martedì 20 dicembre 2011

Scusi, lei soffre?

Che gioia, che felicità. Ce l'ho quasi fatta: ho quasi finito di comprare tutti i regali di Natale, ho quasi finito di lavorare, ho quasi finito di fare la spesa per la cena della vigilia (ho addirittura già ordinato il pesce), ho quasi tutto sotto controllo. Quasi. Sono abbastanza soddisfatta, dai. E poi per me Natale è speciale a prescindere. Cioè, resto sempre la solita cinica e acida di sempre, ma sensibilmente di meno. Perché a Natale è nato il mio primogenito. La notte di Natale proprio, all'una e quaranta. Amore. In sala d'aspetto c'erano circa una decina di amici e parenti che attendevano con ansia l'arrivo di questa creatura. Qualcuno giocava a carte, qualcuno intonava canzoncine di Natale. Poi sono tutti andati ai rispettivi cenoni. Poi sono tornati. E alla fine ce l'ho fatta. È nato Lorenzo. Però non è vero che uno si dimentica del parto. No. Non è vero che alla fine penso solo alla magica notte di Natale. No. Un cazzo proprio.
Avevo le doglie da due giorni. Poi in ospedale mi hanno dato l'ossitocina per farle aumentare. Poi ho chiesto l'epidurale. Poi l'ho richiesta. Poi l'ho supplicata. E mi hanno detto che non c'era l'anestesista. Poi che dovevo fare un cesareo. E l'anestesista improvvisamente c'era. E me l'hanno fatta l'epidurale. Per il cesareo.
Alla fine ero contenta. Era nato Lorenzo. Era la notte di Natale. Ero viva. Però mi è sempre rimasta la sensazione che il bambino avrebbe potuto nascere anche col parto naturale. Magari avendo un po' di pazienza. Magari facendomi l'epidurale, così mi sarei riposata un po'. Magari se non fosse stato il 24 dicembre e i medici fossero stati un po' meno scazzati. Chissà.
Comunque, due anni e otto mesi dopo, quando doveva nascere il mio secondogenito, non ho voluto farmi fregare: ho firmato settecento carte per partorire naturalmente e CON epidurale. Inizio il travaglio e vado tranquilla. Poi arrivo a quel punto per cui ti accorgi che devi prenderti qualcosa. Come quando hai mal di testa e aspetti un po' di vedere come va, perché non vuoi subito imbottirti di analgesici. A volte passa da solo, a volte rimane blando e non prendi niente, ma a volte ti scoppia irrimediabilmente e devi per forza farti di Aulin. Ecco, in sala parto, ero arrivata a quel punto. A quel punto c'è stato un breve ma intenso scambio di battute tra me e l'ostetrica che mi assisteva:
"Voglio l'epidurale".
"Sì, ora vediamo".
"No, la voglio subito, ho firmato, ho fatto le analisi".
"Ma sta andando bene..."
"No, TU stai andando bene, brutta puttana".
E ho partorito come Eva nella Bibbia. Con quel fottuto dolore. Che poi voglio vedere cosa ha partorito Eva. Perché probabilmente all'epoca, al di fuori del giardino dell'Eden, non era facile come oggi procurarsi del cibo e ingrassare. Non era facile essere in piena salute per tutti e nove mesi della gravidanza. E quindi non credo che nascessero bambini al di sopra dei 2 chili e mezzo. Ecco. Il mio secondogenito pesava 4 chili 350. Ricordo ancora il ginecologo di turno che ogni tanto entrava in sala parto e diceva: "Ah sì, è brava la signora". Come se dovessi fare qualcosa di eroico. Certo, di sicuro qualcosa di meglio del suo stupido lavoro. "Ehi, vedi di fare il bravo anche tu e chiamami quel cazzo di anestesista per cortesia".
La mattina dopo, nella mia stanza nel reparto con altre due neo mamme, mi monta l'incazzo. Le due si alzano dai loro letti come cerbiatti in primavera. Una si fa la doccia e poi si pettina i capelli. L'altra saltella tra la culla e la scatola di cioccolatini sul mobiletto accanto al letto. Si lamentano del fastidio sulla schiena, in prossimità del punto in cui hanno praticato l'epidurale. Poverine. In tutto questo io resto immobile. Seduta sulla mia ciambella. Guardando con odio qualsiasi essere umano con normali capacità motorie. I loro neonati pigolano con i loro 2 chili e tre di peso. Il mio barrisce, suscitando espressioni di disappunto tra i visitatori presenti.
Comunque quello che volevo dire oggi, sotto Natale, sotto i buoni sentimenti e sotto i buoni propositi, è: FATELE QUESTE EPIDURALI! Che siamo nel 2012. Che le donne lavorano. Che la madre che soffre non è necessariamente una buona madre. Che ognuno deve avere la libertà di scegliere e io scelgo la libertà di partorire senza dolore. Come quella mia amica che ha pure dormito, durante le doglie. La stronza. E soprattutto, l'epidurale è inserita nei livelli essenziali di assistenza. Come dire che è un diritto di base. Come misurare la febbre a uno con la polmonite. La vogliamo finire di ragionare come nel Medioevo? Che poi, cari ginecologi italiani, se è tanto importante per voi che il parto debba avvenire come nella preistoria, allora che li fate a fare tutti quei cesarei, tanto da superare di gran lunga la media europea? Com'è? Il cesareo va bene e l'epidurale no? E leggetevi questo articolo.
Dai, ditemi qualche cattiveria, adesso.

venerdì 9 dicembre 2011

Donne che comprano calze da uomo

Abbasso un po' il livello della conversazione dei post precedenti. Sabato scorso ho avuto un raptus di shopping molesto. Perché poi uno dice la crisi, bisogna risparmiare, bisogna evitare gli sprechi, ma poi vieni colto da un senso infinito di privazione e ti devi rifare tutto in un colpo. Come quando sei a dieta, e il primo giorno mangi solo minestrone, e il secondo giorno solo frutta, e il terzo la suola di pollo ai ferri e il quarto entri nella prima pasticceria che trovi e in stato di trance ti divori qualsiasi cosa abbia più di 500 calorie. Ecco, dovevo solo comprare due copripiumini per i letti dei bambini, ma il cammino verso quel negozio era lastricato di tentazioni. E poi pioveva, per cui fare un percorso a tappe era d'obbligo. In mezzo a questa mia via crucis, in cui non ero io che svaligiavo i negozi, ma loro che svaligiavano me (e a questo proposito dico con orgoglio che anche questo atteggiamento è un aiuto a combattere la crisi, perché faccio girare l'economia), mi fermo da Calzedonia, perché, si sa, dopo che ti sei comprata dei vestiti ci devi abbinare delle calze. Oltre che le scarpe e le borse con le scarpe. Insomma, prendo queste calze, vado in cassa e la signorina, o signora, ma comunque con meno di 28 anni, carina, educata, bella presenza e, appunto, molto gggiovane, mi fa: "Se le interessa ci sono anche tutte le calze da uomo in offerta". Mi volto per vedere se si stesse rivolgendo a un uomo dietro di me, ma no, parlava proprio con me. Mentre nella mia mente apparivano chiare e in rapida successione le parole che non le avrei mai detto: "Ti sembro un uomo? Credi che i collant che ho appena comprato siano una copertura?", opto alla fine per una risposta superficiale, acida il giusto, ma non troppo polemica: "Grazie, eventualmente verrà il diretto interessato". Quella, per nulla turbata, persevera: "Allora le lascio il catalogo".
Ah...maledette credenze popolari. Maledetti stereotipi. Maledetti luoghi comuni che riescono a far breccia pure nelle giovani generazioni. Ma dico io, cara commessa giovane, gentile ed educata, avrai 25 anni. E a 25 anni hai già fatto tuo il concetto per cui le donne comprano la biancheria agli uomini? Le mogli ai mariti? E hai fatto tuo anche il concetto che una, a una certa età, tipo la mia, è per forza sposata. Perché, cara commessa giovane, gentile ed educata, chi ti ha detto che sono sposata? O che ho un uomo? Io entro nel tuo negozio, compro un paio di collant e tu hai già decretato che sono vecchia abbastanza per avere un marito e per comprargli le calze. E allora è inutile che tu mi sorrida. Non c'è niente da sorridere. Perché sono sicura che al cliente maschio, quando viene a comprarsi le sue calze, non comunichi che i collant per signora hanno il 20% di sconto. "Se vuole ci sono anche le calze da donna in offerta..." Insomma, una si illude che da una certa età in giù i ragionamenti cambino, che certi luoghi comuni scompaiano e invece eccoli lì, pronti a proliferare ancora.
Sì, sono molto indispettita. Una va a comprarsi un paio di calze in un momento di shopping addiction e in tre secondi le ricordano il dovere di assolvere alle sue mansioni di moglie e di rinnovare la biancheria intima del marito. Mai un attimo di relax.

martedì 6 dicembre 2011

Il più grande spettacolo (senza donne nude)

DOVETE leggere questo.
Io non posso che sottoscrivere e dire "Un'altra TV è possibile".
Oppure anche: "Fare audience senza culi e tette è possibile".
O ancora: "Si può vendere un programma anche con dei contenuti che non prevedano solo il sesso".
E infine: "Valorizzare una donna non significa solo truccarla bene".
Tutto questo richiede preparazione, studio, prove e intelligenza. Sennò, che lo paghiamo a fare il canone?

lunedì 5 dicembre 2011

"Commuoviti ma correggimi"

