giovedì 27 gennaio 2011

Lezioni

Lezione di tecniche di vendita a una classe di un istituto commerciale. Avevo una seconda, che di solito implica un'età che si aggira intorno ai quindici anni, e invece in quell'istituto la media per le seconde si alza a diciassette. Qualcuno arriva a scuola in macchina (nel senso che la guida). Quando chiedo ai ragazzi la motivazione che li ha spinti a iscriversi a quella scuola, la risposta corale è: "Perché è la più facile". Sarà, ma questi qui fanno lezione fino alle cinque del pomeriggio. Hanno rientri pomeridiani praticamente ogni giorno. Sono sempre stravolti. Mi domando dove stia tutta sta pacchia. Cioè, sono io che me la godevo al liceo classico, dove finivo a mezzogiorno tre giorni la settimana e gli altri all'una. Okay che poi a casa dovevo studiare, ma almeno avevo tutto il pomeriggio.
Comunque. Cerco di impostare la lezione in modo che mi riescano a seguire tutti. Quindi parlo come se mi rivolgessi a mio figlio di quattro anni. E nonostante questo, c'è qualcuno che rimane indietro. Di solito quelli con la macchina, perché probabilmente pensano a quando devono fare la revisione. Una ragazza, nel mezzo della spiegazione, alza risoluta la mano per chiedere la parola. M'illumino d'immenso. Mi sarà capitato due volte in tutta la mia (per fortuna) saltuaria vita da docente di rispondere a domande di studenti particolarmente attenti.
"Prof, posso andare in bagno?"
Ecco. Sono la solita ingenua.
"Speravo avessi qualcosa di più intelligente da chiedermi".
"No - ride - no, no".
Improvvisamente comprendo tante cose. Comprendo tutte le facce che ho visto nella sala insegnanti, quei tic nervosi dei docenti di ruolo, che magari sono vent'anni che insegnano in quella scuola. Comprendo la vicepreside che urla la sua frustrazione agli altri professori. Comprendo il bidello che rincorre gli studenti con la ramazza. E quindi, in definitiva, comprendo anche tutta la situazione italiana.
Proseguo imperterrita con esempi, casi pratici, citazioni da film di serie B, e alla fine, arrivata al capitolo "cliente", chiedo:
"Qualcuno mi sa fare un esempio di stereotipo di un professionista, mettiamo di quarant'anni, maschio?"
Silenzio. Ma non di quei silenzi carichi di tensione, come quando la professoressa d'italiano chiedeva a quale verso della Divina Commedia siamo arrivati. È un silenzio sereno. Indifferente direi.
"Sapete cos'è uno stereotipo vero?"
Un'altra ragazza alza la mano. Stavolta non mi frega. "Vai pure".
"Allora, stereotipo significa..." E inizio a spiegare. Come se questo servisse a qualcosa.
Dopo tipo mezz'ora, tra uscite in bagno, dissertazioni terminologiche e divagazioni sul tema, torniamo alla mia domanda iniziale: lo stereotipo del professionista maschio di quarant'anni.
I ragazzi adesso sono pronti. Reattivi. Hanno messo via i telefonini. Sono presenti e iniziano a rispondere con dovizia di particolari.
"Si veste in giacca e cravatta".
"Guida una Mercedes o una BMW, o un'Audi".
"Va in vacanza ai Caraibi".
Il bullo della situazione dice la sua: "È stronzo".
Una ragazza, con sguardo malizioso risponde: "Ha un sacco di donne. Oppure è sposato e ha l'amante".
Raccolgo la sfida e rilancio: "E se invece si tratta di una professionista donna?"
Unanimi, e quasi stupiti dall'idiozia della mia domanda, mi rispondono tutti: "È uguale!"
E io, improvvisamente, sento di amarli.

mercoledì 26 gennaio 2011

Lo spot delle discriminazioni

Gli olandesi hanno appena lanciato una campagna contro le discriminazioni. Uno spot TV e le sue declinazioni su carta stampata invitano a segnalare discriminazioni subite o a cui abbiamo assistito. Il concetto è: "Sei costretto a nascondere il tuo vero io per essere accettato?" Lo spot è molto esplicito: vediamo nell'ordine una donna musulmana che esce di casa, un ragazzo di colore che vuole uscire con una ragazza bianca, due lesbiche che si sposano, una donna poliziotto alle prese con un cittadino infuriato, una coppia di anziani che entrano in ufficio, un altro uomo di colore che aspetta un taxi e infine un giovane affetto da sindrome di down che rientra a casa. Tutte queste persone si nascondono dietro all'immagine di quello che per la società avrebbero dovuto essere. Guardatelo.



