venerdì 30 agosto 2013

"Non piangere"

Avete presente quel fenomeno strano per cui, quando siete a piedi per strada odiate tutte le macchine che vi passano a destra e sinistra e quando invece siete seduti voi in macchina, nel preciso istante in cui mettete in moto, il pedone diventa il vostro peggior nemico? Ecco, la stessa cosa a me succede coi bambini.
Che sia chiaro, io amo i miei figli. Adoro passare le vacanze con loro. Quest'anno ci siamo divertiti un sacco al mare: abbiamo riso come matti, abbiamo guidato i quad come i re dei tamarri, abbiamo fatto casino insieme e ci siamo voluti un gran bene, la sera, facendoci le coccole prima di dormire. Adoro le mie creature, veramente. Ma poi, capita magari un weekend con le amiche, o una trasferta di lavoro da sola e mi trasformo immediatamente in Crudelia De Mon. Odio i bambini che piangono in treno, quelli che piangono al ristorante, che piangono in spiaggia, al bar, al supermercato, che piangono ovunque! Confesso che se sono sola al mare, scelgo il posto più lontano possibile dalle tracce di presenza infantile. Quando prendo un treno, trasalisco quando vedo un passeggino nel mio scompartimento. E guardo con orrore quelle madri (perché nel nostro paese sono sempre ancora le madri che stanno coi figli) che si affannano a inseguire quei bambini, a pulirli, a dare loro da mangiare, a farli giocare, a farli smettere di piangere. Le guardo e penso a tutte le volte che vengo guardata anch'io così, mentre il mio primogenito vomita nel sacchetto per il mal di mare e il secondogenito grida perché vorrebbe essere a letto da tre ore. E penso che le donne che mi guardano con disappunto sono altre madri che a loro volta si prendono i loro 5 minuti di soddisfazione. 

Insomma, sono un mostro, lo so. E in mezzo a questa mia mostruosità, ci sono i bambini, poveri esseri inconsapevoli e innocenti che non possono fare altro che piangere di fronte alle brutture di questo mondo, compresa la mia.
Sì, perché i bambini piangono. Che scoperta, eh? I bambini non ti dicono: "Guarda, sono rimasto molto deluso dal fatto che non ci fosse il budget per il nuovo Trenino Thomas". No, i bambini piangono. Non ti dicono: "Vorrei schedulare la nostra giornata in maniera diversa dall'asilo". Non ti dicono nemmeno "Questi spaghetti hanno un retrogusto esotico". Piangono, piangono e basta. È l'unico modo che hanno per esprimersi, per manifestare i loro sentimenti, per sfogarsi. E invece noi che facciamo? Qual è la frase più ricorrente di un genitore medio? "Dai, non piangere (tantomeno in treno, o in un luogo pubblico)". Questa cosa poi, prosegue in maniera differenziata per maschi e femmine. Il maschio è bene che non parli dei propri sentimenti, che non li esprima. Il maschio dovrebbe smettere presto di piangere. Per le femmine invece c'è più indulgenza. Anzi, le femmine sono così, sempre un po' isteriche, perché ci hanno gli ormoni e non ragionano e ce le teniamo così. E molte femmine quando crescono, tengono un diario, chiuso con un lucchetto, che le madri più smaliziate imparano a rintracciare e a scassinare senza lasciare traccia dell'effrazione. Sul diario si incanalano emozioni, paure, lacrime, gioie. Nei diari delle femmine ci sono pezzi autentici di vita vissuta, sentimenti allo stato puro. 
E i maschi? I maschi non tengono diari. L'ho scoperto quando mia madre ha deciso di regalare al mio primogenito un diario su cui lui potesse appuntare i suoi pensieri. "Così si esercita a scrivere" mi ha detto, coerentemente con il suo ruolo di professoressa d'italiano e latino in pensione (e con il ruolo di rompiballe). Mia madre quel diario ha fatto fatica a trovarlo. Dice che ci sono solo diari di Barbie, Winx, Hello Kitty, dice che sono tutti rosa e parlano alle bambine. Alla fine ne ha trovato solo uno unisex, e l'ha preso:

Il diario del Piccolo principe. Carino eh. Con lucchetto. Ovviamente è importato dalla Francia, dove evidentemente i maschi sono liberi di tenere un diario.
E allora penso che se i bambini maschi fossero liberi e magari anche incoraggiati a esprimere i loro sentimenti, anziché a reprimerli o far finta che non esistano, magari la futura generazione di adulti potrebbe essere un pelo migliore di quella attuale. Magari ci sarebbero meno uomini tristi e frustrati. Magari ci sarebbero uomini più consapevoli perché hanno imparato a verbalizzare per iscritto i loro sentimenti. Magari ci sarebbero meno omofobi, meno misogini, in generale meno stronzi in giro. Chissà. Magari un diario può contribuire a fare la differenza. 

Lorenzo ha iniziato a scrivere. A matita, perché dice che così quando finisce lo spazio, può cancellare e scrivere di nuovo. Perché oltre alle pari opportunità gli stiamo insegnando anche l'ecologia.

Povera creatura.

venerdì 23 agosto 2013

Ragazze ininterrotte

Sono passati quasi due mesi dall'ultimo mio post, il che farebbe inorridire qualsiasi analista di social strategy, ma siccome non devo vendere niente, posso permettermi di dire "chissenefrega". Però un attimo, "chissenefrega" fino a un certo punto, perché in realtà non sto attraversando un periodo di perdita di interesse o di scarsa motivazione. Non mi sono stufata di scrivere su temi legati alle questioni di genere, né ho smesso di occuparmene. In realtà, la causa del mio recente silenzio è proprio l'opposto (sì, vabbè, ho fatto tre settimane di ferie, ma che c'entra). In realtà sono stata meno a scrivere e più ad agire. Perché arriva un momento nella vita di ognuno di noi, in cui, dopo aver segnalato un problema, bisogna fare qualcosa per risolverlo. Cioè, non si può mica stare a segnalare per tutta la vita, no?
Posto che credo comunque molto nell'attività di denuncia di questo e di altri blog e che quindi non smetterò mai di parlarne, ho avuto voglia di realizzare alcune idee che mi sono venute strada facendo.