Eccola, ce l'abbiamo: "Commuoviti ma correggimi" è la frase dell'anno. Una frase riassuntiva della potenziale perfezione dei rapporti tra uomo e donna. Una frase pronunciata da un uomo, che viene in soccorso di una donna, e che poi ne chiede comunque l'aiuto. La scena l'avete vista no? Il ministro Fornero che si commuove parlando dei sacrifici richiesti dalla manovra economica, Monti che continua il discorso al posto suo, ma che a un certo punto le chiede conferma. Oh che meraviglia. C'è di che commuoversi eccome.
Scusate, mi sono fatta prendere la mano. Era un po' che non sapevo bene che pensare di questo nuovo governo. Di sicuro mi hanno fatto piacere tre ministri donna in ruoli piuttosto importanti. Di sicuro mi hanno dato il voltastomaco le solite disquisizioni idiote sull'altezza dei loro tacchi, come se a qualcuno gliene fregasse qualcosa, o, ancora peggio, come se le loro capacità o incapacità dipendessero da quel particolare. Come se io mi mettessi a commentare i capelli di Monti, notando che sono più folti di quelli di Berlusconi. Okay, questo l'ho fatto. Ma che c'entra, era per ridere.
Comunque avevo letto che Elsa Fornero era una che di pari opportunità ne sapeva a sufficienza. Avevo letto che non accettava inviti ad eventi dove le donne fossero assenti. Magari è una leggenda metropolitana, ma mi è piaciuto crederci. Poi oggi succede il putiferio. Prima l'incontro con la delegazione del forum nazionale giovani, i cui rappresentanti erano tutti maschi. Il ministro, inorridito, non ha perso l'occasione per farlo notare. "Figli miei, siete giovani, siete emancipati, siete avanti e poi? Le donne me le lasciate a casa?" Questo doveva essere più o meno il senso del suo discorso. E sapete cos'hanno risposto i delegati? Beh, che in fondo anche dall'altra parte del tavolo c'era una sola donna. Poi uno non deve dire che gli uomini sono veramente idioti. Ma non lo diciamo, dai. Probabilmente voleva essere solo una battuta. Infine la notizia in prima pagina su tutti i giornali: la Fornero, in veste di ministro del welfare, si commuove spiegando la parte della manovra che riguarda le pensioni. Non riesce ad andare avanti, e allora Monti continua il suo discorso. Sì, okay, sarà stato l'accumulo di stress dopo ore di riunioni per una manovra su cui tutto il mondo ha gli occhi puntati, sarà stata l'emozione della prima conferenza stampa, sarà stato pure il ciclo mestruale o gli scompensi ormonali della menopausa, ma nessuno mi toglierà mai dal cuore la sensazione di grande umanità di questa persona. Alla faccia dei tecnici, poi. Ecco, ecco perché le donne fanno bene nei posti chiave di responsabilità. Ecco che cosa portano. I superficiali notano solo le lacrime, quelli più attenti vedono tutto il resto: professionalità e dedizione al lavoro prima, umanità e spirito di collaborazione poi. Consapevolezza del proprio lavoro, delle difficoltà, dei rischi. Capacità di lavorare con tutta se stessa, non solo con la testa (o con altre parti anatomiche), ma anche con l'anima. Poi possiamo andare a sindacare se le scelte sono giuste o sbagliate, poi possiamo entrare nel merito. Ma non possiamo non notare il cambiamento. La Fornero piangeva ma ha trasmesso forza. E la sua è una figura così solida che ha messo in secondo piano la notizia che forse tutti avrebbero fatto circolare più volentieri: Monti rinuncia al suo stipendio da Presidente del Consiglio. Una decisione sobria e saggia, che in un momento come questo, in cui gli Italiani che non hanno più un euro in tasca contano volentieri quanti ne hai in tasca tu, era proprio opportuna. Eppure la notizia "buca di meno". Quello che appare come una novità assoluta è il ministro coinvolto emotivamente nel suo lavoro. E vi pare poco? Non ho memoria o comunque non mi hanno mai trasmesso prima questa sensazione. Magari resterò comunque in mutande, finirò sotto un ponte o lavorerò fino a 94 anni senza che nessuno possa staccarmi il polmone artificiale. Però lo farò perché me l'ha detto qualcuno con una certa dignità. Me l'ha detto seriamente e anche piangendo. E allora va bene, ti odio lo stesso, ma ti perdono.

giovedì 1 dicembre 2011

"Se hai un problema di erezione non cercare scuse"

Da più parti oggi mi è stato segnalato questo articolo di Camillo Langone, giornalista di cui non avevo mai sentito parlare e, dico io, un motivo ci sarà. "Togliete i libri alle donne e torneranno a far figli", ci dice il luminare dell'evoluzione della specie umana. La cosa mi è sembrata talmente tanto una cazzata, ma talmente tanto, che ho dubitato che fosse vera. Così mi sono messa a cercare la fonte, saltando di link in link, senza però ottenere alcun certificato di autenticità. Allora vado su Libero online, dove magari c'è qualcosa, ma l'unica cosa di cui ho immediata evidenza è una pubblicità che mi mostra il primo piano di un cane e la scritta: "Forse non ci sono riuscito perché il cane ci guardava. Se hai un problema di erezione non cercare scuse. Trova una soluzione". Non so voi, ma io ci vedo un nesso. Come quelli che parlano tanto di sesso e non lo fanno mai, così ci sono quelli che parlano di libri e non li leggono e che parlano di donne e non ne frequentano. Mi ha fatto molto ridere quella pubblicità messa lì, a monito dei lettori di Libero, che evidentemente per i burloni (ma neanche tanto) che hanno fatto la pianificazione media sono in target con l'annuncio.
Di che stavamo parlando? Ah sì, di questo articolo. Beh, ho scelto la strada della non belligeranza. No comment. No, sul serio. Non dirò niente, perché tutto quello che avevo da dire l'ho già detto in un anno di blog. Colgo però l'occasione per fare tanti auguri a Langone per il suo libro, che forse aveva bisogno di essere un po' spinto, forse perché non era abbastanza interessante, o forse perché non lo leggevano manco le donne che non fanno figli. Spero che questa sparata porti almeno nelle sue tasche un qualche risultato. E che se lo goda, meglio se all'estero.

venerdì 11 novembre 2011

#2eurox10leggi

Arrivo un po' tardi a scrivere la mia sull'iniziativa #2eurox10leggi. Per conoscere i dettagli, cliccate su questo link. Io riassumo in breve: ci sono alcuni italiani che quando hanno qualcosa di veramente, ma veramente urgente o importante da dire, si comprano uno spazio pubblicitario su una pagina di un quotidiano nazionale e scrivono. E così centinaia di migliaia di cittadini quel giorno leggeranno qualcosa di veramente importante o urgente. E magari faranno delle considerazioni. O quantomeno un passaparola. Oggi, quel qualcuno che ha qualcosa da dire è un gruppo di donne organizzate sul web che si sono dette: "Perché non ci compriamo anche noi questa benedetta pagina sul Corriere e non facciamo una proposta concreta? Perché non mettiamo nero su bianco le 10 migliori leggi che potrebbero rendere più civile un Paese così da non dover più parlare di 'pari opportunità'?"
E qualcuna ha detto: "Già. Perché non lo facciamo?"
E qualcuna ha risposto: "Perché una pagina sul Corriere cosa più di diecimila euro".
E le donne, note per non riuscire a trattenere la loro stupida emotività, si sono messe tutte a piangere.
Però poi, siccome le donne a un certo punto smettono anche di piangere, e poi ci pensano su, e poi ci lavorano, e poi si mettono d'accordo, e poi ne parlano (sì, chiacchierano, e allora?), alla fine è nata questa iniziativa: una raccolta fondi per raggiungere il budget necessario all'obiettivo.
E oggi c'è questo blogging day, a cui partecipano numerose donne online, che - leggevo prima - hanno raggiunto già una buona copertura mediatica.
E poi ci sono io, che però arrivo qualche ora tardi, perché dovevo recuperare i bambini all'asilo (che chiude alle 16) e poi fare la spesa, e poi magari mandare qualche e-mail di lavoro che era rimasta in attesa. Tutti problemi di cui gran parte della società non sembra accorgersi. Tutti problemi che magari, con qualche legge in più o con una mentalità diversa, io non avrei. Per esempio, se solo quell'asilo non chiudesse a quell'ora...Ma non mi dilungherò su questo.
Mi rammarico soltanto che oggi il grosso dell'attenzione è cannibalizzato dalla crisi di governo, e dalla crisi economica e internazionale. Un gran peccato, in effetti. Ma questo mi dà anche l'occasione per dire delle cose molto, molto cattive.
O voi che avete sempre ritenuto inutile impegnarvi per l'equa partecipazione femminile nelle aziende, in politica, a tutti i livelli di responsabilità, o voi che avete sempre ritenuto questo un "problema secondario" e comunque non una priorità, o voi che "tutto sommato le donne è giusto che stiano a casa, altrimenti coi figli chi ci sta?", o voi che "una donna non è in grado di fare la dirigente perché non sa farsi valere", o voi che ai colloqui di lavoro "ma lei ha intenzione di avere figli?", o voi che "se sei racchia devi restare a casa", o voi che "se sei vecchia devi restare a casa", o voi che "ci sono già abbastanza problemi da risolvere, ci manca solo questo delle pari opportunità". O voi tutti, andate a quel paese. Perché, vi chiedo, voi cosa siete stati in grado di fare finora? Chi ci ha condotti fino a questo punto di rovina globale? Adesso, vi prendete tutta la responsabilità di questa crisi economica, politica, diplomatica. Perché è colpa vostra. Io non c'entro. Io non c'ero. Facevo la donna. Mi sbattevo in giro per portare e andare a prendere i bambini in asilo, per organizzarmi coi tempi, col lavoro e con clienti che comunque chiedevano di parlare col socio maschio. Le donne non c'entrano con questa crisi. Non hanno deciso niente. Non ricoprono nessun incarico di potere. L'unica è la Marcegaglia che si svena da mesi implorando delle riforme più decise, ma non se la fila nessuno. Cari uomini, adesso che ci avete ridotti tutti così (donne comprese), adesso che è andato tutto irrimediabilmente in malora, adesso che tutto il mondo vi guarda con gli occhi sgranati, diteci, dall'alto della vostra bravura, quali sono le priorità? Quali sono le scelte decise da fare? Da che parte dobbiamo muoverci per migliorare le cose? Sarebbe carino che adesso venissero proprio chiamate le donne, per ricostruire tutti insieme quello che si è rotto. Sarebbe proprio carino. Ma mi sa che ancora non è il momento. Quando sarà, fateci un fischio. Intanto, arrangiatevi.

venerdì 4 novembre 2011

Tanti auguri a Monica Vitti

Posto già con la data del 4, ma in realtà mi sento ancora nel 3. E presto saranno le 3. E io sono ancora qua. Uccidetemi.
Però ci tengo al 3, perché è il compleanno della mia attrice preferita, che oggi, il 3 novembre, compie 80 anni. E allora la celebro così, con uno spezzone di un film rappresentativo per questo blog: Noi donne siamo fatte così.
E vado a letto.