Ovviamente sono stata subito colpita dal caso della discriminazione nei confronti della donna. Chissà perché, l'uomo che è stato scelto per impersonare il cittadino che inveisce contro la poliziotta è di colore e probabilmente extracomunitario. Da come è vestito sembra appena atterrato da un paese dell'Africa. Sembra un venditore di tappeti. E mi domando come mai i creativi dell'agenzia che ha realizzato questo spot abbiano fatto questa scelta. Voglio dire, non poteva andare bene un cittadino qualunque, vestito banalmente in jeans e maglietta? Evidentemente no. Evidentemente la scena sarebbe stata giudicata di poco impatto. Vedere un uomo qualunque che si concede la libertà di inveire contro una poliziotta perché meno autorevole dei suoi colleghi maschi, non sarebbe stato, in Olanda, molto rappresentativo. Forse lì i cittadini non si sognano di fare differenze tra uomini e donne sui posti di lavoro? Forse rimane solo un problema legato ad altre culture, diverse dalla loro? O forse non volevano calcare troppo la mano. Chissà.
Certo è che se questo spot venisse mandato in onda in Italia, ci vorrebbe un adattamento.

martedì 25 gennaio 2011

Il precariato delle escort

Oggi sento una sorta di pressione mediatica. Vedo post su facebook, leggo anatemi sugli altri blog, sfoglio pagine di giornali pieni di articoli sulla deriva morale. E io sono qua, a scrivere di varie amenità. Su uomini e donne che si sforzano di convivere pacificamente, di piccoli eventi quotidiani che ci rovinano le giornate, di bambini, di cartoni animati, di treni e supermercati. Mi sento inadeguata. Qualcuno mi ha anche chiesto: "Ma non scrivi niente su Berlusconi?"
E che cosa potrei mai scrivere che non sia già stato detto o scritto? Ma soprattutto: come preservare intatta la mia ironia e leggerezza? Come mantenere invariata la voglia di vivere?
A dire la verità non sono poi molto scandalizzata dalle recenti vicende. Insomma, non vorrei dire la solita frase supponente (che però dà sempre tanta soddisfazione): "Ve l'avevo detto". Sì, perché il fatto che in Italia siamo paurosamente indietro con le pari opportunità, il fatto che non si possa circolare con i passeggini, il fatto che non si possa cambiare un bambino in un bar o in un ristorante, il fatto che i padri non abbiano cinque mesi di congedo obbligatorio di paternità, il fatto che la gente mi guarda male se regalo una cucina Ikea a mio figlio, alla fine, tutti questi fatti, portano a questo risultato. E qual è questo risultato? Che un uomo di potere ultrasettantenne possa intrattenersi con delle giovani donne (che ne ricavano lauti compensi), senza perdere il gradimento nei sondaggi. Perché in fondo è un maschio e gli piacciono le femmine. Che ci può fare? Anzi, cosa sarà mai tutto questo clamore attorno al mito del fascino latino? Sì, vabbè, magari avrà commesso qualche leggerezza, perché in fondo, il maschio latino è sempre un po' ingenuo. E anche molto creativo e fantasioso. Per quello gli è scappato di far passare una ragazza marocchina per la nipote di Mubarak. Se gli italiani non fossero fantasiosi, non potremmo avere un'intera economia basata sull'export del made in Italy. Di giustificazioni se ne possono trovare mille. E sono tutte dettate dalla nostra cultura. La stessa che poi, nelle ricerche, ci dice che più del 70% delle donne, dopo il lavoro, svolgono i lavori domestici, cucinano e stirano, mentre gli uomini no. La stessa cultura per la quale è figo organizzare un evento sulle automobili e farcirlo di ragazze seminude. Possibilmente distese sui cofani di quelle macchine. Per esempio. Insomma, tutto quello che ho scritto finora su questo blog, porta alla conclusione che vediamo oggi in tutti i telegiornali (compreso quello di Minzolini, che giustamente non si sottrae alla legge del gossip), e che leggiamo dappertutto, online e offline.
E che dire poi di Ruby e le altre? L'ho scritto in un commento sul blog di Stefania: sono rimasta colpita dai discorsi intercettati di una di queste ragazze. Stava parlando con la Minetti, l'ex igienista dentale del Premier, ora consigliere regionale della Lombardia, e si lamentava della sua situazione di precariato. Diceva che era stufa di aspettare, che non poteva mica rischiare di ritrovarsi senza niente in mano ed essere costretta a cercarsi un lavoro da 1000 euro al mese come tutti i suoi coetanei. No, la prospettiva la terrorizzava. Voleva un tornaconto concreto da Berlusconi. Voleva sistemarsi, insomma. Questo particolare della faccenda, questa conversazione surreale, mi ha fatto ridere. E mi ha fatto anche riflettere. Perché pensate a quanti sacrifici avete fatto per arrivare dove siete adesso, a tutti gli anni sui libri, alle interrogazioni a scuola, agli esami all'università, e poi ai colloqui di lavoro (e soprattutto alle risposte all'invio dei vostri curricula: "Siamo spiacenti di comunicarle che..."), agli stage non retribuiti, ai contratti a progetto senza ferie, senza malattia, ma con "obbligo" di orario fisso (almeno dieci ore), agli stipendi pagati poco, pagati in ritardo, non pagati, ai colleghi maschi che invece andavano avanti, ai capi che vi strizzavano l'occhio e a cui non avete mai risposto. Ecco, pensate a tutto questo e poi pensate a Ruby, diciotto anni appena compiuti, ma anche a Patrizia D'Addario, o alla Minetti stessa, o pure alla vostra ex collega che ottiene una promozione perché l'ha data al suo capo, o a tutte quelle donne che si barattano per andare avanti, per fare carriera, per arrivare dove voi non arriverete mai. Che effetto vi fa? A me un'invidia pazzesca, giuro. Nei momenti di stanchezza mi ritrovo a pensare: "Se solo avessi due gambe come quelle di Ruby, i suoi capelli. Chissà dove sarei adesso. Siccome sono anche abbastanza stronza, sicuramente molto in alto." Ma poi leggo quell'intercettazione sulla precarietà e mi ravvedo. Ormai l'offerta ha superato la domanda. La "via più facile" non è più tanto facile. È diventata stretta quella via, e piena di concorrenti agguerritissime. Tipo il concorso di Miss Italia, o il casting per scegliere due veline su 500.000 candidate. Lele Mora non ha più spazio nella sua agenda ormai. Pensate che sfiga: oggi una donna non può più nemmeno prostituirsi in pace per ottenere quello che le pare, perché il sistema è talmente saturo di questi meccanismi, che quella donna rischia di rimanere pure disoccupata e col reale rischio di dover mandare il curriculum alle agenzie interinali. Solo in pochissime ce la fanno, per tutte le altre c'è lo stesso nostro destino: il precariato, l'incertezza, l'incognita del futuro. Ma almeno, mi consolo io, non avrò dovuto darla a un settantenne. Che non è poco.