Oggi vi parlo della prima idea, che adesso si è concretizzata in un vero e proprio progetto.
Per inquadrare il campo di intervento, vi racconterò un eloquente episodio vacanziero.

Esterno giorno.
Spiaggia.
Temperatura esterna: 2000 gradi.
Temperatura del mare: appena sotto la soglia dell'evaporazione.
Unica strategia anti caldo vincente: praticare l'immobilismo assoluto.
Velocità bioritmo: zero.
Velocità metabolismo: zero (il che significa quindi assimilazione istantanea anche delle calorie degli esseri viventi circostanti).
Encefalogramma: piatto.
Unica attività intellettuale: costante osservazione sociologica sul campo.
Soggetti osservati: famiglia italiana media, composta da padre, madre, figlia dodicenne.
La ragione per cui ho osservato solo questa famiglia è che sono stati anche loro immobili per otto ore di fila e questo per me è stato molto rassicurante.

Evento della giornata: verso le sei e mezza di sera, mentre iniziamo un po' tutti a sbaraccare le nostre postazioni balneari, regalando finalmente a quella spiaggia una parvenza di vitalità, succede qualcosa.
Un signore dell'ombrellone vicino, che evidentemente si è dedicato alla mia stessa attività, è andato a congratularsi personalmente con la madre della famiglia italiana media.

"Guardi, le devo dire che ha una figlia BRA-VIS-SI-MA. L'ho osservata, sa? Braaava, buooona, è stata tutto il giorno tranquilla, ha letto, è stata con voi...Io invece ho un maschio, sa? Ah, i maschi, che invece non stanno fermi un attimo..."

La signora ha incassato elegantemente, anche con un certo compiacimento. Io a quel punto, vigile come un felino di notte, guardo la ragazza per scrutarne la reazione. Ed eccola lì, l'espressione che mi ha dato la soddisfazione più grande di tutta la vacanza. Che mi ha riempito di orgoglio, che mi ha fatto pensare che sì, sono sulla strada giusta, e sì, è il momento di fare qualcosa di concreto.
L'espressione è la stessa che balenava negli occhi di Angelina Jolie in Ragazze interrotte. Per l'esattezza, questa:


È quell'espressione che anche io, da giovane, da piccola, avevo spesso, un'espressione eloquente, che si può tradurre più o meno così: "Attento, che se scopro qual è la tua auto familiare di merda, te la faccio diventare una Panda, facendoci sbattere la tua testa vuota".

Quell'espressione racconta una realtà molto diversa da quella di cui sembrano compiacersi ancora molte persone oggi. Una realtà che non corrisponde allo stereotipo delle ragazze brave, belle e buone che non danno pensieri ai genitori. La realtà che vuole che le ragazze si comportino in modo decoroso, che restino il più possibile invisibili, che non si facciano sentire. Come un soprammobile per esempio. Come un complemento d'arredo, che si guarda e si ammira per la sua eleganza e il suo abbinamento al resto della casa e che bagnanti qualsiasi si sentono in dovere di elogiare.
Quel signore è andato a congratularsi apposta con quella madre, per le virtù della figlia. Ed era un uomo con una certa posizione, si vedeva, con una certa cultura, la cultura italiana. E quel che preoccupa di più è che quell'uomo ha un figlio maschio. "Esuberante" diceva lui. E beato lui, dico io. E deve averlo pensato anche quella ragazza di dodici anni, che magari avrebbe voluto essere libera di lasciarsi andare come un maschio, senza rischiare di essere rinchiusa in un istituto per ragazze interrotte.

E allora penso che quell'idea che mi frullava in testa da tempo, che adesso è diventata un progetto e che vuole iniziare a educare fin da piccoli i bambini (maschi e femmine) a sentirsi liberi di scegliere i propri giochi e il proprio modo di essere, è un'idea sensata. E deve averlo pensato anche la commissione della mia Regione, che ha deciso di finanziare questo progetto, che si chiamerà "Pari o dispari? Il gioco del rispetto" e che partirà quest'anno scolastico, in quattro asili pilota del Friuli Venezia Giulia, con la distribuzione di kit didattici che insegneranno ai bambini, attraverso il gioco, a superare gli stereotipi e a rispettare la differenza di genere. Così che in futuro, se un dodicenne maschio vorrà essere bravo e buono, potrà farlo senza dubitare della sua identità di maschio e allo stesso modo, se una ragazza vorrà giocare a calcetto sulla spiaggia (o spaccare la faccia a chi glielo vorrà impedire), non si sentirà sbagliata.
L'ho scritto tante volte su questo blog: bisogna partire dall'educazione, dai bambini. Ma non dalle scuole medie, non dalle elementari, quando sono già tutti divisi tra rosa e azzurro. Bisogna iniziare dagli asili, scardinando in tempo gli stereotipi che vogliono le femminucce brave e i maschietti avventurosi.
E quindi adesso iniziamo.

P.S.: il progetto ha potuto vedere la luce grazie a Daniela Paci, insegnante della scuola dell'infanzia, e a Lucia Beltramini, psicologa, che supportano scientificamente e professionalmente questa idea.