Allora, adesso finalmente posso parlarvi della prima elementare del mio primogenito. Che poi non si chiama scuola elementare, ma scuola primaria. E il preside non è più preside ma dirigente scolastico. Le gite sono uscite didattiche e il diario è sostituito dal libretto delle comunicazioni. Ora ho un dubbio legittimo su come chiamare le maestre, che intanto non sono una ma almeno due e io non ho ancora capito che materie insegna una e che materie l'altra, ma insomma va bene così.
Ho iscritto mio figlio a una scuola pubblica, anche se confesso di avere accarezzato l'idea del privato. Confesso e me ne vergogno. Il fatto è che si sentono così tante brutte cose sulla scuola pubblica, che cade a pezzi, che crolla al primo terremoto, che non ha i soldi nemmeno per la carta igienica, che le maestre sono scazzate, che ormai non si impara più niente. Insomma, a me piacerebbe che i miei figli iniziassero a leggere e scrivere bene, che apprendessero un metodo serio per studiare, che imparassero la curiosità, e non ero tanto sicura che la scuola pubblica agevolasse tutto ciò. Ma poi mi sono ricordata che anche quando andavo a scuola io non è che ci fosse proprio tutta questa perfezione. Se ti capitava la maestra balorda eri fritto per i successivi cinque anni. E in effetti non ero nemmeno troppo entusiasta dell'idea che i miei figli crescessero sotto una campana di vetro, dove l'ordine e la disciplina regnano sovrani, e da dove poi è molto difficile uscire. Non volevo che i miei figli crescessero avulsi dalla realtà insomma. Perché il mondo non è caucasico e la nostra civiltà non avrà ancora per molto la supremazia economica sulle altre e perché trovo utile - anche dal punto di vista della conoscenza - che i bambini imparino fin da subito ad avere dimestichezza con le altre culture. E non sto facendo un discorso buonista di amore e fratellanza: sto proprio parlando di ciò che è meglio. Ed è meglio che i miei figli si integrino con bambini cinesi, moldavi, kosovari, tunisini, senegalesi piuttosto che ne ignorino l'esistenza. Mi sembra che ignorarne l'esistenza sia dannoso, nel lungo periodo. E credo che un bambino che conosce usi e costumi di altri popoli e paesi abbia delle carte in più rispetto a un bambino che non ne abbia idea. Ecco, io vorrei che i miei figli avessero quelle carte in più, perché in fondo sono un'orribile arrivista.
E quindi sento mio figlio che mi parla dei suoi 24 compagni di classe. E pronuncia nomi stranieri come se stesse dicendo "Carlo" o "Francesca". E questo mi piace molto. I bambini di prima elementare, o come diavolo si chiama adesso la scuola, sono delle tavolette intonse, senza pregiudizi e sono molto curiosa di vedere come cresceranno, immersi da subito nelle diversità. E mi ha dato presto una bella lezione, mio figlio, quando mi stava parlando di Mihailo e io gli ho chiesto da quale paese dell'est provenisse. "Da nessuno: è italiano" Mi ha risposto come se gli avessi chiesto quanto fa uno più uno. In effetti per lui non ha alcuna importanza sapere l'origine di Mihailo. Lo scoprirà negli anni forse, dopo che intanto avranno fatto mille giochi insieme e saranno diventati amici. Adesso chissenefrega da dove viene lui o la sua famiglia.
E mi piace vedere mio figlio che va a scuola così, pulito. E vorrei che la stessa cosa avvenisse nella sua percezione di maschio e di femmina. Vorrei che nessuno gli imponesse lo schema "uomo-cacciatore / donna-preda" e nemmeno quello "uomo lavora / donna casa" o quello "dietro ogni grande uomo c'è sempre una grande donna", per esempio. Vorrei che giocasse con bambini e bambine senza filtri, senza replicare ruoli artificiali imposti da noi "grandi". Al momento, il mestiere che vuole fare mio figlio da grande è il cuoco. Dice che vuole andare a lavorare a Parigi (e stai tu a spiegargli che la cucina francese fa cagare) e poi anche sulle navi da crociera (scegli bene, ti prego) e vuole inventarsi un sacco di ricette. Per adesso fa tanta gavetta, apprendendo le tecniche dal padre, che non è cuoco ma cucina, con grande soddisfazione sua e di quelli che gli stanno intorno. Mi piacerebbe che nessuno a scuola lo censurasse, dicendogli che cucinare è un lavoro da donna. Mi piacerebbe che fosse sempre libero di esprimersi e fare quello che sente, anche se fosse il ballerino e, ahimè, anche se fosse il prete.
Chissà se questo, all'alba del 2012, sarà possibile.
Vi terrò aggiornati.
Anch'io vorrei che queste cose fossero possibili, che non ci fossero distinzioni di genere lavorativo di nessun tipo, sarebbe bellissimo se la scuola insegnasse questo, anche se la carta igienica la dovessi portare io da casa! Per ora mio figlio va alla materna (che poi è primaria o non so cosa) e le maestre cercano proprio di insegnare questo, il rispetto per gli altri, anche per quelli che non ci piacciono, è questo è molto più importante di tutto il resto!
RispondiEliminaSì che sarà possibile, se l'imprinting è quello giusto. A proposito di un bambino che voleva fare il cuoco, mooolti anni fa però, e che fu orribilmente dissuaso, diventando astronomo, ma conservando la passione per la cucina, il film di qualche anno fa: "Un tocco di zenzero"
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