giovedì 20 gennaio 2011

Storiella

È già la terza volta che ricevo da voi per e-mail questa storiella. Per questo oggi, mi sembra il caso di pubblicarla, come simpatico frammezzo settimanale. Certo, soprattutto rispetto all'ultimo post "L'uomo ideale", sembra un po' stereotipata e forse più adatta a descrivere la situazione di certe generazioni più mature. Però fa riflettere lo stesso sull'atavico senso del dovere, della responsabilità, del sacrificio e dell'onnipotenza che hanno le donne.
La storia è tratta dal libro di Ann Crittenden "If you've raised kids, you can manage anything".

Mamma e Papà stanno guardando la tivù quando Mamma dice: “Sono stanca, vado a letto”. Si alza e va in cucina a mescolare la salsa, tira fuori la carne dal freezer per la cena di domani e apparecchia per la prima colazione. Poi carica la lavatrice da far partire l’indomani, riattacca un bottone caduto. Passando nel corridoio raccoglie un paio di giocattoli e riporta al suo posto l’agenda telefonica. Qui trova il diario del figlio, con una nota della maestra alle quale scrive una risposta. Già che c’è butta giù la nota spese per il droghiere. Giunta in bagno si pulisce il viso con la lozione “3 in uno” e si lava i denti. Indossa il pigiama e controlla che la porta sia chiusa a 4 mandate. Nel frattempo Papà dall’altra stanza annuncia: “Sono stanco, vado a letto”. E ci va.

