Per la prima volta dalla nascita di questo blog, vado fuori tema e posto un pezzo che non riesco a smettere di leggere. L'ha scritto la mia amica Marta Zacchigna, che a differenza mia, che faccio puro esercizio di stile, è una vera scrittrice. E se qualcuno si domandasse che cosa differenzia uno scrittore dal resto del mondo, qui lo potrà capire.
Se qualcuno volesse lasciare dei commenti a questo post, pubblicato su microclismi.com un paio di giorni fa, può farlo a questo link: http://www.microclismi.com/2012/11/28/il-fazzoletto-ripiegato-in-quattro/#comments
Buona lettura.
Il fazzoletto ripiegato in quattro
Questa mattina ho preso l’autobus. Sono salita con le mie cuffiette e l’Ipod e la mia borsa piena di tutte quelle piccole cose inutili che ci fanno sentire sicuri. Mi sono seduta vicino ad un anziano signore, distrattamente. Era l’unico posto libero.
Fermata dopo fermata, noto la fermezza del corpo che mi sta accanto, nemmeno un movimento, nonostante l’oscillazione della corsa, quasi una stasi dell’anima. Mi accorgo che il suo pantalone a costine è liscio, noto la scarpa consunta. Anche quella calza blu con elastico molle ha avuto stagioni migliori. Risalgo con lo sguardo, la camicia è macchiata. La giacca ha l’aria di essere stata sulle spalle di più persone. Gli guardo le mani: una abbraccia una borsa ecologica quasi sfondata (rispetta la natura), giallo canarino. L’altra stringe un fazzoletto di stoffa quadrettata.
Piange questo Signore. Si asciuga le lacrime. Forse perchè è il 28 del mese e la pensione minima è finita da un pezzo. Si accorge che lo sto guardando, e che sono turbata di avere la disperazione così vicina. Cerca un contegno in quel fazzoletto ripiegato in quattro, e si rannicchia come nella vergogna per una debolezza non più condivisibile.
Gli sono rimasta accanto senza dire nulla, ma ho sentito il suono muto di quell’abbandono alla tristezza invernale, che non cerca più consolazione e che chiede solo gli sia risparmiato qualsiasi slancio compassionevole. Vado al discount, a fare la spesa, come tutti, come tanti.
Ieri ho letto sul giornale che una quindicenne si è sparata. Qui, nella mia città, vicino al mare. Ho un déjà vu. Deve essere successo anche qualche mese fa. Un’altra ragazza. Se ne era parlato.
Allora oggi ho pensato a questo, mentre tenevo la fronte appoggiata al finestrino dell’autobus 22 che dall’Ospedale porta alla Stazione Centrale, mentre vedevo il mio alito appannare il vetro e sentivo il singulto di un settantenne triste a pochi centimetri da me.
… ho pensato che un Paese dove gli anziani piangono con le borse della spesa vuote, e gli adolescenti si ammazzano nella stupita, indignata sorpresa generale, è un Paese che ha perso la scommessa con la Storia. Io vorrei portare la classe politica tutta dentro a quell’autobus delle otto e trenta a fargli fare un bel giro. Portarla al Discount e far mangiare loro un tonno di qualità scadente, direttamente dalla latta. Mostrargli la dignità di quel fazzoletto quadrettato di stoffa ripiegato perfettamente in quattro porzioni identiche, memore di tempi migliori. Così come vorrei che tutti ci fermassimo per un giorno, e ci chiedessimo, tutti insieme, in quale buio nero più del nero abbiamo trascinato il futuro.
Microclisma: E adesso vado a lavorare.
L'umiltà della chiusura è commovente. Marta Zacchigna è giovanissima, eppure non si tira fuori dal numero dei colpevoli, auspicando che “ci chiedessimo, tutti insieme, in quale buio nero più del nero abbiamo trascinato il futuro”.
RispondiEliminaPreferisce assumersi la sua parte di peso, senza scaricarlo su generici altri – pur avendo oggettivamente tutto il diritto di farlo: per ragioni anagrafiche e lavorative, se non altro. Grazie Marta, e grazie Benedetta ;)
Senza fare la critica letteraria, trovo che tutto il post ruoti attorno ai concetti di vicinanza-lontananza, e poi caldo-freddo. La prossimità dell'anziano signore sull'autobus. La lontananza della ragazzina che in riva al mare che si è suicidata. L'anziano si ranicchia, Marta si avvicina al vetro - freddo - del finestrino. E alla fine conclude con il nero, in cui però siamo tutti insieme, stretti in un abbraccio di solidarietà, volenti o nolenti.
EliminaNon so, c'è qualcosa in questo post che mi coinvolge, al di là delle parole.
Ciao!
RispondiEliminaEcco questo racconto è un po' come dipingere con le parole. Poi si resta lì a guardare il dipinto in silenzio. Le emozioni sono troppe e difficili da elaborare su due piedi. Grazie.
Eh sì, grazie
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