomini!" Cioè, certo che magari un occhio ce lo butto, ma insomma, avrei la decenza di non farne un argomento di conversazione. Gli uomini invece lo fanno.

Ma siccome sono una persona intellettualmente onesta, devo darvi anche una buona notizia: le cose stanno veramente cambiando. Annalisa Monfreda, direttrice di Donna Moderna, viene presentata come una che "fa le cose che la rendono felice a prescindere dai risultati". Punta sull'ironia, ed è perfettamente consapevole della fatica che le donne fanno a "fare le cose che le rendono felici a prescindere dai risultati". Ha 34 anni, due figli e un approccio realistico alle tematiche femminili. Per quanto molto diversa da lei, anche Silvia Grilli, direttrice di Grazia, introduce la bella novità dell'informazione e dell'attualità accanto al corposo lato moda. Come se anche lei sentisse un po' strano che l'informazione venga data solo dai periodici "maschili" come Panorama. Nel numero di lancio di Grazia si parla anche di femminicidio, per esempio. Di famiglie allargate. Di politica.
Ho chiesto a entrambe se per questo rilancio avessero riflettuto esplicitamente sul modello culturale che volevano rappresentare. No, non ci hanno ragionato, ma è venuto evidentemente spontaneo impostare i contenuti dei loro giornali in linea con la realtà e non con gli stereotipi che tanto male hanno fatto alla nostra cultura. In effetti anche Marina Bigi di Tu Style ha impostato le offerte di moda comprendendo sempre anche la parte low cost, segno di una certa aderenza alla realtà.

Certo, poi fa un po' "unghie sulla lavagna" vedere l'inondazione di inserzioni di creme antiage, prodotti per la cura della casa, pillole dimagranti. Ma è anche bello poter notare finalmente questo contrasto.
E comunque alla fine il light lunch era light ma abbondante. Mica come il menù rosa di Trenitalia.


domenica 24 febbraio 2013

Quando uno si perde i momenti storici

Sto passando il fine settimana fuori casa, a Roma. Volevo presenziare all'ultimo angelus del Papa ma sono arrivata in ritardo, perdendomi questo momento storico. Pazienza. Adesso mi riposo un po', perché a Roma ho degli amici che si impegnano sempre molto nel garantirmi alti livelli di entertainment. E fra un po' prenderò un treno domenicale che mi riporterà nella mia città, dove finalmente potrò votare, perché questo invece è un momento storico che proprio non mi voglio perdere.

No, perché votare è importante. Una volta mica si votava. Una volta erano altri che decidevano per te. Poi hanno iniziato a decidere i cittadini, ma solo gli uomini però. Le donne non decidevano. Adesso, da un po' di tempo, ma nemmeno tanto (67 anni), possono decidere qualcosa pure loro. Beh, domani mi godo questa libertà.

In Italia circa la metà degli elettori sono uomini e circa l'altra metà sono donne, ma a questa evidenza non corrisponde la stessa proporzione tra i rappresentanti eletti. Quante saranno le donne elette? Poche. Perché poche sono ancora le candidate. Ecco, mi piacerebbe che le donne, oltre alla partecipazione al voto, iniziassero a partecipare anche all'impegno politico. Mi sembra importante. E no, non trovo ingiusta l'imposizione delle quote rosa.

Penso alla scuola, che una volta non era obbligatoria: chi voleva studiava, chi non voleva restava ignorante. Perché abbiamo sentito la necessità di rendere gli studi obbligatori? E perché abbiamo prolungato il percorso di studi ben oltre la quinta elementare? Perché ne andava del progresso del paese, perché più gente istruita fa crescere la civiltà, l'economia, il benessere collettivo. Ma uno poteva dire: "Eccheccavolo, ma chi mi dice che uno che studia è più in gamba di uno che non studia?" Infatti è vero: non è detto, ma in linea generale l'istruzione migliora un paese, lo rende più solido, più libero, più consapevole, più innovativo.
Beh, la partecipazione delle donne alla vita politica attiva, migliora il rendimento di uno Stato. Le donne, quando partecipano, alzano il PIL. La partecipazione delle donne rappresenta un'opportunità di crescita per tutti. Ecco perché va resa obbligatoria, se questa non si verifica da sola. Come nel caso dell'istruzione: se i giovani non vanno a scuola spontaneamente, vanno obbligati per legge.