lunedì 31 ottobre 2011

Non prendete quell'ascensore

Purtroppo il mondo è pieno di contraddizioni e la perfezione non esiste. Non molto tempo fa avevo incensato la Spagna per il suo senso della decenza in campo pubblicitario. Oggi faccio un passo indietro e mi ri-cito. So che è una cosa odiosa, ma devo per forza ribadire un discorso che ho fatto ormai l'anno scorso, a proposito di segnali e simbologia. Lo trovate qui. All'epoca sindacavo sui cartelli che nei supermercati invitavano a dare la precedenza in cassa alle donne con bambini. Escludendo in automatico la pur folta categoria degli uomini con bambini. Mi ero lanciata in un'audace dissertazione semiotica sull'uso corretto dei simboli maschile e femminile. A parte il caso dei bagni, se usi il maschile, è universale, se usi il femminile, significa SOLO donne. Per esempio, l'omino sulla sedia a rotelle non ha la gonna, ma intende comunque indicare disabili maschi e femmine nello stesso tempo.
Bene, ecco cosa mi segnala un'amica da Siviglia: è un cartello che dice che i bambini non devono prendere l'ascensore da soli. Voi che cosa ci leggete? Io varie cose, a seconda dell'umore e della creatività del momento. Ci leggo, per esempio, che una donna può entrare in ascensore solo con un figlio. L'altro no. Deve rimanere giù, o farsi le scale. Oppure: se hai un marito basso, lascialo giù e prendi l'ascensore solo con tuo figlio. Ma volendo essere magnanima, mi sforzo di interpretare il segnale secondo le intenzioni del legislatore: i bambini soli non possono prendere l'ascensore. Devono essere accompagnati. Ma da chi? Non da un adulto in generale. No, dev'essere una donna. Anche con i capelli a caschetto, tra l'altro. Gli uomini non possono accompagnare i bambini in ascensore. Forse perché sono ugualmente inaffidabili? Questa ipotesi trova conferma anche nel fatto che si parla esplicitamente di bambini maschi. Deduco quindi che le bambine femmine possono andarci da sole in ascensore.
Vabbè, quanto la faccio lunga. Però è così: chi ha dato un'immagine alla regola dei minori accompagnati in ascensore, si è premurato di rappresentare una regola familiare ferrea, e cioè che con i bambini ci stanno solo le mamme. I padri probabilmente quell'ascensore l'hanno già preso la mattina presto, per andare a cacciare un mammuth e sfamare la loro comunità di ominidi.

giovedì 27 ottobre 2011

Quel cane del medico

Oggi è una giornata elettrizzante. Nel senso che ti fulminano tutti. E che sono anche tutti fulminati. I miei figli si sono svegliati entrambi molestissimi e sono molesta anch'io. Polemica. Polemicissima. Ma basta con i superlativi, che non è proprio il momento.
Sono veramente nauseata, offesa e anche un po' incredula davanti a chili e chili di retorica e falso buonismo che stanno invadendo la rete in questi giorni. E porca Eva, dico io. Anzi no, che poi si discrimina sempre la donna. Porco Adamo, allora. Ma vi rendete conto della bruttezza umana a cui siamo ridotti? Bruttezza che si amplifica grazie a Internet e ai social network. Non so se ci siano delle statistiche in merito, ma personalmente rilevo questa stortura:
- numero di link condivisi su facebook che parlano di animali da adottare: millemila
- numero di link condivisi su facebook che parlano di personaggi famosi morti giovani: millemila
- numero di frasi retoriche sul senso della vita, meditate a seguito della morte di personaggi famosi: millemila
- numero di link condivisi su facebook che inneggiano alla rivolta politica (inclusi i link con le foto del menu del Senato): millemila
- numero di link condivisi su facebook che lanciano inni alla bontà, all'altruismo, all'amore per il prossimo (tipo: il vero amico non è quello che ti fa ridere, ma quello che piange con te / Lassù nel cielo c'è una persona speciale che ti pensa sempre / Le lacrime delle mamme riempiono i nostri oceani / Vi voglio bene anche se non accettate la mia amicizia / Se fai la cacca davanti alla porta di casa mia, ti stimerò lo stesso): millemila
Quindi? Quindi, dopo aver letto, a proposito della morte del pilota Simoncelli: "Ci Mancherai CAMPIONE / CONDIVIDI QUESTA PAGINA E SUGGERISCILA AI TUOI AMICI AFFINCHE' TUTTA FACEBOOK POSSA DIRE ADDIO ALL'UOMO CHE HA RISCRITTO LA STORIA!!!", che conclusioni possiamo trarre? Che in mezzo a tutto questo rigurgito di bontà e di manifestazioni di grande sensibilità umana, nasce, cresce e spopola la vera indifferenza. Tutto diventa annacquato. Tutto perde ogni significato. Perde di significato anche l'espressione "L'uomo che ha riscritto la storia", tanto per dirne una. Perché, che ha riscritto Simoncelli (pace all'anima sua)? Qual è stato il suo grande contributo al progresso civile, umano, collettivo? Era un pilota. Bravo, credo (anche se io ho sempre sentito parlare solo di Valentino Rossi). Simpatico. Faceva il suo lavoro con passione, come tanti. E purtroppo è morto a 24 anni, perché ha scelto uno sport pericoloso. Insomma a me dispiace per lui, per la sua famiglia, per i suoi amici. Non è che uno non deve essere dispiaciuto. Il problema è che poi non ci si dispiace per altre tragedie. Per quelle che non fanno molta audience. Ma soprattutto, considerato tutto questo diffuso attivismo, non mi spiego come mai ci siamo ridotti in questo stato. Se siamo tutti così amanti degli animali, così comprensivi dei difetti altrui, così buoni e magnanimi, così onesti e puri, com'è che va tutto così a rotoli? Le cose sono due: o esiste una parte di facebook che io ignoro e che condivide link tipo "A me piace la gnocca e non ci vedo niente di male / A me piace rubare soldi allo Stato e arricchirmi da fare schifo / A me piace seviziare sia un cucciolo di cane sia la mia fidanzata", oppure c'è un sacco di ipocrisia in giro.
E vi ho fatto questo lunghissimo preambolo un po' per sfogarmi dalla mia mattinata elettrizzante, e un po' perché c'è questo articolo su Repubblica, che ci dice che fra un po' in Italia non si potrà più abortire. Il problema è che sempre più medici diventano obiettori di coscienza. E quei pochi non obiettori (circa 150 in Italia) stanno andando progressivamente in pensione. Che cosa curiosa, no? Le nuove generazioni sono molto più attente ai temi di etica, della vita, del valore della persona umana. Un giovane medico, mettiamo di 35 anni (ora che abbia finito tutti i percorsi di specializzazione), che sul suo profilo di facebook ha le foto col suo cane salvato dal canile, sceglie di non interrompere nessuna gravidanza. Perché ci tiene alla vita. Capite? C'è veramente un sacco di bontà in giro.
Solo che dopo vai a vedere meglio. Quel medico ti consiglia una clinica privata, dove è lui stesso che opera. Ma a pagamento. E allora ti viene in mente il suo cane salvato dal canile, e te lo immagini presto abbandonato di nuovo in autostrada da quel medico così buono. Immagini la moglie picchiata. Immagini il suo conto in Svizzera. Immagini la casa abusiva col condono. Immagini, ma in realtà quello è il mondo in cui viviamo veramente. E pensate a che livello di cinismo si arriva: cavalcare un tema anche serio come l'obiezione di coscienza (serio però solo per una minoranza di medici), per poi commettere ugualmente il "crimine" ma con più soldi.
E in tutto questo (ma che lo ripeto a fare) indovinate chi ne fa le spese?

martedì 25 ottobre 2011

Donne VIP (Vescica IPerattiva)

Ricevo nella casella di posta elettronica del blog questa e-mail urgente (e urgente è proprio il termine più adatto). Scusatemi, so che è surreale, ma per dovere di cronaca non posso non pubblicarla.


DONNE VIP: LIBERE DALL'INCONTINENZA!


Roma, 25 ottobre 2011 - In Italia sono oltre 3 milioni le persone colpite dalla sindrome da Vescica Iperattiva e sono soprattutto le donne, nel 60% dei casi, a confrontarsi ogni giorno con uno dei sintomi più invalidanti della Vescica Iperattiva, ovvero l'incontinenza urinaria da urgenza, che comporta conseguenze pesanti sulla qualità di vita.


Nel nostro Paese i trattamenti farmacologici per l'incontinenza da Vescica Iperattiva non sono rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale a differenza di quanto avviene per l'incontinenza causata dall'iperplasia prostatica benigna, che colpisce esclusivamente la popolazione maschile. A fronte, dunque, della medesima sintomatologia, il Servizio Sanitario Nazionale discrimina le donne.


Per questi motivi, con il Forum di oggi prende il via Donne VIP, una campagna di sensibilizzazione sull'incontinenza da Vescica IPerattiva che, con incontri regionali, un cortometraggio e un sito web (www.donnevip.it), vuole far emergere una patologia finora sommersa, rompere il muro di vergogna che la circonda e sensibilizzare le istituzioni su una discriminazione di genere per quanto riguarda un equo accesso alle cure.



Capito? Gli uomini hanno le medicine gratis, le donne no. Ed ecco svelato il motivo per cui i bagni delle donne hanno sempre la fila:


lunedì 24 ottobre 2011

Il liofilizzato della discordia.