Ecco, quando dico che le generazioni si stanno evolvendo, penso anche a me stessa, che quando sono sul divano che guardo la tivù, mi addormento direttamente.

mercoledì 19 gennaio 2011

L'uomo ideale

In un vecchio spot dell'Alfa Romeo, in cui la macchina pattinava su una Venezia completamente ghiacciata, si diceva che è nelle condizioni più difficili che si riesce a dare il meglio di sé. Oggi mi ritrovo a ricordare quella pubblicità (per formazione o deformazione professionale, vedete voi), associandola a un fatto contemporaneo molto positivo. Intanto premetto che questo è un post abbastanza rivoluzionario rispetto agli altri. È un post ottimista, che guarda a tutte le cose buone che ci circondano, che nutre delle speranze e soprattutto che vede uomini che collaborano con le donne per la costruzione di equilibri familiari retti sulla parità e la suddivisione di compiti e responsabilità. Insomma, oggi penso a tutti gli uomini che mi circondano. A quelli giovani come me (non ridete). Li vedo cucinare per esempio. Molti sono anche bravi. Cioè, non è che ti cucinano solo una pasta con un sugo pronto, ma si mettono d'impegno. Qualche settimana fa, uno ha fatto le crêpes, per esempio, dimostrando anche una certa abilità nel rigirarle senza romperle (cosa che invece ha fatto la moglie, riducendo la prima a una frittatina). In genere sono anche molto ordinati. Sento storie di amiche esasperate perché i compagni le assillano sulla pulizia della cucina, che loro, gli uomini, lustrano con grande meticolosità, a differenza delle donne, evidentemente più superficiali. Molti uomini vanno a fare la spesa e tornano a casa esattamente con le cose che erano sulla lista. Niente di più e niente di meno. Unica eccezione, mio cognato, che una volta che gli ho chiesto di comprare due cetrioli, è tornato con due zucchine. Ma eravamo ancora più giovani, spensierati e senza famiglia. Diamogli il beneficio del dubbio. Ho visto amici maschi che passavano lo straccetto sul tavolo, dopo aver bevuto un tè, così, sovrappensiero, come se fosse un gesto ormai naturale. Gli stessi che appena entrati a casa si tolgono le scarpe, le ripongono nella scarpiera e si mettono le pantofole. Insomma, ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi. Non tutti questi uomini provengono da famiglie in cui la madre è morta quando avevano due anni. Anzi, molti di loro continuano ad avere un forte legame con la loro genitrice, che molto spesso, appartenendo ad un'altra generazione, ha una concezione diversa dei ruoli maschili e femminili. Eppure loro sono diversi. Cos'è? Che malattia hanno contratto? Nessuna malattia. Come l'Alfa Romeo dello spot, e come milioni di anni di evoluzione umana, hanno imparato ad adattarsi alle situazioni più difficili. E da quelle più estreme ne sono usciti più forti e indipendenti. Sono degli uomini migliori. E quali sono queste situazioni difficili? Beh, per esempio, quella di vivere da soli fuori casa senza peraltro poterselo permettere. La mia generazione nasce precaria e spesso ci convive abbastanza pacificamente (o forse è solo rassegnazione), ma non rinuncia per questo alla libertà. Per cui, seppur tardivamente rispetto ai colleghi anglosassoni, questi uomini a un certo punto escono di casa e non necessariamente per sposarsi. Magari sono pure single. E si ritrovano, da soli, a dover affrontare la vita con tutte le sue incombenze. Allora, la prima settimana si cibano solo di pizza e cinese per asporto. La seconda azzardano al supermercato un acquisto di panini e affettati. La terza scoprono la pasta. La quarta la carne. La quinta sperimentano l'unione tra pasta e carne, e così nasce il ragù. Parallelamente, il carrello della spesa inizia a riempirsi anche di prodotti come "il detersivo per i piatti", "il detergente per pavimenti", "la spugna abrasiva", "lo straccio per la polvere". E così, la loro vita diventa improvvisamente dignitosa. Qualcuno, più fortunato, ha addirittura fatto l'università fuori casa, imparando già a vent'anni cosa significhi badare a se stesso. Ma non mi soffermerei più di tanto su questa categoria. Se non altro perché non ho un ricordo particolarmente brillante in termini di igiene degli appartamenti di studenti maschi che ho frequentato nel passato. Ci vuole tempo insomma.
Certo, adesso mi verrete a raccontare di tutti gli uomini che conoscete che portano le camicie a stirare dalla mamma, che si fanno preparare le monoporzioni di lasagne da surgelare, che non hanno mai passato l'aspirapolvere. È vero, esistono. Ma come in una sorta di selezione naturale, questi uomini si accoppieranno con donne predisposte al martirio. E felici di esserlo. Per tutte le altre donne, quelle con un istinto di sopravvivenza più elevato, ci saranno invece uomini temprati dalla vita domestica. Pronti. Autonomi. Uomini che non vogliono essere accuditi come dei bambini di quattro anni. Uomini già predisposti al concetto di parità e per questo, anche più rispettosi nei confronti dell'altra. Ecco, di molti di questi uomini io sono amica, e ne sono orgogliosa. E soprattutto, mantengono in vita la mia speranza per un mondo migliore.