Con questo pensiero talebano (adoro associare questa parola al concetto di parità di genere), vi saluto e  torno a casa.

giovedì 14 febbraio 2013

Ridiamo e battiamo le mani


Io, figlia della televisione, cresciuta assieme alle reti Fininvest, quando il logo di Canale 5 era una specie di lombrico con la testa di drago cinese (poi chiamato "Biscione"), Italia 1 era la rete dei gggiovani e Retequattro quella dei vecchi, sono stata educata, assieme all'intera mia generazione, a pochi ma solidi principi:
- la RAI non si guarda
- la felicità è un must assoluto, purché si tenga la TV sempre accesa
- se non sei felice è perché Tana delle Tigri minaccia i bambini di un orfanotrofio
- la mitologia greca ha incredibilmente plagiato la trama di Pollon
- è normale avere una quinta di reggiseno
- il progresso si sostituisce a Dio, da quando ha creato il telecomando e tu non ti devi più alzare dal divano per cambiare canale

Faccio queste considerazioni nostalgiche, quando, trent'anni dopo, mi trovo davanti al monitor del mio portatile, guardando un filmato su youtube e vedo il mio educatore, il mio creatore di felicità, che chiede a una giovane signora se viene e quante volte viene. Mi aspetto che da un momento all'altro salga sul palco l'Uomo Tigre facendo una delle sue mosse vincenti, prendendo quell'uomo cattivo alle spalle, stringendo i suoi bicipiti attorno al collo. Ma non succede niente. Allora penso che forse quella donna è in realtà Wonder Woman e adesso lancerà il suo cerchietto di metallo in faccia al suo dileggiatore, ma niente.
Faccio appello a tutta la mia razionalità e penso che forse potrebbe telefonare almeno la fidanzata di lui, dicendogli di smetterla di fare il porco con qualsiasi cosa respiri. Potrebbe reagire quella donna, vincendo il suo imbarazzo e dirgli di vergognarsi, che c'ha ottant'anni e che è patetico e che è lui che non viene più da duemila anni.
NON SUCCEDE NIENTE.
No, una cosa succede: risate e applausi dal pubblico.


Ed eccoci qui, paralizzati come è paralizzata tutta l'Italia. Paralizzati perché chissà dove abbiamo lasciato la nostra dignità, per cui accettiamo tutto "perché sennò chissà che cosa ci succede, perché potremmo perdere il lavoro, i soldi, l'approvazione della gggente". Allora ridiamo. Ridiamo e battiamo le mani, noi che siamo cresciuti con il concetto dell'applauso a comando. Ridiamo e battiamo le mani come tanti bambini deficienti.

Ma piangiamo anche. Ci commuoviamo davanti alla tenerezza di quest'uomo che adotta una cagnolina. Non solo, ma quando non siamo tra quelli che lo votano, quest'uomo, quando siamo tra coloro che lo disprezzano, che non lo vorrebbero vedere mai più, perché non gli diamo alcuna fiducia né credibilità, ci comportiamo comunque come lui ci ha insegnato, e allora facciamo le battutacce sul
fatto che lui adotta l'ennesima cagna. Lui è un ladro, un approfittatore, un disonesto, ma le donne che frequenta sono peggio, sono delle cagne. Cagne in calore. Animali. Cose. Non umane. Minus quam. Meno di zero. Meno di lui.


E quindi vale tutto. Anche Neri Marcorè che dice a Mara Carfagna che almeno con lei qualcosa si tira su. Perché la Carfagna è un'altra cagna. L'ennesimo animale che circola in Italia. E le si può dire di tutto, perché lavorava in TV e ha fatto un calendario, per cui, se fai queste cose, lo devi sapere
 che diventi cagna e che la gente ti disprezzerà perché non badi a sufficienza alla tua virtù. E trovo ipocriti anche quelli che giustificano i loro insulti dicendo che la Carfagna è una politica inconsistente, perché se è così, dici che è una politica inconsistente e non una cagna.

Oggi è San Valentino.
Umberto Smaila, salvaci tu.

mercoledì 6 febbraio 2013

L'agenda elettorale di Donne in ritardo

Nel Paleozoico, quando andavo al liceo, la professoressa d'italiano mi definì "donna politica", semplicemente perché, in onore della continuità didattica, ero andata a protestare dal Preside perché non volevo che ci cambiassero per il secondo anno di fila l'insegnante di matematica. Ovviamente poi ci rifilarono un'insegnante diversa ogni nuovo anno fino all'esame di maturità. Questo la dice lunga sulle mie reali qualità politiche, che devo dire in molti mi attribuiscono, e non so veramente perché. Nel mio percorso civile, dai diciott'anni in poi, ho votato veramente di tutto, da destra a sinistra, senza mai passare per il centro peraltro. Una pazza schizoide insomma, che non può dare alcuna affidabilità in termini di ragionamento politico. Se vi siete chiesti da chi mai fosse rappresentato il famoso gruppo degli "indecisi", quel 20-30% degli Italiani che fanno vincere una volta la destra e una volta la sinistra, beh, eccone una indegna partecipante. Che poi uno dice: "Ma come cazzo fai a votare una volta a destra e una volta a sinistra? In quali valori ti riconosci?" Osservazione più che lecita. Io ho un animo di sinistra, ma raramente trovo una sinistra per cui votare. Ahimè. A mia discolpa però dico che non voto a destra da molti, moltissimi anni.
Adesso che siamo in piena campagna elettorale potevo io esimermi dal dire qualcosa di sinistra? No.
Ovviamente faccio osservazioni del tutto personali e criticabili, ma in quest'ultimo periodo mi sono saltate agli occhi alcune cose.