Una volta, tanto tanto tanto tanto tempo fa, si andava a fare la spesa nei negozietti sotto casa. Si andava dal verduraio, dove si scrutava la freschezza di una zucchina, l'odore di un melone, il colore di un rapanello. Poi si andava dal macellaio, esigendo la carne più fresca, stando là a disquisire due ore sul prezzo di una fettina di filetto. Poi era il turno del panettiere, del salumiere, del giornalaio, del pescivendolo, si portavano i pantaloni a fare l'orlo, le scarpe a risuolare, si passava in posta a mandare un vaglia a quella sorella lontana, si passava a far visita a una cugina appena diventata mamma, poi si tornava a casa, a preparare da mangiare per tutta la famiglia. Una volta, tanto tanto tanto tanto tempo fa, tutte queste cose le facevano le donne, sia che lavorassero, sia che stessero a casa.
Poi vennero i supermercati e i negozietti sotto casa chiusero o si trasformarono in lussuosissime boutique gastronomiche dove farsi preparare una cena 5 stelle Michelin per fare bella figura con gli ospiti. Le donne lavoravano sempre di più e avevano sempre meno tempo per fermarsi a contrattare col macellaio. E gli uomini iniziarono anche loro a riempire i carrelli. Poi i supermercati si ingrandirono, iniziarono a tenere aperto con orario non stop, poi anche la domenica, poi fino alle 10 di sera, poi tutta la notte, seguendo sempre più i tempi delle persone.
Poi vennero i take away e le consegne a domicilio, e così, non c'è stato più bisogno nemmeno di fare la spesa: una sera pizza, una cinese, una giapponese, una panino, e così via.
Poi, al sesto giorno vennero i surgelati. E i piatti liofilizzati. E atrofizzati. Ricette gustosissime, ridotte in polvere o in cubetti, da far rianimare in padella con un filo d'olio. O direttamente in microonde. La meraviglia della scienza e della tecnica. A volte, un surgelato ti salva la vita.
Ma in tutta questa breve cronistoria del mercato alimentare italiano, il dato più importante è che le persone che vanno a fare la spesa sono oggi di tutti i tipi. Resiste uno zoccolo duro di massaie (ormai ultrasettantenni) che va a fare la spesa "di precisione", poi c'è la massa dell'Italia che lavora e che si arrangia con il supermercato sotto casa o con l'ipermercato al sabato, buttando nel carrello cose a lunghissima conservazione e a brevissima cottura, e infine i nuovi paladini della cucina sana, che fanno la spesa con i gruppi di acquisto solidali, si organizzano con il contadino della campagna vicina (meglio se dotato di sito internet da cui fare l'ordine e pagamento con carta di credito). Poi c'è chi, come me, fa il consumatore trasversale e passa da un tour antropologico dei pochi negozietti superstiti, a una bulimica incetta di prodotti surgelati del supermercato, a un'attenta selezione di verdura e frutta del contadino. La nostra società è in rapido mutamento. Ci sono sempre meno soldi, meno tempo, più tecnologia, più stimoli, più soluzioni. Quello che  andava bene fino a dieci anni fa, oggi non va più. Le cose cambiano in fretta, le persone si muovono, non si affezionano più a nulla, i consumi si evolvono. Bla, bla, bla.

E in tutto questo è bello sapere che c'è un mondo dove tale evoluzione non esiste. Un mondo dove le donne continuano a cucinare, a fare la spesa, a cercare di compiacere il marito brontolone, a coccolare i figli pigroni. Questo è il mondo della pubblicità. Di certa pubblicità, almeno. Di questa, per esempio:




Attenzione mogli! Attenzione mamme! Ehi, noi pubblicitari ci siamo evoluti eh. Lo sappiamo che ormai non cucinate più niente di decente e che comprate solo surgelati e liofilizzati. Ecco allora, guardate qua: questi piatti gustosi vi faranno fare un'ottima figura. Quasi quasi sembrerete le donne di una volta e vostro marito, che si siede a tavola aspettando il tiggì e la cena, ve lo riconoscerà. E non vi picchierà più con la cinghia.


Insomma, non importa cosa si cucini, se la ricetta originale del ragù alla bolognese con lasagne fatte in casa oppure tagliatelle espanse con un procedimento chimico brevettato, l'importante è che cucini una donna. Cioè, una tipo me, che ho 36 anni e mi danno della signora quando entro nei negozi (vi rendete conto?). Io che oggi ero proprio al supermercato e in fila davanti a me c'erano 3, dico 3 uomini. Il "capofamiglia" col carrello pieno (reparto gastronomia, reparto macelleria, frutta, verdura, pasta, cartaigienica), il giovane salutista con un sacchetto di fagiolini e uno di kiwi (che pena) e lo studente universitario con il carrello pieno di sughi pronti e, appunto, surgelati e pasta liofilizzata. Ma nel mondo immobile della pubblicità, sarà sicuramente una donna a cucinare quei surgelati allo studente. Forse la coinquilina? La fidanzata studentessa di ingegneria? L'amica che lavora nel call center? O forse verrà direttamente la madre, che anche se il figlio studia fuori sede, come milioni di giovani italiani, riesce a recarsi ogni giorno all'ora di pranzo a casa sua per cucinargli un pranzo "come una volta".
Scusate, adesso devo andare, mi è venuta voglia di guardarmi una puntata dei Jefferson.

giovedì 20 ottobre 2011

Una parola di 7 lettere: GARNIER

Ricevo una segnalazione commovente, e ve la giro.

Allora, non voglio parlare del giornalismo, né dei contenuti degli articoli che vengono messi in onda. 
Però sono stata un po' male in questi giorni e mi è capitato di riaffacciarmi ad un universo di cui, stando via durante il giorno, avevo perso memoria.
L'universo dei tg dell'ora di pranzo e dei suoi conduttori o, meglio, delle sue conduttrici (che mi pare qui ci sia parità nei numeri a dire il vero).

Insomma io vorrei essere lì di fronte a loro sotto la telecamera che le inquadra e guardarle dritte negli occhi, da vicino. Io a queste signore chiederei in ogni momento, come fossi una pazza disadattata, ma vi ascoltate? Ma sentite la notizia che state leggendo? L'avete scritta voi, no?
È inutile sorridere, non c'entra niente; è inutile ammiccare se state parlando di miserie. Miserie che non è solo una parola di 7 lettere come Garnier.
A tratti avete scelto di parlare di tragedie che no, non sono quelle che emergono dal collo non ben coperto dal fondotinta. E santo cielo, mi arrabbio anche con me: perché osservo questo e non ascolto, non  mi concentro sui contenuti? Certo a tratti non ci sono (sono salva...). Santo cielo, appunto: ma è proprio necessario che a queste donne venga sparato in faccia un fascio di luce che le illumina tipo Madonna? L'effetto è straniante fateci caso: non hanno rughe e ti vien voglia di pregare queste madonne dei nostri tempi, pregare che la smettano.

E infine mi chiedo: perché è così difficile, per molte donne, dare una notizia senza coprirla dai lunghi capelli? E perché per gli uomini è più semplice?

Ora, tutti insieme, rivolgiamo un pensiero accorato a tutte quelle anchor-women che hanno protestato e si sono opposte a contenuti e metodi del giornalismo televisivo degli ultimi anni. E per questo sono state allontanate. Rivolgiamo un pensiero a quella giornalista inglese che, giudicata troppo vecchia, è stata destinata "ad altro" in BBC.
E poi, dopo questo minuto di raccoglimento, vorrei dire anche la mia.
Io non so decidermi. È vero che anche l'occhio vuole la sua parte e che "bello" è meglio di "brutto", a parità di competenze. Quella di mettere telecronisti esteticamente gradevoli può essere una scelta. Ma allora perché non TUTTI i telecronisti? Chiudo un occhio sull'abuso di trucco e parrucco nell'informazione giornalistica in TV solo se mi sostituite gli attuali uomini (tipo Fede? Tanto per dirne uno) con uno appena uscito da una sfilata di D&G. Lo voglio giovane, carino, occhi profondi. Meglio se in camicia un po' aderente che lasci intravedere pettorali scultorei. Mani curate, abbronzatura naturale. Voce profonda. Denti bianchi e curati, che quando sorride (perché ogni tanto DEVE sorridere) diano luce ai lineamenti del viso. E, ovviamente, laureato e iscritto all'ordine dei giornalisti. 

Comunque segnalo una case-history d'eccellenza: i tg di Sky sono condotti secondo questo spirito di uguaglianza. Un uomo e una donna insieme. Entrambi giovani, entrambi belli. Poi, fra qualche anno, non so che fine faranno. Magari in pasto ai barracuda dell'acquario aziendale. Ma è il mondo dello spettacolo, baby!

martedì 18 ottobre 2011

Risposta al quesito precedente: "Sì"

Qualcuno sembra essersi fatto la stessa mia domanda. E sono arrivate le risposte: per esempio qui.
Volevo solo rilevare (e poi la smetto, prometto) che non ho dati statistici ufficiali ovviamente, ma dalle immagini degli scontri sembra evidente che le donne siano comunque sempre una minoranza. Qualcuno dirà "E meno male". Ma io non so. Facendo uno sforzo per sospendere ogni giudizio negativo sull'accaduto, per tenere solo una fredda statistica, resta sempre il solito dato: il grosso lo fanno sempre gli uomini. Anche in contesti dove si predica la distruzione di tutto ciò che è rigido, vecchio, conservatore, discriminante. Sì, vabbè, si dice che le donne abbiano sempre contribuito a fare la guerra (e anche l'amore). Ma in che percentuale (per entrambe le cose)?
Non so cosa mi sia preso. Eppure la matematica l'ho sempre detestata.

lunedì 17 ottobre 2011

Ma i black bloc sono anche donne?

Post in differita da ieri pomeriggio.

Sono su un treno e per una volta c'è qualcosa di peggio di cui parlare. Insomma, la brutta notizia non è che sto viaggiando con Trenitalia lungo l'infinita tratta Roma-Trieste. La brutta notizia è che nelle ultime ore mi sono proprio voluta male.
Intanto ho finito di leggere l'ultimo libro della Mazzantini: Nessuno si salva da solo. E, a commento di ciò, aggiungerei anche "E sticazzi". Bello, eh, per carità. Molto. Ma, tanto per darvi un'idea, cito la quarta di copertina:
"- Dillo.
- Cosa?
- Dì che non mi ami più. Dillo adesso che siamo in pace… così me lo faccio scendere.
Gli sorride con quei denti che si sono ingoiati il paradiso.
-  Non ti amo più, Gaetano.
Annuisce e ride con lei…poi gli occhi si fermano e si gonfiano di tutto, come quelli dei bambini.
- Dillo anche tu.
- Io non lo posso dire.
- Dillo.
- Non ti amo più, Delia.
- Lo vedi…lo possiamo dire."
Diciamo che se sei già incline al suicidio (tipo perché ti sei appena separato), non è proprio un'iniezione di ottimismo. Poi ho insistito ascoltando un paio (no, dico, un paio!) di album dei Baustelle. Non so perché, vi giuro. Erano là nell'iPod, infidi, sotto la lettera B, e mi sono partiti quatti quatti dopo la raccolta di Barry White. Quindi cercate di immaginare: io sul treno, altezza Bologna, che passo dal mood Jimmy Z degli anni Ottanta al decadentismo paranoico di oggi. Dalla cocaina all'eroina. E senza assumerle.
E poi cazzeggio col computer, che è domenica e non lavoro. E continuo a farmi del male, perché faccio quella cosa balorda che faccio quando ho bisogno di un po' di adrenalina. Leggo il sito del Giornale e del Manifesto. Affianco le finestre e mi sparo questo trip incredibile. Oggi c'era da godere parecchio, in effetti. Solo che poi questa esperienza ti lascia esanime sul sedile. E cerchi di tirarti su pensando all'ultimo libro che hai letto o all'ultima canzone che hai ascoltato.

