venerdì 30 novembre 2012

Off topic

Per la prima volta dalla nascita di questo blog, vado fuori tema e posto un pezzo che non riesco a smettere di leggere. L'ha scritto la mia amica Marta Zacchigna, che a differenza mia, che faccio puro esercizio di stile, è una vera scrittrice. E se qualcuno si domandasse che cosa differenzia uno scrittore dal resto del mondo, qui lo potrà capire.
Se qualcuno volesse lasciare dei commenti a questo post, pubblicato su microclismi.com un paio di giorni fa, può farlo a questo link: http://www.microclismi.com/2012/11/28/il-fazzoletto-ripiegato-in-quattro/#comments

Buona lettura.

Il fazzoletto ripiegato in quattro

Questa mattina ho preso l’autobus. Sono salita con le mie cuffiette e l’Ipod e la mia borsa piena di tutte quelle piccole cose inutili che ci fanno sentire sicuri. Mi sono seduta vicino ad un anziano signore, distrattamente. Era l’unico posto libero.
Fermata dopo fermata, noto la fermezza del corpo che mi sta accanto, nemmeno un movimento, nonostante l’oscillazione della corsa, quasi una stasi dell’anima. Mi accorgo che il suo pantalone a costine è liscio, noto la scarpa consunta. Anche quella calza blu con elastico molle ha avuto stagioni migliori. Risalgo con lo sguardo, la camicia è macchiata. La giacca ha l’aria di essere stata sulle spalle di più persone. Gli guardo le mani: una abbraccia una borsa ecologica quasi sfondata (rispetta la natura), giallo canarino. L’altra stringe un fazzoletto di stoffa quadrettata.
Piange questo Signore. Si asciuga le lacrime. Forse perchè è il 28 del mese e la pensione minima è finita da un pezzo. Si accorge che lo sto guardando, e che sono turbata di avere la disperazione così vicina. Cerca un contegno in quel fazzoletto ripiegato in quattro, e si rannicchia come nella vergogna per una debolezza non più condivisibile.
Gli sono rimasta accanto senza dire nulla, ma ho sentito il suono muto di quell’abbandono alla tristezza invernale, che non cerca più consolazione e che chiede solo gli sia risparmiato qualsiasi slancio compassionevole. Vado al discount, a fare la spesa, come tutti, come tanti.
Ieri ho letto sul giornale che una quindicenne si è sparata. Qui, nella mia città, vicino al mare. Ho un déjà vu. Deve essere successo anche qualche mese fa. Un’altra ragazza. Se ne era parlato.
Allora oggi ho pensato a questo, mentre tenevo la fronte appoggiata al finestrino dell’autobus 22 che dall’Ospedale porta alla Stazione Centrale, mentre vedevo il mio alito appannare il vetro e sentivo il singulto di un settantenne triste a pochi centimetri da me.
… ho pensato che un Paese dove gli anziani piangono con le borse della spesa vuote, e gli adolescenti si ammazzano nella stupita, indignata sorpresa generale, è un Paese che ha perso la scommessa con la Storia. Io vorrei portare la classe politica tutta dentro a quell’autobus delle otto e trenta a fargli fare un bel giro. Portarla al Discount e far mangiare loro un tonno di qualità scadente, direttamente dalla latta. Mostrargli la dignità di quel fazzoletto quadrettato di stoffa ripiegato perfettamente in quattro porzioni identiche, memore di tempi migliori. Così come vorrei che tutti ci fermassimo per un giorno, e ci chiedessimo, tutti insieme, in quale buio nero più del nero abbiamo trascinato il futuro.
Microclisma: E adesso vado a lavorare.
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lunedì 26 novembre 2012

Rinarrate: un progetto per raccontare la violenza (tra un X Factor e un Dexter)

Per la prima volta mi mancano le parole per un incipit che sia degno dell'argomento. Allora inizio a raccontare semplicemente com'è andata.
Un giorno mi contattano dalla redazione di Bora.la, portale di informazione locale online per coinvolgermi in un progetto assieme al GOAP, il centro antiviolenza di Trieste. Il progetto si chiama Rinarrate, e ha come obiettivo quello di far raccontare a una decina di donne, vittime di violenza, la loro storia e di pubblicarla sul web per far nascere un dibattito. Mi si chiedeva di fare un po' di formazione a queste donne, sulla scrittura creativa, su web, su blog. A me è sembrata un'idea bellissima. Scrivere fa sempre bene, sia a chi scrive, sia a chi legge. E finalmente a scrivere adesso erano proprio le protagoniste, loro malgrado, di vicende di cui andrebbe letto e parlato moltissimo.