Tipo l'immagine di Ambrosoli, candidato alla Presidenza della Regione Lombardia per il PD, circondato da donne entusiaste che lo acclamano come uno dei California Dream Men.


Tipo che il rivoluzionario e giovane Movimento 5 Stelle candida pochissime donne 13% alla Camera e 28% al Senato. Meno di certi partiti di estrema destra, che le donne le vorrebbero tutte a casa a sfornare figli, e in effetti Grillo non è che si discosti poi molto da questo pensiero:



Tipo l'esclusione nel Lazio per le liste dei Radicali, perché contavano 5 donne e 4 uomini, per cui troppe.

Tipo Berlusconi che adotta una cagnetta.


Siccome questo è un blog e non un romanzo russo, sarò sintetica e affronterò questi casi uno alla volta, partendo, oggi, da Ambrosoli.

No, ma carino Ambrosoli eh. Veramente. A me piace. È in gamba, giovane. Conosco anche diversi suoi sostenitori. In gamba anche loro, onesti e con le idee chiare. Poi però vedo quella foto e mi assale lo sconforto. Vedo questo harem attorno al sultano. E improvvisamente quella faccia tanto pulita e quei modi gentili impallidiscono di fronte all'immagine di pappone che mi si fissa nel cervello. Faccio inconsciamente un paragone con Berlusconi, attorniato da veline e starlette in cerca di qualcuno che le mantenga, e me ne  dispiaccio. Me ne dispiaccio perché in realtà il PD è l'unico che lì rispetta le quote rosa, che si presenta con più del 40% di candidate donne, è l'unico che ci crede e che ha capito (se non altro per opportunità politica) che le donne stanno diventando un elettorato sempre più consapevole del suo potere.
Ma non posso fare a meno di pensare che manca ancora un tassello: finché il candidato rimane uomo, le donne saranno, per quanto numerose, sempre in secondo piano. Per carità, è già un grandissimo traguardo eh, ma proprio questo mi porta a puntare ancora più alto, a un'immagine forte di una Presidente della Regione donna. Di una Regione importante come la Lombardia poi.

Ecco, vi lascio il caso Ambrosoli come spunto, assieme anche a un consiglio per gli acquisti che piacerà  a chi è curioso di sapere, giorno dopo giorno, come cambiano le intenzioni di voto (ma non solo) anche durante il periodo di "oscuramento" pre elettorale: si chiama PoliticApp ed è attualmente la app più scaricata dagli App store.


L'ha fatta SWG assieme a Nativi, un gruppo di giovani esperti in comunicazione a cui voglio molto bene. E finalmente ho detto una cosa carina.









lunedì 14 gennaio 2013

Storiella di Natale a posteriori

Un Natale qualunque, in una casa qualunque, arriva Babbo Natale, che deposita i regali sotto l'albero e riparte con la sua slitta. La mattina, il risveglio è emozionante.
"Vieni a scartare i regali! Guarda! Qui c'è scritto il tuo nome."
"MAMMA! GUARDA! MI HA PORTATO LA BAMBOLA CHE VOLEVO! IL CICCIOBELLO BUA!"
"Bene! Apriamo allora."
"Ha il ciuccio."
"Sì, proviamo a toglierlo."
"PIANGE!"
"Forse gli devi misurare la febbre."
"Sì, dovrò dargli anche lo sciroppo."
"Così guarisce."
"Mamma, ma anche tu avevi le bambole da piccola?"
"Qualcuna, sì."
"E le portavi in passeggino?"
"Non avevo il passeggino, però mi prendevo cura di loro. Mi esercitavo per quando avrei avuto dei figli."
"Anche io avrò dei figli."
"Se vorrai."
"Mi devo esercitare allora, così poi saprò fare tutto."
"Bene."
"E sarò bravo come papà."
"Speriamo."

venerdì 30 novembre 2012

Off topic

Per la prima volta dalla nascita di questo blog, vado fuori tema e posto un pezzo che non riesco a smettere di leggere. L'ha scritto la mia amica Marta Zacchigna, che a differenza mia, che faccio puro esercizio di stile, è una vera scrittrice. E se qualcuno si domandasse che cosa differenzia uno scrittore dal resto del mondo, qui lo potrà capire.
Se qualcuno volesse lasciare dei commenti a questo post, pubblicato su microclismi.com un paio di giorni fa, può farlo a questo link: http://www.microclismi.com/2012/11/28/il-fazzoletto-ripiegato-in-quattro/#comments

Buona lettura.