Ma insomma, dopo aver letto l'editoriale di Feltri sul Giornale, che titolava "Altro che indignati, sono criminali" e quello di Valentino Parlato sul Manifesto, che titolava "Una epoca nuova", ho cercato di farmi un'opinione equilibrata in merito a quello che è successo ieri a Roma. Che poi ero là anche io, e un po' d'indignazione ce l'avrei avuta, eh. Sono andata a trovare una cara amica, incinta di 7 mesi, e per un attimo abbiamo pure pensato di affiancarci al corteo, di ingrossarne le fila (che nel suo caso - ma anche nel mio, pur non essendo incinta - sarebbe riuscito benissimo). Siamo scese dalla metropolitana e abbiamo saputo che si stava scatenando la guerriglia urbana. Così, abbiamo ripiegato su un surreale giro per le vie deserte della città, lontano dai tafferugli, ingrossando le fila di quelli che passeggiavano per via Condotti, in cerca di una boutique dove spendere dai tre ai cinquemila euro.
Ora, riavutami dallo choc di aver letto per intero un editoriale di Feltri (il suo pensiero più illuminante: "Quello dei giovani è sempre stato un falso problema che si risolve lasciandoli invecchiare."), e da quello di Parlato (a proposito degli scontri: "è bene, istruttivo che ci siano stati. Sono segni dell'urgenza di uscire da un presente che è la continuazione di un passato non ripetibile."), mi pongo delle domande.
Tipo: ma per fare il black bloc c'è un corso? Cioè, come fai a diventare black bloc? Ti iscrivi? Su facebook? Cioè, questi qui si saranno coordinati, si saranno dati un appuntamento da qualche parte, tipo come quando ci sono i flash mob. Insomma, non saranno un'entità aliena che si materializza improvvisamente solo durante le manifestazioni (solo durante alcune: quelle italiane). Quando sei un black bloc che vita fai? Quando non devi incendiare un cassonetto per esempio, come impieghi il tuo tempo? Leggi? E cosa leggi? Immagino non la Mazzantini. E che musica ascolti? Forse i Baustelle sì. Di sicuro non Barry White. Che guardi in tivvù? Perché ce l'avrai una tivvù. E non posso credere che tu non abbia mai dato nemmeno una sbirciatina al Grande Fratello. Su dai, ammettilo che per cinque minuti ci hai pensato anche tu a come sarebbe stare in quella casa, senza niente da incendiare. O forse sei veramente un duro e puro: senza tivvù, senza computer, senza telefonino, senza casa, senza lavoro. Una situazione molto simile a un sacco di gente che invece sfilava pacificamente nel corteo. Però il black bloc spacca tutto, lancia sampietrini, incendia cassonetti, prende a mazzate le macchine posteggiate. "Non chiediamo un futuro, ci prendiamo il presente" dicono in uno striscione. Ma si saranno messi d'accordo per fare quello striscione, no? Cioè, uno avrà detto: "Oh, chi porta lo striscione? Che ci scriviamo su?" Avranno fatto un brainstorming. Si saranno telefonati.
"Metti fuck the system"
"Noo, già sentito"
"Allora metti 'spacca tutto'"
"No, troppo semplice, quello lo scriviamo sui muri con lo spray, che fa più scena"
"Elaboriamo un concetto simbolico"
"..."
"..."
"Chiamiamo un'agenzia di pubblicità?"
Ecco, io vorrei sentire le intercettazioni dei black bloc. Quello vorrei sapere. Che le conversazioni tra le giovani adepte del pdl hanno un po' stufato. Possibile che dei black bloc non si sappia niente? Qualcuno lo hanno arrestato. Me lo intervistate per favore? Mi dite chi è e che ha in testa, a parte il casco? Ma interessa solo a me dare un volto e un nome alla causa di tutto questo? Cioè, mi pare abbastanza importante sapere, capire, punire. Così magari ci evitiamo pure altri editoriali di Feltri. O di chi ci specula su.
E infine, siccome siamo su Donne in ritardo, mi chiedo: ma esistono le black bloc donne? O sono tutti maschi? In quel presente che vogliono prendersi subito, hic et nunc, ci sono le pari opportunità? O il presente se lo prendono con tutto lo schifo che c'è dentro? A scatola chiusa. E le donne black bloc che ruolo hanno all'interno di questa pseudo organizzazione? Lavano le magliette dopo le manifestazioni? Preparano gli ingredienti per le molotov? Stanno nelle retrovie a curare i feriti, oppure stanno indistintamente in prima linea?
Vi lascio, oltre che con questi brillanti interrogativi, con la testimonianza di una donna al corteo. Molto indignata, a questo punto, un po' per tutto.
Leggete qui.

giovedì 13 ottobre 2011

Sono bieca: comprate "La comunicazione liberata"


Doveva accadere prima o poi che io facessi una bieca operazione commerciale, violando la natura sociale di questo blog. Ma posso spiegare. È per una buona causa.
Nel post precedente, raccontandovi i sordidi dettagli di un bagno dell'Autogrill, ho sorvolato sulla ragione per cui mi stavo dirigendo a Reggio Emilia. Stavo andando a presentare un libro speciale, che si chiama La comunicazione liberata. L'idea di questo libro è venuta a Luca Cian, assiduo commentatore di questo blog, che da Detroit ha orchestrato diversi fenomeni che bazzicano attorno ai temi della comunicazione e li/ci ha obbligati a scrivere delle cose sensate. Io ovviamente ho scritto la mia sul marketing deviato e non me ne vergogno. Si tratta di un testo a tratti un po' complesso, e anche un po' sovversivo. Per dirla in due parole, spiega attraverso le voci di vari esperti del settore, come mettere in mano dei più deboli gli strumenti della comunicazione, storicamente appannaggio dei più forti. Ed ecco perché ve ne parlo qui, in un blog di deboli.
E a questo punto mi sento di fare una citazione colta:


Sì, si può fare! E penso alla rete di donne che, partendo da un blog o da un gruppo su facebook, sfruttando quindi gli strumenti della comunicazione online, stanno creando un vero e proprio movimento d'opinione e d'azione. Scrivono lettere allo IAP, a giornali, a Istituzioni, si incontrano e danno notizia di sé. Penso a PontitibetaniPensieri di StefaniaIpazia è(v)vivaPresa nella reteMamma EconomiaThe Working Mothers ItalyMammamsterdam e tanti, tantissimi altri. Non sapete quanti. Insomma, la via del cambiamento reale è possibile.
E adesso andate a comprare il libro, su, che i guadagni vanno pure in beneficenza (no, non a me).

martedì 11 ottobre 2011

Quello sporco bagno dell'Autogrill

Signore e signori, buongiorno. Ho lasciato volutamente passare sotto silenzio il giorno del mio compleanno per non sentirmi obbligata al solito bilancio della vita. Bilancio che in genere faccio, appunto, quando compio gli anni e non a Capodanno, quando potrei essere sempre troppo ubriaca per farlo. Comunque andiamo avanti. Ho un anno in più e invecchio con dignità (anche perché mi sono iscritta a pilates, attività tipica di chi vuole combattere l'artrite e l'osteoporosi - tipo Madonna).
Ho fatto passare quindi un po' di giorni nel silenzio, ma friggevo per raccontarvi una cosa.
La scorsa settimana sono andata per lavoro a Reggio Emilia. E siccome era un momento di mio odio nei confronti dell'umanità intera, ho scelto di andarci in macchina e di evitare così qualsiasi contatto umano e disumano in treno. E, diciamocelo, ho scelto soprattutto di evitare Trenitalia con tutto ciò che si porta dietro. Ah che meraviglia. Se fatti sporadicamente, i viaggi in macchina sono una vera pratica zen. Senti la musica che vuoi, ti fermi quando ti pare, parli da sola facendo considerazioni profonde sul senso della vita (senza che nessuno ti contraddica), e quando hai bisogno di adrenalina ti immagini sfide all'ultimo chilometro con quel monovolume che ti ha superato due minuti prima. E poi c'è tutto l'universo dell'Autogrill. Un mondo veramente affascinante. Dove, non si sa perché, tutti si sentono in dovere di comprare un biglietto della Lotteria Italia, come se ci fosse la consapevolezza che tanto, nella nostra vita quotidiana del paesello, non si vince mai niente, mentre è nei luoghi casuali di passaggio che si annida la fortuna.
Mi sono fermata tipo a Bologna, per far benzina e bermi un caffè. Più tappa obbligata in bagno. Lo so, ho già affrontato in passato il tema del bagno. Che vi devo dire? Mi farò vedere da uno bravo. Però è li che ho notato una cosa fastidiosa. Come al solito, c'erano i soliti simboli (anche di simboli ho già parlato...aiuto!) che indicavano "uomini" da una parte e "donne" dall'altra. E in più, sulla porta delle donne c'era anche il simbolo della mamma che cambia il pannolino al figlio. E infatti poi entri e vedi che sul ripiano dei lavandini è poggiato un fasciatoio. Uau. Intanto facciamo progressi, perché non so da quanti anni gli Autogrill siano dotati di un tale servizio. Sicuramente quando da piccola viaggiavo con i miei genitori, mi cambiavano sul cofano della macchina. Un sollievo d'inverno e un inferno d'estate. Comunque, il fato ha voluto che proprio in quel momento scendesse ai piani bassi un padre con un neonato in braccio. E allora mi sono fermata a gustarmi la scena. Il padre si ferma. Guarda il simbolo della donna che cambia il figlio e subito assume un'espressione di inadeguatezza. Quel simbolo gli sta dicendo: "Ma sei rimbambito? Non lo sai che sono le mamme che devono cambiare i pannolini? Non penserai veramente di poterlo fare tu?" Con grande forza d'animo, vedo che prova a entrare nel bagno degli uomini e gettare uno sguardo impaurito, alla ricerca di un fasciatoio anche lì. Niente. Solo cumuli di carta bagnata sparsa ovunque (i bagni degli uomini sono sempre così, e non è uno stereotipo). Il bambino inizia a piangere. Il padre esce dal bagno dei maschi. Io sono tentata di aiutarlo, di prendere il fasciatoio e di portarlo momentaneamente nel suo bagno, ma mi fermo. La vogliamo finire di pensare sempre a tutto noi? E poi è giusto che la protesta provenga dai padri, in questo caso. Ha più valore. Con un certo disappunto, il padre risale le scale. "Ah! Adesso lo sentiamo". Penso io. Sicuro andrà a protestare con qualcuno dell'Autogrill. "Insomma, possibile che non ci sia un cazzo di fasciatoio nel bagno degli uomini? Costa 7 euro. Non è un grande investimento". Sì, io avrei detto così. Asciutta. Schietta. E invece no. Un minuto dopo, scende la madre, col bambino in braccio, ed entra nel bagno delle donne per cambiarlo.
Caporetto.
Disfatta su tutto il fronte.
Risalgo e vedo il padre con aria finalmente sollevata, che si beve il suo caffè.
"Datemi un biglietto della Lotteria, va..."