Da anni mi occupo anche di formazione. Insegno la comunicazione alle aziende, ai manager, alle associazioni professionali, ai master. Ma l'ho fatto anche ai corsi di apprendistato, a idraulici, elettricisti, tornitori. Ho avuto davanti a me classi di tutti i tipi e di tutti i livelli: preparati, esigenti, puntigliosi, svogliati, disinteressati, maleducati. Ho fatto lezione a centinaia di persone, a volte sudando freddo, a volte improvvisando, a volte con l'applauso finale, a volte con l'indifferenza. Ne ho visti di tutti i colori insomma, perché ogni classe è sempre diversa e bisogna sapersi adattare ed essere pronti allo scambio, all'interazione, all'imprevisto. Un incubo ogni volta quindi, ma da cui esco sempre soddisfatta.
Però giuro, mai nella mia vita mi sono sentita così emozionata come quel giorno in cui sono entrata al GOAP di Trieste e mi sono trovata davanti quelle otto donne che volevano scrivere la loro storia. Improvvisamente mi sono passati davanti tutti i post di due anni di blog e mi sono sentita un'idiota. Totalmente inadeguata a misurarmi con queste donne che invece erano lì per sentire da me come avrebbero dovuto raccontarsi sul web. La porta era alla mia destra, vicinissima, ma per scappare ormai era troppo tardi.
Alla fine ho fatto appello alla razionalità, mi sono seduta, le ho guardate e ho pensato che avremmo tutte imparato qualcosa l'una dalle altre. In fondo questo blog è una sorta di prologo alle loro storie, un'introduzione che tenta di spiegarsi da dove nasca tutto quanto, i gravi problemi culturali della nostra società, gli stereotipi in cui incappiamo spesso e che contribuiamo ad alimentare senza nemmeno accorgercene. Certo, la violenza esiste di per sé. Il problema è che viene alimentata, giustificata e a volte proprio invocata. Da chi? Da noi, chi più chi meno. E quindi i problemi sono due: la violenza e la sua giustificazione. E il fatto che la si giustifichi impedisce anche che si faccia qualcosa per prevenirla. Non si fa educazione, non si spiega ai bambini maschi che usare le mani è sbagliato. Si sanzionano però le femminucce, quando lo fanno. Perché una femminuccia certe cose non le deve fare. Il maschietto invece è maschietto, si sa che è esuberante. I maschi vengono cresciuti come macchine da guerra e le femmine come fashion victims che hanno solo bisogno di un protettore. Questo nel 2012. Ma non lo dico io sulla base di osservazioni personali, lo dicono gli studi più recenti, le ricerche. E dicono che la situazione è in peggioramento.

Mi è piaciuto passare quelle due ore con quelle donne. Mi è piaciuto guardarle e conoscerle. Un paio di loro mi sembrava di averle già viste, da qualche parte. Mi è sembrato di conoscerle già. Mi sono sforzata di ricordare da dove. Ma poi in fondo che importa? Le conosciamo già tutti quanti, quando entriamo in quel negozio, quando vediamo quella cassiera al supermercato, quando ritiriamo quella raccomandata in posta, quando stringiamo la mano a quell'impiegata. Le donne vittime di violenza sono ovunque e sono tantissime e ci parliamo ogni giorno. Ma non ci pensiamo. Pensiamo che la violenza sia molto lontana da noi. Che si consumi in famiglie balorde, che non fanno parte del nostro giro. E invece no. Non è - solo - il disoccupato che beve e torna a casa infuriato. È anche l'avvocato astemio membro dell'associazione di beneficenza. È il notaio, il commercialista, il carabiniere, il nostro vicino di casa che vediamo all'assemblea condominiale che raccoglie le deleghe, è il vicino di brandina allo stabilimento balneare, è quello che guida il nostro autobus, è il personal trainer o il preside della scuola dei nostri figli. È il nostro vecchio compagno di classe delle superiori che da ragazzo ci faceva tanto ridere.

Oggi è partito ufficialmente il progetto Rinarrate. A questo link trovate il primo racconto. Ogni lunedì ne troverete uno nuovo, pronto per essere commentato e per essere conosciuto e divulgato. Ogni lunedì avremo la possibilità di comprendere quanto vicine a noi siano queste persone. Sia le vittime sia i carnefici. E avremo la possibilità di pensarci un po' su. Tra un X Factor e un Dexter.

Io, intanto, ringrazio Bora.la, Goap Trieste e tutte le donne che ho conosciuto in questo progetto, per avermi dato queste grandissime emozioni.
E invito tutti i lettori di questo blog a dare il loro contributo, commentando tutti i racconti.


venerdì 23 novembre 2012

Come la mamma!

Ammetto che ultimamente sto diventando piuttosto talebana su tutto ciò che concerne il lato "educazione dei bambini". Mi accorgo di non essere mai completamente rilassata quando entro in un negozio di giocattoli. Non mi diverto a comprare regali per bambini. Voi direte perché sono diventata vecchia, e in effetti potrebbe essere. Ma credo si tratti proprio di una presa di coscienza più amara, che mi fa guardare sempre più spesso a come siamo e, soprattutto, a come continueremo a essere.
Questo ragionamento mi porta alla consapevolezza che forse è arrivato il momento di FARE, dopo aver tanto, ma tanto parlato. E quindi mi sono ritrovata, nelle ultime due settimane, a dover comprare dei regali di compleanno per delle amiche dei miei figli. Una di 4 e una di 6 anni. E ho comprato dei giochi che implicassero lo sviluppo della creatività, in maniera del tutto neutra dal punto di vista del genere. Niente bambole, niente cicciobelli da accudire, niente kit da perfetta casalinga, niente rosa. Ne sono stata molto soddisfatta io e anche le bambine, quando hanno aperto i pacchetti.
Questa mattina invece, entro di nuovo nello stesso negozio per prendere altri due regali, questa volta per bambini maschi, molto piccoli. Ero già incattivita perché uscivo da una conferenza stampa del centro antiviolenza della mia città, di cui vi parlerò lunedì, con più freschezza. Ho accarezzato l'idea di prendere qualcosa per la cura della casa. A uno dei due avevo già regalato un ferro da stiro, forse adesso avrebbe gradito un aspirapolvere o un set di pentole. Entro ovviamente nell'area ROSA, dove tutto è rosa e dove ti si cariano istantaneamente i denti per la stucchevolezza dei messaggi. 