Il fazzoletto ripiegato in quattro

Questa mattina ho preso l’autobus. Sono salita con le mie cuffiette e l’Ipod e la mia borsa piena di tutte quelle piccole cose inutili che ci fanno sentire sicuri. Mi sono seduta vicino ad un anziano signore, distrattamente. Era l’unico posto libero.
Fermata dopo fermata, noto la fermezza del corpo che mi sta accanto, nemmeno un movimento, nonostante l’oscillazione della corsa, quasi una stasi dell’anima. Mi accorgo che il suo pantalone a costine è liscio, noto la scarpa consunta. Anche quella calza blu con elastico molle ha avuto stagioni migliori. Risalgo con lo sguardo, la camicia è macchiata. La giacca ha l’aria di essere stata sulle spalle di più persone. Gli guardo le mani: una abbraccia una borsa ecologica quasi sfondata (rispetta la natura), giallo canarino. L’altra stringe un fazzoletto di stoffa quadrettata.
Piange questo Signore. Si asciuga le lacrime. Forse perchè è il 28 del mese e la pensione minima è finita da un pezzo. Si accorge che lo sto guardando, e che sono turbata di avere la disperazione così vicina. Cerca un contegno in quel fazzoletto ripiegato in quattro, e si rannicchia come nella vergogna per una debolezza non più condivisibile.
Gli sono rimasta accanto senza dire nulla, ma ho sentito il suono muto di quell’abbandono alla tristezza invernale, che non cerca più consolazione e che chiede solo gli sia risparmiato qualsiasi slancio compassionevole. Vado al discount, a fare la spesa, come tutti, come tanti.
Ieri ho letto sul giornale che una quindicenne si è sparata. Qui, nella mia città, vicino al mare. Ho un déjà vu. Deve essere successo anche qualche mese fa. Un’altra ragazza. Se ne era parlato.
Allora oggi ho pensato a questo, mentre tenevo la fronte appoggiata al finestrino dell’autobus 22 che dall’Ospedale porta alla Stazione Centrale, mentre vedevo il mio alito appannare il vetro e sentivo il singulto di un settantenne triste a pochi centimetri da me.
… ho pensato che un Paese dove gli anziani piangono con le borse della spesa vuote, e gli adolescenti si ammazzano nella stupita, indignata sorpresa generale, è un Paese che ha perso la scommessa con la Storia. Io vorrei portare la classe politica tutta dentro a quell’autobus delle otto e trenta a fargli fare un bel giro. Portarla al Discount e far mangiare loro un tonno di qualità scadente, direttamente dalla latta. Mostrargli la dignità di quel fazzoletto quadrettato di stoffa ripiegato perfettamente in quattro porzioni identiche, memore di tempi migliori. Così come vorrei che tutti ci fermassimo per un giorno, e ci chiedessimo, tutti insieme, in quale buio nero più del nero abbiamo trascinato il futuro.
Microclisma: E adesso vado a lavorare.
PUBBLICATO IN BLOG CONTRASSEGNATO  2 COMMENTI

lunedì 26 novembre 2012

Rinarrate: un progetto per raccontare la violenza (tra un X Factor e un Dexter)

Per la prima volta mi mancano le parole per un incipit che sia degno dell'argomento. Allora inizio a raccontare semplicemente com'è andata.
Un giorno mi contattano dalla redazione di Bora.la, portale di informazione locale online per coinvolgermi in un progetto assieme al GOAP, il centro antiviolenza di Trieste. Il progetto si chiama Rinarrate, e ha come obiettivo quello di far raccontare a una decina di donne, vittime di violenza, la loro storia e di pubblicarla sul web per far nascere un dibattito. Mi si chiedeva di fare un po' di formazione a queste donne, sulla scrittura creativa, su web, su blog. A me è sembrata un'idea bellissima. Scrivere fa sempre bene, sia a chi scrive, sia a chi legge. E finalmente a scrivere adesso erano proprio le protagoniste, loro malgrado, di vicende di cui andrebbe letto e parlato moltissimo.