venerdì 23 settembre 2011

La tariffa del Delfino

È molto bello andare in giro per il mondo a scoprire posti nuovi. Che banalità. Ma è così: quella sensazione di stupore per ogni piccola differenza che trovi, quando ti dici "Ah, ma da noi non è così" oppure "Ma guarda questi come vivono" o "Chissà cosa vorrà dire quella scritta", mentre stai entrando in un locale sadomaso. È tutta una scoperta, tutto un allertare i sensi per fare tue quante più cose, quanti più scenari possibili. Ovviamente, se fai un viaggio, che ne so, in Malawi, sai già che troverai un sacco di cose che non sei abituato a vedere, e partirai già pieno di aspettative sull'impatto che la diversità avrà su di te. Perché credo che sia questo il figo di un viaggio: confrontarti con qualcosa di diverso, dalla tua quotidianità, dalla tua cultura, dalle tue abitudini. A dire la verità la globalizzazione ha un po' annacquato il fascino dell'esotico. Anni fa un'amica mi ha portato un pouf dal Marocco e poi magari lo trovi pure nel negozio etnico sotto casa. Allora, tu sai che viene dal Marocco e quando lo guardi ti viene voglia di farti un narghilè, ma in senso assoluto quel pouf sta pure in casa di altri milioni di italiani che sopra ci mangiano la pizza. E poi, facendo la considerazione più tragica, ti viene sempre il dubbio che sotto quel pouf che ha attraversato diversi confini per campeggiare nel tuo salotto, ci sia alla fine scritto "Made in China". Che, voglio dire, va bene pure avere un prodotto cinese in casa, ma non con la mano di Fatima decorata sopra. Comunque non importa. Quello che volevo dire, è che ci sono anche viaggi che tu fai in paesi relativamente vicini e con culture molto simili alla tua. Per esempio in Europa, in Spagna. E allora lì non è che ti meravigli tanto. Cioè, è comunque un bellissimo viaggio, ma non hai lo choc che hai quando vai in India e le scimmie ti attraversano la strada.
Allora, lo scorso fine settimana sono andata a Valencia, appunto. La città era pulita, la metropolitana funzionava e puzzava molto meno di quelle di Milano o di Roma, i bar erano dotati di bagni, pagavi in euro e se volevi comprarti una maglia di Benetton, potevi farlo. Tutto in regola insomma. A parte il caffè. Ma quello è uno schifo ovunque, appena passato il confine italiano. E purtroppo, alla "broda" estera non sarà mai possibile abituarsi.
Eppure, in questa città che poteva tranquillamente essere italiana, per usi e costumi, ho provato un brivido come se fossi in Malawi. Una cosa che assolutamente non mi aspettavo. È iniziata prima con una sensazione, un presentimento. Qualcosa mi faceva strano, ma non capivo cosa. Sono stata più attenta e alla fine ho realizzato: nemmeno un cartellone pubblicitario con una donna nuda, o seminuda, o che ammiccava, o che lavava i pavimenti, o che facesse una cosa da tipica donna italiana, insomma. Del resto, le donne lì sono spagnole.
Ma poi pensate: una delle maggiori compagnie telefoniche, la Orange, pubblicizzava la sua nuova tariffa, la "tarifa Delfin" e come immagine sapete cosa c'era? Un delfino. Okay, adesso non fate troppo i sofisticati criticando la banalità della scelta. Cercate invece di apprezzare l'assenza di un corpo femminile in un annuncio di una compagnia telefonica. Ero così incredula che mi sono messa a fissare il poster cercando indizi scabrosi. Ho pensato: "Sicuro la donna sta sotto al delfino...No, starà sopra...No, sta dentro...No, in realtà il delfino ricorda in qualche modo due tette...No, il testo dirà: 'Non sono un delfino, in realtà sono una donna nuda'..." Ma niente, vi giuro: della donna non c'era traccia! Incredibile. Questi spagnoli riescono a pubblicizzare tariffe telefoniche senza testimonial, senza cosce e senza culi.
Ecco, adesso, se volete fare una vacanza che vi faccia veramente confrontare con la diversità, andate in Spagna. Non rimarrete delusi.

venerdì 16 settembre 2011

Notte Horror

Stavo per andare a dormire dopo aver guardato un film sul canale Horror di sky che raccontava la storia di una sirena ridotta in cattività in una maxi vasca, che mi ricordava tanto la pubblicità di Saratoga il silicone sigillante. Il film in effetti sembrava il riscatto delle donne contro il bieco maschilismo che ci vorrebbe tutte sigillate in maxi vasche: la sirena, essendo in cattività, era appunto incattivita e fino alla fine del film ha sterminato tutti gli altri attori, protagonisti e non. Tranne una donna, con cui era entrata in empatia.
Ma non era questo di cui volevo parlare. Volevo dire che stavo per andare a dormire quando ho letto un articolo interessante sul The Telegraph. Leggete qui.
Praticamente ci dicono, con la consueta semplicità del giornalismo anglosassone, che le donne italiane sono le più infelici in Europa. L'articolo è molto breve, ma riesce comunque a dare il quadro completo della nostra situazione, snocciolando pochi dati qua e là, tipo:
- il 50% delle italiane non vuole sposarsi
- il 66% delle italiane non vuole figli
- il 70% dei maschi italiani non ha mai usato un forno
- il 95% dei maschi italiani non ha mai riempito una lavatrice
Forse ho forzato un po' le correlazioni tra i dati, ma ci sarà un motivo se il Telegraph li ha elencati, no? Le donne italiane sono angosciate dal fatto di avere figli perché non sanno poi come conciliarli con il lavoro. Non hanno supporti né dallo Stato, né dalle aziende, né dai loro partner. Non c'è da stupirsi se il 76% di loro risulta infelice.
L'articolo si conclude con il dato sul Global gender gap report, per il quale l'Italia è al 74esimo posto. Peggio del Kazakistan, è il commento finale.
Adesso su Horror danno Halloween, la notte delle streghe. Mi viene il sospetto che il canale si chiami horror perché le protagoniste sono sempre le donne.

martedì 13 settembre 2011

Poi dici da chi ho preso

È passato un anno dalla nascita di questo blog. Un anno in cui mi sono molto divertita a scrivere e a leggervi, in cui la mia vita è andata avanti, nonostante io sia donna. Ho fatto diverse cose durante quest'anno. Ho cresciuto due figli, per esempio. Ho lavorato. Ho preso treni (sigh), aerei, autostrade. Sono morta e sono risorta. Insomma, un bell'annetto del cazzo. E alla fine di quest'anno di blog, è morta mia nonna, ma ahimè non è risorta. Okay, aveva novantasei anni. Okay, aveva fatto il suo, era addirittura diventata bisnonna. Però era sempre mia nonna. Cioè, ci ho passato insieme trentacinque anni della mia vita. E poi era veramente speciale. Okay, sono di parte, ma no, sul serio era speciale. Era una di quelle persone (ce ne sono?) veramente BUONE. Mia nonna non conosceva l'invidia, la maldicenza, il malumore, la rabbia. Era sempre positiva, piena d'affetto, di voglia di vivere e di sorridere. Ma non solo con me, con tutti. Aveva uno spirito e una forza d'animo che non la faceva mai abbattere. Solo quando è morto mio nonno, dieci anni fa, si è un po' rattristata, ma è andata avanti lo stesso, per vedere i nipoti e i pronipoti. Aveva quel senso di leggerezza che ti permette di affrontare tutte le sfighe della vita con serenità. Ecco, mia nonna era serena. Sempre. Non che abbia avuto tutte queste grosse sfighe, eh. Non ha mai conosciuto la povertà, per esempio, nemmeno quando erano tutti poveri. Non ha mai dovuto lavorare. Però vent'anni fa ha perso completamente la vista. Sì, mia nonna era cieca, ma era come se ci vedesse benissimo. È stata sposata con un uomo, diciamo così, estremamente impegnativo, ma all'epoca non si usava separarsi, e comunque lei non l'avrebbe mai fatto. Perché mia nonna era così, andava avanti leggera e serena comunque. Ma non era stupida, eh. Né superficiale. Era proprio forte. E mi voleva un gran bene, e io a lei. Mio nonno, che con l'età si era leggermente ridimensionato, noto mangiapreti e ateo convinto, le ripeteva che sarebbe stata beatificata. Anzi, santificata. E sono d'accordo con lui. Del resto, per averlo sopportato tutta una vita...
Ma perché vi sto raccontando tutto questo? Perché mi sono domandata che cosa mi abbia spinto a creare un blog del genere, sul genere (e anche un po' degenere). E un po' ho pensato a mia nonna, che era uno spirito libero, e un po' anche a mia madre, che non è morta, eh, ma che l'altra sera mi raccontava di quando lei era giovane e mia nonna (l'altra nonna, uno spirito molto meno libero) la tormentava perché doveva imparare a fare a maglia, a intrecciare cestini per i ciclamini, a ricamare, a rassettare, a essere donna, insomma. E mia madre, ridendo con le lacrime, mi fa: "E pensa, la nonna mi diceva di fare il letto a mio fratello e io dicevo 'ma perché non se lo fa lui, che non fa un cazzo?'" Io, francamente non ci ho trovato niente da ridere. Comunque. Voi non conoscete mia madre, ma se la conosceste apprezzereste di più la portata della sua ribellione giovanile. Cioè, mia madre ha votato Pli tutta la vita. Mia madre il Sessantotto dice che era una cagata pazzesca. Mia madre, quando la vedi, hai l'impressione di essere sul set del Diavolo veste Prada. E tu sei la stagista, ovviamente. Ma mia madre non veste Prada, che è una cagata pazzesca. Però mia madre non voleva intrecciare cestini per i ciclamini e andava malissimo in economia domestica. Sua madre, quando i parenti le domandavano cosa stesse facendo, rispondeva sconsolata: "Eh...sta leggendo". Mia madre ha procurato dei grossi dispiaceri alla sua famiglia laureandosi senza sapere fare a maglia. Poi però li ha procurati anche a me tormentandomi perché mi dovevo rifare il letto. Insomma, lei sto letto non lo sopportava proprio. Comunque sono grata a mia madre per la sua ribellione giovanile, che peraltro ho scoperto solo l'altra sera (deve avermela trasmessa attraverso il cordone ombelicale). Senza di lei questo blog non sarebbe probabilmente mai nato. Senza di lei, e lo spirito di mia nonna.