Mi avvicino agli scaffali "casalinghe in erba" e resto colpita da un chiaro segno di progresso: i due ferri da stiro che vedo non sono rosa, ma azzurri! Non solo, ma su una delle due confezioni, campeggia la foto di un bambino con una maglietta azzurra! NON CI POSSO CREDERE.
Cioè, guardate! Non siamo in grado di connotarlo chiaramente come maschio o femmina. Può essere sia uno sia l'altra. Qui c'è stato uno sforzo verso il progresso, è evidente. Okay, la scatola è rosa, ma il prodotto è azzurro. Il testimonial è transgender. Poi però hanno dovuto svaccare, come al solito. Hanno avuto un pentimento, una fatale esitazione. Non se la sono sentita di andare avanti. E hanno voluto subito mettere in chiaro qual era il modello da seguire: "come la mamma!"
E fra l'altro hanno anche commesso un errore di valutazione: se i miei figli dovessero prendere esempio da me, quel ferro da stiro sarebbe usato come fermo in libreria.

Niente da fare invece per la testimonial della scatola delle pentole: inequivocabilmente femmina, e quindi spacciata. 
Cara bambina, ridi ridi finché puoi. No, la scatola non è rosa, è rosso Ferrari, ma questo non ti esonera dall'occuparti della cucina. "Come la mamma", del resto. La Ferrari è per il papà, che se la guarda sdraiato in divano, al Gran Premio in tivvù.
Alla fine ho optato per due regali neutri, ma non ve li dico per non rovinare la sorpresa ai loro genitori.
Buon fine settimana a tutti. E cercate di non fare troppe cose come la vostra mamma!

mercoledì 7 novembre 2012

Tu quanti handicap hai?

Torno sul tema che più di altri mi appassiona, per deformazione professionale e per demenza personale: la segnaletica. Sulla pagina facebook di Donne in ritardo ci stiamo confrontando sui dilemmi che suscita questo segnale:



Ringrazio la mia amica che è arrivata fino in Norvegia per consegnarci questo rompicapo.
Dunque, il senso generale del messaggio è chiaro: le mamme sono portatrici di handicap. Io, che ho due figli, come mi è stato giustamente fatto notare, ho due handicap. Immagino che in caso di quattro figli ti riservino direttamente una corsia stradale, perché è risaputo che in Norvegia sono molto attenti alle questioni sociali.
E fin qui ci siamo. Voglio dire, va bene: prendiamo coscienza di avere delle difficoltà rispetto al resto della popolazione abile. E su questa scia proporrei anche dei posteggi gratuiti e riservati in prossimità di negozi e principali luoghi di interesse, ché camminare sotto la pioggia, il pupo per mano e le buste dello shopping non è proprio il massimo.

Ma poi ci sono quegli altri due.
Quello con le stampelle e quello col bastone.
E mi domando: "perché?"
E forse se lo domandano anche quelle due donne, girate verso di loro in attesa di una risposta.
Perché in Norvegia sentono la necessità di differenziare l'handicap? Mi dicono che il primo è un giovane che si è appena operato al menisco, mentre l'altro è un anziano col bastone. Un'ipotesi sensata. Ma continuo: "perché?"
Forse l'obiettivo era quello di escludere qualsiasi dubbio su chi far sedere e chi no sull'autobus. Magari si sono trovati malissimo sui mezzi italiani, dove veniva rappresentato solo l'uomo col bastone e quindi quello con le stampelle ha fatto il viaggio in piedi, assieme alle donne incinte e alle madri coi bambini. Magari il giovane operato di menisco ha chiesto il posto e gli è stato risposto: "Eh no, caro. Tu mica hai il bastone".
Ma allora mi dovete mettere anche tutti gli altri. Tipo quelli col braccio in gesso. Perché come si tengono quelli col braccio in gesso? Quelli non li facciamo sedere? E quelli con la storta alla caviglia? E quelli con l'ascella pezzata? Ne vogliamo parlare?

Rimango sempre spiazzata dalla creatività repressa che hanno gli autori dei segnali convenzionali. Per questo ho dedicato un tag apposta su questo blog sotto la voce "segnaletica". L'argomento è veramente curioso.

Comunque resta un fatto ineluttabile: se sei un uomo e hai un bambino in braccio, resti in piedi. Ma anche se sei donna, anziana oppure giovane e operata al menisco.