Da anni mi occupo anche di formazione. Insegno la comunicazione alle aziende, ai manager, alle associazioni professionali, ai master. Ma l'ho fatto anche ai corsi di apprendistato, a idraulici, elettricisti, tornitori. Ho avuto davanti a me classi di tutti i tipi e di tutti i livelli: preparati, esigenti, puntigliosi, svogliati, disinteressati, maleducati. Ho fatto lezione a centinaia di persone, a volte sudando freddo, a volte improvvisando, a volte con l'applauso finale, a volte con l'indifferenza. Ne ho visti di tutti i colori insomma, perché ogni classe è sempre diversa e bisogna sapersi adattare ed essere pronti allo scambio, all'interazione, all'imprevisto. Un incubo ogni volta quindi, ma da cui esco sempre soddisfatta.
Però giuro, mai nella mia vita mi sono sentita così emozionata come quel giorno in cui sono entrata al GOAP di Trieste e mi sono trovata davanti quelle otto donne che volevano scrivere la loro storia. Improvvisamente mi sono passati davanti tutti i post di due anni di blog e mi sono sentita un'idiota. Totalmente inadeguata a misurarmi con queste donne che invece erano lì per sentire da me come avrebbero dovuto raccontarsi sul web. La porta era alla mia destra, vicinissima, ma per scappare ormai era troppo tardi.
Alla fine ho fatto appello alla razionalità, mi sono seduta, le ho guardate e ho pensato che avremmo tutte imparato qualcosa l'una dalle altre. In fondo questo blog è una sorta di prologo alle loro storie, un'introduzione che tenta di spiegarsi da dove nasca tutto quanto, i gravi problemi culturali della nostra società, gli stereotipi in cui incappiamo spesso e che contribuiamo ad alimentare senza nemmeno accorgercene. Certo, la violenza esiste di per sé. Il problema è che viene alimentata, giustificata e a volte proprio invocata. Da chi? Da noi, chi più chi meno. E quindi i problemi sono due: la violenza e la sua giustificazione. E il fatto che la si giustifichi impedisce anche che si faccia qualcosa per prevenirla. Non si fa educazione, non si spiega ai bambini maschi che usare le mani è sbagliato. Si sanzionano però le femminucce, quando lo fanno. Perché una femminuccia certe cose non le deve fare. Il maschietto invece è maschietto, si sa che è esuberante. I maschi vengono cresciuti come macchine da guerra e le femmine come fashion victims che hanno solo bisogno di un protettore. Questo nel 2012. Ma non lo dico io sulla base di osservazioni personali, lo dicono gli studi più recenti, le ricerche. E dicono che la situazione è in peggioramento.

Mi è piaciuto passare quelle due ore con quelle donne. Mi è piaciuto guardarle e conoscerle. Un paio di loro mi sembrava di averle già viste, da qualche parte. Mi è sembrato di conoscerle già. Mi sono sforzata di ricordare da dove. Ma poi in fondo che importa? Le conosciamo già tutti quanti, quando entriamo in quel negozio, quando vediamo quella cassiera al supermercato, quando ritiriamo quella raccomandata in posta, quando stringiamo la mano a quell'impiegata. Le donne vittime di violenza sono ovunque e sono tantissime e ci parliamo ogni giorno. Ma non ci pensiamo. Pensiamo che la violenza sia molto lontana da noi. Che si consumi in famiglie balorde, che non fanno parte del nostro giro. E invece no. Non è - solo - il disoccupato che beve e torna a casa infuriato. È anche l'avvocato astemio membro dell'associazione di beneficenza. È il notaio, il commercialista, il carabiniere, il nostro vicino di casa che vediamo all'assemblea condominiale che raccoglie le deleghe, è il vicino di brandina allo stabilimento balneare, è quello che guida il nostro autobus, è il personal trainer o il preside della scuola dei nostri figli. È il nostro vecchio compagno di classe delle superiori che da ragazzo ci faceva tanto ridere.

Oggi è partito ufficialmente il progetto Rinarrate. A questo link trovate il primo racconto. Ogni lunedì ne troverete uno nuovo, pronto per essere commentato e per essere conosciuto e divulgato. Ogni lunedì avremo la possibilità di comprendere quanto vicine a noi siano queste persone. Sia le vittime sia i carnefici. E avremo la possibilità di pensarci un po' su. Tra un X Factor e un Dexter.