martedì 18 gennaio 2011

Le donne contrarie

Più volte mi sono soffermata sul tema dell'invecchiamento (il mio). Non che questa sia un'ossessione, per carità, ma insomma, quando tuo figlio inizia a chiederti quando te ne andrai in cielo con gli angioletti, inizi a pensarci veramente. E poi, da quando ho compiuto 35 anni, nella mia casella di posta elettronica, non si sa come, ha iniziato a far capolino tra lo spamming classico, una newsletter inquietante. Quella di Federanziani (non ricordo se ve l'avevo già raccontato, ecco, visto? Sono già i primi segni dell'Alzheimer). Ovviamente la cestino immediatamente senza nemmeno aprirla, come le e-mail sul Viagra. Oggi però, non contenti, hanno voluto fare di più, e mi hanno mandato un'altra newsletter, sempre sponsorizzata da Federanziani, che si chiama Figli e Famiglia Magazine. Come dire: siamo vecchi, ma ci piacciono i bambini. Ho ceduto all'insistenza e ho letto le prime notizie. Dolcificante killer, effetti cancerogeni del fumo, stangata delle bollette telefoniche, cibi adulterati. Insomma, ma dove sono i bambini in mezzo a tutte queste tragedie? Ecco che arrivo in fondo alla pagina e trovo la risposta: Boom di ovuli congelati. Le over 35 rinviano la maternità. Per fortuna che almeno due ovuli io li ho messi a frutto e oggi pesano rispettivamente uno 20 e l'altro 13 chili, altrimenti non so come avrei reagito all'articolo. Magari ne parliamo nel prossimo post. Intanto, volevo discutere sulla notizia subito accanto: Congedo di paternità obbligatorio? Alle donne piacerebbe.
Ecco. Siccome vi ho visti molto vispi e attenti nei commenti al post "Il nuovo piano famiglia (inglese, of course)", volevo approfondire il discorso. Allora, l'articolo dice in sostanza "bla bla bla, bla bla bla" e "bla bla bla". Il dato sconcertante è invece questo: "Secondo un sondaggio condotto dalla rivista femminile Elle il 74% delle donne sarebbero favorevoli al cambiamento." Molto superficialmente si prende questo dato per dire che sarebbe proprio il caso di rendere obbligatorio il congedo di paternità e che i tempi sono maturi, e che all'estero sono più avanti di noi e che le aziende bla bla bla, e bla bla bla. È più forte di me: non riesco a concentrarmi sulle altre parole dell'articolo, perché il fatto che il 74% delle donne sia favorevole a questo cambiamento mi ha colpito come un ictus (che in effetti, vista l'età e lo stile di vita che conduco, potrebbe pure essere). Intanto penso a chi è venuto in mente di chiedere alle donne se sono favorevoli o contrarie al congedo di paternità. Voglio dire: ma l'avete fatto un sondaggio tra gli uomini piuttosto? Vabbè che si trattava di Elle, che è una rivista per donne, magari dovevano farlo quelli di Men's Health, se non fossero così impegnati sul decalogo del perfetto latin lover. Comunque io avrei dato per scontato che le donne sarebbero state favorevoli a questo cambiamento. E mi sarei sbagliata. Alla fine, quelli di Elle avevano ragione a fare un sondaggio, perché il risultato dimostra che tutto liscio non va. 74% di donne favorevoli significa anche 26% di donne contrarie o che non hanno un'opinione in merito. Sui grandi numeri, direi che ci sono 260 donne su 1.000, 2.600.000 donne su 10.000.000 in Italia che non gradirebbero o non sanno se gradirebbero che gli uomini si occupassero dei loro figli come fanno oggi le madri. Due milioni e seicentomila donne. Che poi, se perfezioniamo il campione su scala nazionale, il 26% della popolazione femminile italiana conta, per l'Istat, 29.044.615 componenti. Il 26% sono circa 7.551.599 donne. Questo è il dato rilevante della newsletter promossa da Federanziani: che più di sette milioni di donne in Italia non hanno la minima intenzione di dividere l'accudimento dei figli con i legittimi padri. Che se ne stiano pure a lavorare questi uomini, che tanto non sono capaci di fare altro. Che continuino ad occuparsi delle cose loro, tipo lavare la macchina, cambiare le lampadine e scegliere lo schermo al plasma. E poi, se stanno a casa pure loro, chi è che manda avanti la baracca? Addio ferie nel villaggio Valtour e addio manicure e messa in piega. E comunque non si è mai visto che un uomo debba cambiare un pannolino. Chissà, forse queste donne hanno provato a immaginarsi la scena: tornano a casa stanche dal lavoro, con una fame nera, aprono la porta e trovano il marito sul divano che gioca con la playstation e il bambino che mastica il cavo del controller. Niente di pronto da mangiare. Solo briciole ovunque, piatti sporchi e frigo vuoto. "Cosa avete fatto oggi?"
"Niente, siamo andati a fare un giro nel parco. È bello, sai? Ci sono un sacco di mamme giovani coi bambini. A proposito, credo che il bambino stamattina al parco abbia fatto la cacca".
Beh, in alcuni casi potrebbe anche essere. Ma francamente mi sembra un pensiero stereotipato e da alcuni punti di vista anche "comodo" da fare. In realtà, da questo sondaggio appare evidente che nemmeno le donne siano poi tanto pronte a condividere la vita domestica e la genitorialità con i loro compagni. Per mancanza di fiducia, per gelosia dei figli, per senso di onnipotenza. Chissà. Una cosa è certa però, se in Italia siamo molto indietro sulle politiche sociali e di pari opportunità, una buona responsabilità ce l'hanno anche le donne. Esattamente 7.551.599.

