mercoledì 15 settembre 2010

I sogni son desideri


Più volte, nella nostra vita, ci siamo soffermate sui danni infiniti che le favole hanno avuto sulle aspettative di noi donne, una volta diventate adulte. L'argomento più discusso è sempre stato la figura del Principe azzurro, che ci avrebbe salvate tutte da una vita fatta di continue vessazioni e assenza di diritti costituzionali. Tutte sognano il Principe azzurro, l'uomo perfetto in sella al suo cavallo bianco, che ci ama incondizionatamente. L'unico requisito è forse il 35 di piede, ma non sottilizziamo. Ci sono donne che non si sono mai rassegnate all'evidenza, e quel principe lo aspettano ancora, sedute sulle loro sedie a rotelle, nelle case di riposo. Qualcuna per un attimo ha creduto di averlo trovato, ma poi si è guardata da fuori e si è sentita come probabilmente si è sentita Cenerentola dopo il matrimonio.
Come si è sentita Cenerentola dopo il matrimonio? Beh, dopo esser partita in carrozza mostrando il dito medio alle sorellastre, dopo aver passato una fantastica luna di miele a Bali, o all'Isola che non c'è, Cenerentola, subito incinta, si è insediata nel castello. Il principe sempre in giro per missioni diplomatiche, il suocero con l'alzheimer che le domanda ogni cinque minuti chi è e che cosa vuole, uno stuolo di servitori che la odiano e la invidiano a morte. L'unica sua funzione è quella decorativa. Piano piano si rende conto di non aver nemmeno chiesto al principe come si chiamava. Che ne so, Giulio, Peter, Astolfo? Si rende conto di non averlo conosciuto. Del resto al principe non sembra importare molto cosa pensi Cenerentola. Si accontenta di farsi massaggiare i piedi quando torna stanco dal lavoro, per poi pretendere i favori coniugali. Ecco, Cenerentola dopo il matrimonio si sente peggio che in casa della matrigna, dove almeno aveva instaurato dei processi di socializzazione con gli animali del cortile. Se vi siete mai chiesti come mai non sia mai uscito il sequel di Cenerentola, beh, il motivo è questo. Cenerentola alla fine torna a casa sua.

Chi nel mondo reale ha sposato un principe azzurro, ma senza regno, non ha potuto nemmeno contare sullo stuolo di servitori, che almeno una mano in casa la davano. Molte non si sono mai capacitate della velocità di passaggio del principe dall'altare al divano, e del loro passaggio dall'altare ai fornelli, alla lavatrice, alla sala parto, al lavoro, al supermercato. E hanno divorziato.
I danni di Cenerentola sono enormi: sociali, psicologici, patrimoniali, esistenziali. Bisognerebbe fare una class action contro la Disney.
Voglio dire: che spessore diamo al Principe azzurro? Perché non ha una personalità? Quale messaggio dà questa favola alle bambine (e a mio figlio)? Che non importa chi sia l'uomo, che cosa faccia, quali siano i suoi gusti, i suoi vizi e le sue virtù, non importa che tipo sia, se beve, se fuma, se ha la terza elementare o la laurea, non importa se sia un infedele o un bigotto, se abbia il senso dell'umorismo o se sia permaloso. L'importante è che sia un uomo che ti voglia sposare. Così tu finalmente potrai sentirti una donna completa, sposata e con dei figli, e potrai continuare a fare quello che facevi prima: niente.

Del resto va pure peggio a Biancaneve, che prima fa da serva alla matrigna, poi fa da serva ai sette nani, poi finisce a fare la serva del principe (anche lui visto solo una volta, di sfuggita). Mi colpisce una battuta del film in particolare, quando Biancaneve entra per la prima volta in casa dei sette nani e vede in che stati è ridotta. Pile di piatti sporchi nel lavello, ragnatele ovunque, calzini puzzolenti sparsi dappertutto, cassetti aperti, polvere in ogni angolo. Praticamente un appartamento di studenti erasmus. "Ma non hanno una mamma?" Dice Biancaneve, non sapendo che probabilmente la madre era scappata in qualche comunità hippie a fare sesso di gruppo e a cibarsi dei frutti della terra. Ovviamente del padre nessuno domanda. Sicuramente sarà stato in ufficio. Ma tanto il suo contributo domestico non è richiesto.
Okay, mi si può obiettare che le favole sono state concepite un secolo fa, che erano altri tempi, ma vogliamo allora parlare di Nemo?
Nato dalle più sofisticate tecniche di animazione digitale, con il contributo di giovanissimi sceneggiatori ed esperti in ogni campo del mondo infantile, Nemo rappresenta comunque, ai giorni nostri, l'evidenza della discriminazione. Anzi, peggio: è portatore sano di uno di quei bachi del sistema di cui ho parlato nei precedenti post. La madre di Nemo muore subito. Resta il padre, che manifesta subito la sua inettitudine totale nell'educazione del figlio. Ansioso che il pesciolino si faccia male o che gli succeda qualcosa. E non potrebbe essere altrimenti: come volete che possa farcela un uomo, da solo, senza l'aiuto della moglie? Non lasciatevi ingannare da tutte le avventure che vive il padre di Nemo per raggiungerlo: per riuscirci l'hanno dovuto far accompagnare da una donna, fra l'altro con un problema neurologico. Ma nonostante il problema neurologico, l'amica del padre di Nemo riesce a farlo arrivare a destinazione.

Il capitolo sui modelli che i nostri figli apprendono dalle favole e dai cartoni animati richiederebbe uno studio approfondito. Magari qualche laurendo in Scienze della comunicazione o in psicologia infantile  o in sociologia, potrebbe pure farci una tesi. Noi ci accontentiamo di un blog.

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