Io, intanto, ringrazio Bora.la, Goap Trieste e tutte le donne che ho conosciuto in questo progetto, per avermi dato queste grandissime emozioni.
E invito tutti i lettori di questo blog a dare il loro contributo, commentando tutti i racconti.


venerdì 26 ottobre 2012

Menù rosa, sul Freccia Rosa, ovvero, quando essere uomo garantisce la sopravvivenza


È passato troppo tempo dall'ultima volta che ho parlato (male) di treni. Sono quindi lieta adesso di riprendere quei vecchi discorsi.
Ricordo con grande commozione il mio primo post su Trenitalia. Era il 1 ottobre 2010 ed era appena stata lanciata la campagna Freccia Rosa per le donne, una surreale promozione che prevedeva sconti alle donne purché viaggiassero accompagnate. Non a caso il titolo di quel mio post era Mille splendidi treni.
Sono passati due anni, ma il Frecciarosa (con una esse) continua a esistere, con tutto il suo contorno di fittizio mondo creato apposta per le donne, come se le donne avessero sempre bisogno di un universo "a parte". Che poi da "a parte" ad "apartheid" il passo è breve.
Ieri parto all'alba da Trieste e trovo ad accogliermi in stazione un Freccia Bianca truccato da Freccia Rosa: 

Ho molto riso per l'ironia involontaria di tutto questo. Le donne viaggiano ad alta velocità. Non lo trovate esilarante? E dove stiamo andando così veloci? Forse a fare la spesa prima che chiuda il supermercato. Non lo so. Ma poi mi fa sempre ridere il concetto di alta velocità applicato ai nostri treni. Soprattutto sul QUEL treno, che per arrivare a Milano ci mette un'eternità.
Ma insomma andiamo avanti.
Parto da sola. Come sempre del resto, quindi niente promozione. Faccio le mie cose a Milano. Riprendo un altro Freccia Bianca truccato.
Stanca morta.
Sento l'impellente necessità di un caffè.
E qui devo dire che una cosa buona Trenitalia l'ha fatta, siglando una partnership con illy. No, non mi pagano per questa affermazione. Lo faccio con piacere per promuovere l'economia della mia città. E anche perché illy è l'unico brand a cui sono veramente fedele. No, ho detto che non mi pagano!
Comunque mi bevo questo caffè nella carrozza bar e inizio a rinascere.
Ma poi muoio di nuovo, perché trovo su uno dei tavolini il menù dedicato alle clienti Freccia Rosa.

E quali prelibatezze hanno deciso di dedicarci questi campioni del marketing? Mmm, una succulenta colazione con Yogurt, bevanda calda e succo. La fiera dell'acido a una modica cifra di 5,50 Euro. E poi un pranzo a 11 Euro. E che mangio per pranzo? Un'insalata (che per darle un senso chiamano insalatONA) e una macedonia. Ah sì, e l'acqua, nel caso non fossi ancora sazia. MENU LIGHT lo chiamano. Anche se il nome più appropriato sarebbe MENU ZERO.
Ma non ero ancora completamente inorridita, perché non so se lo sapete, ma io in realtà sono un'inguaribile romantica. Io ci credo sempre. Sono ottimista. Penso sempre bene. E quindi d'istinto ho girato il menù per leggere le altre proposte sul retro. Magari c'era il menù carne, il menù pesce, il menù wannabe-fat. Non so, magari qualcosa di etnico anche. E invece, come per ogni inguaribile romantica, la commedia si trasforma in tragedia. Dietro non c'era niente. I menù "dedicati a tutte le donne" implicano una colazione da gastrite e un pranzo da fame. Che nemmeno in ospedale ti fanno mangiare così.
Tralasciamo il fatto che 11 euro per fare la fame mi sembrano eccessivi, ma che cazzo di pranzo è? No, okay, magari c'è veramente qualche donna che è a dieta. Ma le altre? Le altre che non sono a dieta, che stanno bene così, che amano le fettuccine al ragù o il filetto in crosta di pane e che l'insalata la mangiano come contorno e non come primo? Le altre, che sono la maggioranza, non sono evidentemente donne. Perché il menù parla chiaro: è dedicato a TUTTE le donne. Per cui se non ti ci ritrovi, vuol dire che sei un uomo. E se sei un uomo non hai bisogno di un menù light, anche se ti esplodono le coronarie dal colesterolo.
Ma a parte gli scherzi, se io fossi un'associazione che si occupa di prevenire e curare problemi legati all'alimentazione tipo anoressia e bulimia, qualcosa direi.
Ecco, io ve l'ho detto. Che non sembri sempre tutto una barzelletta.

mercoledì 24 ottobre 2012

"Faccio le pulizie e poi ti spacco la faccia"

































Ok, abbiamo un problema. Soprattutto io, che ne ho due. Ieri ho dovuto affrontare una discussione molto dolorosa con i miei figli maschi, rispettivamente di tre e quasi-sei anni. Guardavamo la pubblicità dei giocattoli in TV e loro si divertivano a fare la lista di quello che avrebbero chiesto a Babbo Natale quest'anno. Una lista che includeva qualsiasi gioco proposto ovviamente. O meglio, QUASI qualsiasi gioco. Per la precisione solo i giochi socialmente individuati come giochi per maschi. Quando sono arrivate le pubblicità delle varie principesse, c'è stato un coro di BLEAAAAAH! Accompagnato da cori da stadio e da considerazioni del tipo: "Che schifo! Sono giochi per femmine!"