lunedì 17 gennaio 2011

Il nuovo piano famiglia (inglese, of course)

Ora vi racconto una storia che probabilmente non avrete mai sentito (e del resto nemmeno io), dalle cronache di politica internazionale. Eppure è una storia importante, che vale molto più di mille articoli.
Il premier inglese David Cameron, conservatore (ci tengo a dirlo), l'agosto scorso ebbe una bambina: Florence Rose Endellion. In occasione del lieto evento, il Primo Ministro annunciò di volersi prendere le due settimane previste dalla legge per poter stare con la sua neonata. E così fece. Tanto che, quando a settembre il Papa arrivò a Londra, lui non si fece vedere. Probabilmente perché stava cambiando un pannolino, o facendo una passeggiata in un parco con la bambina nel marsupio, o cantando una filastrocca.
Ovviamente, il fatto che in Inghilterra i padri possano prendersi due settimane retribuite di congedo parentale, non è molto consolatorio. Voglio dire, in due settimane impari appena a capire da che parte si abbottonano i body. E poi comunque restano sempre le madri ad occuparsi dei neonati per mesi, a casa dal lavoro. In ogni caso due settimane sono meglio di niente, e soprattutto, la storia ci racconta che non è un impiegato delle Poste di Busto Arsizio ad essere rimasto a casa, ma il Primo Ministro britannico. Vi immaginate in Italia, non solo Silvio Berlusconi, ma qualsiasi Primo Ministro della Repubblica, che annuncia: "Scusate, ma io per le prossime due settimane non ci sono perché devo stare con mia figlia appena nata. No, non me ne frega niente se viene il Papa, non ci sono e basta"?
Lo so che è difficile sforzarsi di immaginare una scena del genere. Anche perché la classe politica italiana, vista l'età, è più incline ad avere nipoti e pronipoti, piuttosto che figli. Comunque non credo che in caso di paternità, un Primo Ministro italiano mollerebbe tutto per due settimane per stare a casa con moglie e figlio. Se qualcuno glielo chiedesse, risponderebbe con le solite frasi di rito: e l'impegno istituzionale, e le responsabilità verso il Paese, e abbiamo due tate a disposizione, etc.
A seguito di tutto ciò, la notizia che oggi ci dà il Corriere è che in Inghilterra, da aprile, entrerà in vigore il nuovo "piano famiglia", che prevede che saranno le famiglie a valutare "se spetterà alla donna o all'uomo chiedere la licenza o di maternità o di paternità per un periodo massimo di dieci mesi. I neo-padri avranno così la possibilità di affiancarsi alle mogli nel primo periodo post parto poi di ottenere l'estensione del permesso nel caso in cui la mamma opti per il rientro in ufficio". Ovviamente questa idea alle imprese non piace. E te credo: come fare adesso a discriminare sulle nuove assunzioni in azienda? I selezionatori dovranno chiedere anche agli uomini se hanno intenzione di avere figli? Improvvisamente non avrà più senso avere tutta una fascia di manager e dirigenti per la maggior parte maschi? Eh già. In Inghilterra, da aprile in poi, anche il mondo del lavoro dovrà mettere in atto dei cambiamenti, o meglio, delle aperture al lavoro femminile. Quasi quasi mi verrebbe da chiamarlo progresso. Ma non oso. Mi limito a riflettere sul fatto che in quei quindici giorni che il Primo Ministro inglese ha scelto di occuparsi della sua paternità, la politica e l'economia del Paese non sembrano averne risentito. Ne avrà risentito invece la figlia, che, appena nata, ha potuto aver ben chiaro il concetto di "genitori", anziché soltanto quello di "mamma".