giovedì 25 agosto 2011

Mai dire sì

Ieri sera ho fatto un tuffo nel passato. Sì perché quando il futuro è inquietante, quando ti parlano solo della fine del mondo, della crisi economica, della disoccupazione e del braccio rotto di Bossi, non resta che sintonizzarsi su Fox Retrò e sognare di tornare bambina, nei favolosi anni Ottanta, quando c'era Craxi ma tu non lo sapevi.
Insomma mi sono guardata un'intera puntata della serie TV "Mai dire sì". Per chi non lo conoscesse, questo telefilm nasce nel 1982 e ho ben chiaro il ricordo di quando lo guardavo, da piccola. Non so perché, ma la mia memoria ha registrato solo la storia di due investigatori privati che facevano coppia anche nella vita. Lui piacione, lei che se la tirava un po'. Invece ieri sera mi sono ritrovata a fare i conti con la realtà. Cito da Wikipedia: "La serie racconta le vicende di una investigatrice privata, Laura Holt (interpretata da Stephanie Zimbalist), che decide di aprire una agenzia investigativa tutta sua; agenzia che però non viene presa sul serio, in quanto 'è diretta da una donna'. Così, allo scopo di acquisire maggiore credibilità, Laura inventa 'un abile principale maschio' dal nome, appunto, di Remington Steele.
Tutto sembra andare a meraviglia per Laura e i suoi collaboratori (Murphy Michaels e Berenice Fox), finché un giorno, un misterioso personaggio (interpretato da Pierce Brosnan) non tenterà di rubare delle pietre preziose che Laura era incaricata di proteggere. L'uomo, capito il gioco dell'investigatrice, rinuncia al furto e, affascinato dalla donna, decide a sua insaputa di interpretare il ruolo del capo. Il personaggio centrale della serie, Remington Steele, in primis ricopre un ruolo di facciata all'interno dell'agenzia, declinando a Laura e ai suoi collaboratori gli incarichi lavorativi, ma progressivamente 'prende le sembianze' di questo uomo di fantasia e acquisisce sempre più dimestichezza e interesse verso l'attività lavorativa."
Nell'episodio che ho visto ieri, per l'esattezza il terzo della prima serie, tutto questo è saltato fuori dal mio televisore aggredendomi alle spalle e facendo scempio dei ricordi della mia infanzia. La protagonista passa tutto l'episodio a cercare di affidare un compito al suo collaboratore che invece, con una strizzatina d'occhio e un paio di moine continua a fare di testa sua. Ovviamente la ragione sta sempre dalla sua parte, perché lui ha l'istinto del bello e dannato, che non sbaglia mai un colpo. E alla fine, anche Wikipedia registra il succo dei ruoli: Remington Steele è il protagonista; Laura Holt è la co-protagonista.
Ma l'amara sensazione che poi ho avuto, è che questa trama è ancora molto, molto verosimile e credibile. Meno male che c'è sempre Wonderwoman.

martedì 16 agosto 2011

Mueve la colita

Metaponto. Ove un tempo sorgeva un florido centro della Magna Grecia, che ancora oggi ci regala dei magnifici resti del tempio di Hera del VI secolo a.C., ove nasceva e si sviluppava la civiltà classica, la filosofia e la matematica, ove l'uomo, circondato dalla bellezza della natura, dal mare e dal calore del sole traeva ispirazione per ragionare sul senso della vita, oggi sorge il parco acquatico Acquazzurra. E ho detto tutto.
Il parco acquatico incarna tutto ciò che io odio di più in tema di intrattenimento e vacanza. È quanto di più distante ci sia dal mio ideale di perfezione: mare a perdita d'occhio, silenzio, solitudine, cicale (ma non troppe), profumo di fiori, assenza di elettricità e zero campo dei telefonini. Invece, in quest'inno al progresso, al trend, all'iperattività umana, ci si cala in un girone infernale che Dante non avrebbe mai potuto lontanamente immaginare. Piscine enormi, scivoli d'acqua di tutti i tipi, di cui uno porta il rassicurante nome di Kamikaze, duemila persone che gridano da una parte all'altra del parco per chiedere quante focacce devono portare dal bar, quattro casse che nemmeno a Woodstock avrebbero osato mettere e un vocalist che anima la folla a colpi di "Welcome! Su le mani! Fatemi sentire un urlo!". Ma non è nemmeno questo a tramortirmi fino a farmi svenire. No. La cosa più imperdonabile è il ballo di gruppo. Cioè, già l'espressione "ballo di gruppo" ha qualcosa di perverso. Io non ho niente contro il ballo, eh. Sia chiaro. Da soli va bene, in coppia va bene. Anche quel paio di mossette dei Village People vanno bene. Ma senza esagerare però, ché si fa subito a cadere nel patetico. E invece, dalla Lambada in poi, tutti questi centri del divertimento matto e disperatissimo sembrano non poter fare a meno dell'influsso latinoamericano. E la rumba, e la bachata, e la salsa, ma tutto imbastardito con un UNTZ UNTZ commerciale e da coreografie che non arriveranno mai al genio di Cecchetto col suo Gioca Jouer. "Tutti a Cubaaa!" grida il vocalist. E io mi immagino tra le vie di L'Avana ad ammirare i bambini che ballano con tutta la loro spontaneità senza nessuno che mostri loro i passi da un palco.
Parentesi: che cosa ci faccio io al parco acquatico Acquazzurra? Espio il senso di colpa di essere una madre lavoratrice che sta 8 ore al giorno lontana dai suoi figli. Per cui, appena il primogenito mi ha chiesto: "Andiamo agli scivoli d'acqua?" ho prontamente risposto: "Ma certo, volevo proportelo io stessa". Per cui, siate indulgenti con me.
Insomma, in quest'orgia di inquinamento acustico e visivo, a causa della quale - ne sono certa - il tempio di Hera si sgretola giorno dopo giorno, così come il ricordo dei pensatori greci, ho avuto la forza di girare una breve dimostrazione. Eccola.


"Mueve la colita", si chiama il pezzo. E come avrete notato, riscuote un grandissimo successo. Tutti lì, a muovere la "colita" in questa sorta di gara dove, a detta del vocalist, le donne escono vincenti. E che donne! Bambine, adolescenti, madri, nonne, cognate, magre, grasse, alte, basse. TUTTE. Le stesse che poi hanno accolto con un'ovazione il pezzo successivo: il Bunga Bunga dance. Ma non l'ho ripreso, mi dispiace: mi stavo lanciando dallo scivolo Kamikaze, tra gli applausi di mio figlio.

mercoledì 10 agosto 2011

La regina del panzerotto

Diario del Capitano. Proseguono le vacanze nella parte Sud del paese. Come promesso, vi aggiorno sulle mie ferie senza che possiate opporvi.
Questo è un report d'obbligo, come la tappa che ho fatto ieri sera alla Pasticceria Jonio, dove si celebra il culto del panzerotto. Ehi ma, attenzione cari lettori del Nord, quando dico "panzerotto" intendo qualcosa di molto diverso, a volte opposto, da quella cosa molliccia che siete abituati a mangiare voi nelle pause pranzo, giusto per dare un tocco di originalità alle vostre tristi giornate. E, ahimè, tra i lettori del Nord mi ci metto anch'io. Il panzerotto a cui mi riferisco è quello grande, incandescente, croccante in superficie e poi subito morbido. Se lo appoggi su un tovagliolo, lascia una sorta di sacra sindone di olio. Ma non è olio normale. Di quell'olio tu senti subito il gusto dell'arachide, ti sembra di sentire il sapore delle mani che l'hanno sbucciata, quell'arachide. E poi, una volta aperto, escono fumi di mozzarella di mucca arrostita al sole, misti a quelli di pomodoro. Ma non pomodoro dell'Esselunga. Non pomodoro coltivato secondo tutti i principi normativi Iso 9001. Pomodoro che non sai dov'è stato piantato, forse in una discarica, ma è così...così...BUONO. Ecco, ditemi voi adesso che cosa c'entra quella donna dell'insegna del re dei panzerotti. Così perfetta, truccata, ammiccante con il dito sulle labbra. Che mi rappresenta? Piuttosto, avrebbe dovuto troneggiare una formosa donna incolta con i baffi e il grembiule da cucina. O suo marito, in canotta bianca e spalle pelose. Insomma, il trionfo dei tricologi. Ma se proprio vogliamo uscire dagli stereotipi, potevano semplicemente mostrarmi un forno, o il fuoco. La violenza della natura con tutti i suoi odori e colori. Insomma non so e non mi voglio sforzare, ché sono in ferie. Al limite, comunque, potevo pure farla io la testimonial di quel posto. Mi ci vedo proprio come regina del panzerotto.

lunedì 8 agosto 2011

Trasferito per ferie

Non amo i post di servizio, però mi sentivo in colpa perché tutti i blogger che si rispettino danno indicazioni sui loro momenti di chiusura per ferie, per non lasciare improvvisamente i loro lettori senza una ragione di vita.
Io non chiudo per ferie. Mi trasferisco soltanto. Faccio parte di quegli sfigati che non possono permettersi di chiudere completamente i collegamenti con il mondo nemmeno per due settimane in agosto. Quest'anno va così. Anche l'anno prima, veramente. Il prossimo verrete a cercarmi su Chi l'ha visto.
Insomma parto, ma resto connessa. Però volevo dirvi che scriverò da un osservatorio privilegiato, la costa ionica, e correderò i miei post con foto eloquenti quanto odiose per quei pochi che rimangono in ufficio. Ecco, volevo dirvelo.
Ciao ciao.