Confesso che sul momento (ma forse ancora adesso) avrei preferito che mi dicessero: "Mamma, volevo dirti che mi drogo da quando avevo due anni e mezzo". Oppure: "Mamma, io in realtà non sono tuo figlio, sono una marionetta".
Cose così.

Invece ho dovuto sentire e subire tutto questo in silenzio. Oddio, in silenzio non tanto. Chi legge questo blog da un po' di tempo, può immaginare la mia reazione a riguardo. Ho ristabilito l'ordine soltanto dopo averli minacciati di buttare alle fiamme la loro cucinetta Ikea con tutte le pentole e i bicchieri, di defenestrare il bambolotto che piange quando gli levi il ciuccio, di buttare nell'immondizia l'aspirapolvere e di bastonarli con il mattarello che usano per preparare i biscotti col papà. Così potranno veramente iniziare la loro tanto amata vita da maschioni.

Come se tutto ciò non bastasse, la situazione si è anche aggravata con lo spot del nuovo castello di Cenerentola di Mattel. Purtroppo non l'ho trovato in rete, ma recita più o meno così: "bla bla bla...magia...bla bla...sogni...bla desideri...bla bla bla...finisco di pulire e vado al ballo...bla bla...felicità...principe...bla bla bla"

EH??? FINISCO DI PULIRE E VADO AL BALLO???

Ma siete completamente rincoglioniti o cosa?
Già la storia di Cenerentola è avvilente per qualsiasi donna, e di questo abbiamo già discusso ampiamente in passato (basta che digitiate "Cenerentola" nello spazio di ricerca su questo blog). Già dobbiamo ancora oggi fare i conti con le false aspettative che quella fiaba ci ha indotto, e quando pian piano, forse e con tanti sacrifici ne stiamo venendo fuori, ecco che ci propinano la versione peggiorativa della storia! Cioè, almeno nel film della Disney era chiaro che Cenerentola era infelice con la matrigna e le figlie! L'abbiamo vista piangere, povera creatura! Lei non voleva fare la serva! Voleva andare al ballo e sposare il Principe.
E invece in questo spot che mi dicono? "Finisco le pulizie e vado al ballo". Lo so, lo so, sembra un'inezia, un particolare insignificante. Sembra che mi fisso. Ma la questione invece è importante. Le parole sono importanti. Soprattutto quelle buttate là, in uno spot per un giocattolo per bambini. Non c'è tensione in questo spot, non c'è dramma. Tutto è bello, magico, fantastico. Altrimenti il gioco chi se lo compra? Ma così passa anche il concetto che è ASSODATO che prima di andare al ballo si devono finire le pulizie. Come quando dico ai miei figli maschi: se prima non mettete a posto non si va a casa degli amici. E così la Cenerentola di quello spot non soffre a fare le pulizie. No. Dopotutto sono solo una fase necessaria prima di andare a divertirsi. E infatti nel castello di Cenerentola ci sono le stanze fatte apposta per sintetizzare e stemperare in un unico ambiente tutta la sua storia. Troviamo l'armadio con il primo vestito, troviamo il vestito del ballo e troviamo la scopa col secchio. Tutto insieme.
Ma dovete sentire poi il tono con cui la bambina-Cenerentola dice "Finisco le pulizie e vado al ballo"! Serena, emozionata, felice. Un film dell'orrore.

Ma poi sembra che io non voglia fare le pulizie e ce l'abbia con l'igiene domestica. Ma no. Va bene. Facciamole queste pulizie. Anche prima di andare al ballo. Però voglio che poi, anche i Bakugan, anche i Gormiti, i Ninjago e tutti i mostri del mondo facciano la stessa cosa prima di andare a combattere. Voglio sentire il prossimo spot di Ben Ten che dice "Faccio le pulizie e poi vengo a spaccarti la faccia". Allora va bene.
Intanto, il castello di Cenerentola sarà il regalo di Natale dei miei figli.

lunedì 15 ottobre 2012

"Da grande voglio fare il cuoco". Ma anche prete va bene.


Allora, adesso finalmente posso parlarvi della prima elementare del mio primogenito. Che poi non si chiama scuola elementare, ma scuola primaria. E il preside non è più preside ma dirigente scolastico. Le gite sono uscite didattiche e il diario è sostituito dal libretto delle comunicazioni. Ora ho un dubbio legittimo su come chiamare le maestre, che intanto non sono una ma almeno due e io non ho ancora capito che materie insegna una e che materie l'altra, ma insomma va bene così.
Ho iscritto mio figlio a una scuola pubblica, anche se confesso di avere accarezzato l'idea del privato. Confesso e me ne vergogno. Il fatto è che si sentono così tante brutte cose sulla scuola pubblica, che cade a pezzi, che crolla al primo terremoto, che non ha i soldi nemmeno per la carta igienica, che le maestre sono scazzate, che ormai non si impara più niente. Insomma, a me piacerebbe che i miei figli iniziassero a leggere e scrivere bene, che apprendessero un metodo serio per studiare, che imparassero la curiosità, e non ero tanto sicura che la scuola pubblica agevolasse tutto ciò. Ma poi mi sono ricordata che anche quando andavo a scuola io non è che ci fosse proprio tutta questa perfezione. Se ti capitava la maestra balorda eri fritto per i successivi cinque anni. E in effetti non ero nemmeno troppo entusiasta dell'idea che i miei figli crescessero sotto una campana di vetro, dove l'ordine e la disciplina regnano sovrani, e da dove poi è molto difficile uscire. Non volevo che i miei figli crescessero avulsi dalla realtà insomma. Perché il mondo non è caucasico e la nostra civiltà non avrà ancora per molto la supremazia economica sulle altre e perché trovo utile - anche dal punto di vista della conoscenza - che i bambini imparino fin da subito ad avere dimestichezza con le altre culture. E non sto facendo un discorso buonista di amore e fratellanza: sto proprio parlando di ciò che è meglio. Ed è meglio che i miei figli si integrino con bambini cinesi, moldavi, kosovari, tunisini, senegalesi piuttosto che ne ignorino l'esistenza. Mi sembra che ignorarne l'esistenza sia dannoso, nel lungo periodo. E credo che un bambino che conosce usi e costumi di altri popoli e paesi abbia delle carte in più rispetto a un bambino che non ne abbia idea. Ecco, io vorrei che i miei figli avessero quelle carte in più, perché in fondo sono un'orribile arrivista.
E quindi sento mio figlio che mi parla dei suoi 24 compagni di classe. E pronuncia nomi stranieri come se stesse dicendo "Carlo" o "Francesca". E questo mi piace molto. I bambini di prima elementare, o come diavolo si chiama adesso la scuola, sono delle tavolette intonse, senza pregiudizi e sono molto curiosa di vedere come cresceranno, immersi da subito nelle diversità. E mi ha dato presto una bella lezione, mio figlio, quando mi stava parlando di Mihailo e io gli ho chiesto da quale paese dell'est provenisse. "Da nessuno: è italiano" Mi ha risposto come se gli avessi chiesto quanto fa uno più uno. In effetti per lui non ha alcuna importanza sapere l'origine di Mihailo. Lo scoprirà negli anni forse, dopo che intanto avranno fatto mille giochi insieme e saranno diventati amici. Adesso chissenefrega da dove viene lui o la sua famiglia.
E mi piace vedere mio figlio che va a scuola così, pulito. E vorrei che la stessa cosa avvenisse nella sua percezione di maschio e di femmina. Vorrei che nessuno gli imponesse lo schema "uomo-cacciatore / donna-preda" e nemmeno quello "uomo lavora / donna casa" o quello "dietro ogni grande uomo c'è sempre una grande donna", per esempio. Vorrei che giocasse con bambini e bambine senza filtri, senza replicare ruoli artificiali imposti da noi "grandi". Al momento, il mestiere che vuole fare mio figlio da grande è il cuoco. Dice che vuole andare a lavorare a Parigi (e stai tu a spiegargli che la cucina francese fa cagare) e poi anche sulle navi da crociera (scegli bene, ti prego) e vuole inventarsi un sacco di ricette. Per adesso fa tanta gavetta, apprendendo le tecniche dal padre, che non è cuoco ma cucina, con grande soddisfazione sua e di quelli che gli stanno intorno. Mi piacerebbe che nessuno a scuola lo censurasse, dicendogli che cucinare è un lavoro da donna. Mi piacerebbe che fosse sempre libero di esprimersi e fare quello che sente, anche se fosse il ballerino e, ahimè, anche se fosse il prete.
Chissà se questo, all'alba del 2012, sarà possibile.
Vi terrò aggiornati.