domenica 7 agosto 2011

L'amico di mutanda

Siete tutti al mare a mostrar le chiappe chiare? Bravi. È sempre rassicurante per me vedere che ogni anno, all'arrivo di ogni estate, si ripetono ciclici sempre gli stessi discorsi e si mettono in moto sempre le stesse dinamiche. Sì, mi rasserena. Mi rasserena e mi dà la forza di combattere l'ansia per le notizie inedite, tipo la crisi globale dei mercati, il declassamento degli Stati Uniti, l'Irap sulla prima casa, e via dicendo. Proprio ieri, mentre stavo immaginando quale potesse essere il significato delle parole: "La Cina esige il pagamento di tutti i debiti degli Stati Uniti" e la mia fervida immaginazione mi stava mostrando scenari apocalittici in cui la mia famiglia ridotta in schiavitù dava da mangiare ai pesci dell'acquario del ristorante cinese sotto casa, ecco arrivare in mio soccorso il tradizionale, il banale, il triviale, il becero, ma il tanto rassicurante tam tam estivo. Sì perché d'estate tutto sembra uscire da un servizio di Studio Aperto e diciamocelo, a noi piace così. Dai, lasciamoci andare al gossip, al disimpegno, al rutto libero! È estate cavolo!
Ovviamente c'è sempre chi esagera. La colonna destra di Repubblica online imperversa con foto choc di personaggi pubblici con la cellulite, i cartelloni pubblicitari di Bari gridano "E tu dove glielo metteresti?", in tutta Italia fa scalpore (scalpore?) la campagna Intimissimi uomo, in cui una donna indossa le mutande di un uomo. Ecco, volevo soffermarmi sull'ultimo caso, ma non per dire le cose che pensate voi, tipo che la donna viene usata adesso anche per pubblicizzare l'intimo per l'uomo, che lo sfruttamento del corpo, che la mercificazione, che la morale, che dove andremo a finire, che non c'è più religione, che si stava meglio quando si stava peggio. No, volevo parlare invece della VERA discriminazione. Ma andiamo con ordine.
Allora, c'è questa modella no, che apprendo essere la fidanzata di Ronaldo, Irina Shayk, che indossa una canotta e un paio di mutande da uomo. Alle sue spalle, un letto sfatto (come la sua acconciatura peraltro). E la scritta Intimissimi Uomo. Ora, il riferimento a quell'usanza per cui, dopo una notte di sesso, di solito non trovi più le mutande e ti copri con quello che trovi, pare chiaro. Solo che una volta ti coprivi con la camicia dell'uomo, oggi non va più di moda. Forse perché non esistono più gli uomini con la camicia. O forse perché, finalmente, adesso, gli uomini sfoggiano una biancheria intima invidiabile, che ogni donna vorrebbe avere. Sono molto tentata di darvi la mia versione privata di come si sarebbe rappresentata in casa mia quella scena, ma non posso. Posso però dirvi che intanto non sempre  ti rincoglionisci al punto tale da non sapere più dove sono le tue mutande, non sempre l'uomo ha delle mutande indossabili (e non solo per ragioni estetiche), non sempre tu hai la stessa taglia dell'uomo (per cui potrebbe essere che le sue mutande ti stiano, come dire, un po' comode, oppure, nella peggiore delle ipotesi, non ti stiano proprio) e non sempre quelle che si perdono sono le tue, di mutande. Ma chissà perché, a nessun uomo verrebbe in mente di indossare le tue. Anche se La Perla.
Ma non divaghiamo. È comunque chiaro che i destinatari di questa campagna sono le donne che vogliono essere fighe come Irina e gli uomini che vorrebbero avere Irina nel letto. Da recenti discussioni sul web, emerge che in sostanza, il corpo della donna viene usato per attrarre le donne (per emulazione), mentre il corpo dell'uomo, sempre per emulazione, viene usato per attirare i gay. Scopro che tutte le recenti campagne di intimo maschile che utilizzavano testimonial muscolosi e aitanti, erano in realtà rivolte al mondo omosessuale. E allora mi chiedo: ma gli uomini etero, chi emulano? Chi vorrebbero imitare? Chi vorrebbero essere? Ma è semplice! Nessuno! L'uomo Intimissimi, che non si vede ma c'è, forse in bagno a rinfrescarsi l'ascella pezzata, non vuole emulare nessuno, l'importante è avere Irina nel letto. E purtroppo la povera Irina non ha la possibilità di voler essere nessun'altra, se non la fidanzata di Ronaldo, che, come testimonia Studio Aperto, ha una panza che non finisce più. L'uomo etero, pare, non ha bisogno di essere diverso da quello che è. E infatti perché dovrebbe? Sono così svilenti le dinamiche della competizione estetica. Così basse. Lasciamole alle donne, che non hanno altro su cui puntare. Ecco, questa sottile differenza mi mette a disagio. Perché l'uomo Intimissimi può permettersi di restare chiuso nel suo bagno mentre si sta facendo uno shooting per un prodotto rivolto a lui? Se l'avesse fatto la modella, l'avrebbe passata così liscia?
Per ulteriori approfondimenti, leggete il blog PensieridiStefania.

mercoledì 27 luglio 2011

Vademecum per dementi

Si stava oggi discorrendo fra donne su Facebook, del libretto che il Comune di Roma ha voluto distribuire per la nostra sicurezza. Si chiama "Vademecum per la tua sicurezza". Sottotitolo (ammiccando) "Sicurezza, un lusso che oggi noi donne vogliamo permetterci". Sarà la deformazione professionale, ma quando sento le parole "lusso", "noi donne", "oggi", mi viene sempre in mente una vecchia pubblicità di uno shampoo che parlava a noi "donne che vivono nella performance". Ma probabilmente è solo un flash mio, di cui dovrei discutere con la terapista.
Insomma, prendiamocelo questo lusso della sicurezza! Checcazzo.  È mai possibile che non si possa andare in giro la sera senza avere l'incubo di essere aggredite (e purtroppo mai da George Clooney - no, questa la tagliamo, troppo politically incorrect)? Non ti si può rompere la macchina in mezzo a una strada, non puoi chiedere aiuto, non puoi uscire da sola da una discoteca (e nemmeno entrarci), non puoi camminare, non puoi prendere la metro, non puoi fare niente di niente senza correre il rischio di essere aggredita. Un'angoscia tremenda. A questo punto stai a casa. Eh no! Che a casa si consumano le violenze domestiche. E comunque potrebbe sempre citofonare uno sconosciuto che t'ha vista al banco salumi un'ora fa e ti ha seguita fino al portone. Insomma, mai tranquille. Ma adesso c'è il Vademecum. Ah! Adesso ve la facciamo vedere noi (in senso figurato). Chissà che strategie messe a punto da esperti dei servizi segreti, chissà che trucchi da ninja ci suggeriranno. Il lusso della sicurezza è mio! Lo voglio! Yeah!


E ti viene un dubbio. Il dubbio se sei deficiente tu, o sono deficienti loro.
Il sindaco Alemanno conclude i suoi saluti nell'introduzione del libretto, dicendo: "Questo vademecum è una guida preziosa che desideriamo consegnarvi perché potrà aiutarvi a sentirvi più sicure, sapendo che non siete sole." Qua e là ritrovo la stessa frase: non siete sole.
Poi entro nel vivo del vademecum e leggo che è meglio evitare strade isolate. Ma come? Non mi avevi detto che non ero sola? O intendevi che avrei avuto la compagnia di almeno uno stupratore?
Ci sono diverse chicche che mi hanno fatto riflettere, e purtroppo non sulla mia sicurezza.
"Nota se vi sono telecamere o colonnine SOS (vi è un cartello bianco che indica quando ti trovi in un’area videosorvegliata)."
Questo sarebbe per esempio un consiglio? A che pro poi? Per dirlo allo stupratore? "No scusa, qua non puoi perché ci sono le telecamere".
"Ricorda che attivare l’intervento di un singolo è più efficace che rivolgersi genericamente a un gruppo: il fenomeno della 'deresponsabilizzazione' potrebbe impedire a ciascuno di loro di prendere l’iniziativa, se non lo fa prima qualcun altro".
Altro consiglio utile. Grazie. Già mi vedo a passare in rassegna tutti i passanti, inseguita da un energumeno. "No, questi sono in tre, saranno deresponsabilizzati, questi sono quattro, ah, ecco, quello è da solo: chiedo a lui".
"Se sei sola e costretta a viaggiare di notte avvisa il controllore o il capotreno; chiedi se possono effettuare costanti controlli o di sederti vicino alla loro carrozza". Questo è il mio preferito. Questi non hanno mai viaggiato con Trenitalia. È evidente.
"Non indossare vestiti particolarmente appariscenti se prendi la metro di sera da sola e se puoi evita di portare con te la borsa". Questa è forse troppo oltre per me. Che significa? Che se non prendo la metro posso indossare vestiti appariscenti? E se non porto la borsa, dove metto il portafoglio, il cellulare (che mi serve per chiamare il 112), lo spray al peperoncino, le chiavi di casa? E poi basta con 'sta storia dei vestiti appariscenti! Decidetevi se l'aggressione è colpa dell'uomo o della donna. E poi fatevi un giro nei centri antiviolenza delle donne e ditemi come erano vestite le vittime di aggressioni e stupri. Tutte in minigonna? Tutte col push-up? Finitela di distribuire la responsabilità di un crimine anche sulla vittima, che proprio non ci siamo. E poi scusate, ma se mi trovo a camminare in un vicolo buio, significa che il Comune, invece di spendere soldi per dirmi che quando sono sola a casa non devo aprire agli sconosciuti, dovrebbe piantare un paio di lampioni in più.
Questo prezioso contributo al benessere della cittadinanza femminile si conclude con un messaggio promozionale. Ebbene sì, per la donna che vive nella performance c'è un'offerta imperdibile: PeTra, il sistema di allarme ideale per una donna che va in giro da sola nei vicoli bui e con i vestiti appariscenti. Un rivoluzionario apparecchio che, premendo un tasto, si collega direttamente con un centro di soccorso preimpostato dall'utente. In pratica, il telesalvalavita Beghelli di mia nonna. Del resto, anche i consigli del vademecum, potrebbe tranquillamente averli scritti lei.