mercoledì 12 gennaio 2011

Come eravamo

Non so perché vi posto questo documentario degli anni Settanta. Ma mi ha fatto tenerezza. Peccato l'epilogo tragico. Poi, dite quello che volete.


martedì 11 gennaio 2011

Miss Italia diventa burrosa

Vedi che quando dico che tutto sembra andare bene, poi alla fine c'è sempre qualcosa che ti sfugge? Insomma, avete letto che il concorso di Miss Italia apre alla taglia 44? Qui trovate la notizia.
Wow, dico io. Un bel colpo contro tutta sta moda dell'anoressia che ha falciato un'intera generazione di modelle (e ha fatto sentire inadeguata la restante popolazione femminile). Ma non basta. Negli anni il concorso ha aperto anche a donne sposate e con figli, e da questa edizione saranno bandite le minorenni. Leggo con vivo interesse le parole dell'organizzatrice, Patrizia Mirigliani, che ci conforta dicendo: "Oggi più che mai si impone il tipo di donna burrosa, completa, intelligente e autonoma, consapevole dei momenti duri della vita che ci aspettano". Mi piace. "Donna burrosa" mi fa simpatia. Magari anche con un po' di pan grattato sopra. L'articolo ci ricorda che lo storico patron di Miss Italia, diceva sempre: "Chi vince il concorso non deve essere un monstrum di bellezza, una silhouette irraggiungibile, un fantasma estetico o addirittura erotico. Semmai deve apparire come la ragazza della porta accanto, una donna vera, certamente avvenente e desiderabile, ma consegnata a un'idea di normalità e sana quotidianità". E qui mi risveglio dal mio irrazionale ottimismo e penso a questa donna ideale, avvenente e desiderabile che potrebbe essere la tua vicina di casa. Tipo che se hai finito le uova, bussi alla sua porta e te la ritrovi davanti. Bellissima, con la sua vestaglia in pile e le pantofole a forma di coniglietto. E poi che fai? Beh, abbiamo un'intera letteratura del porno che ce lo suggerisce. Del resto, questa vicina di casa che ha appena vinto Miss Italia che farà nella vita? La ricercatrice universitaria? No perché sennò sarebbe all'estero. Continuerà a fare la tua dirimpettaia? Non credo. Questa ragazza semplice e senza grilli per la testa, partecipa al concorso proprio per non essere più la tua vicina di casa. Per firmare un contratto con la Rai e affiancare il presentatore di Domenica In. O girare qualche spot pubblicitario dell'acqua Rocchetta. O partecipare a qualche fiction sulla vita dei frati cappuccini. Dopodiché si comprerà un appartamento in centro a Milano o a Roma e ti saluto. Avrai dei nuovi vicini di casa, una famiglia di cinesi che cucineranno tofu dalla mattina alla sera, e tu finalmente ti ricorderai sempre di comprare le uova. Ecco la storia di Miss Italia. Ecco il senso della manifestazione: trovare la prossima gnocca che "fa vendere". Un programma televisivo, un detersivo, una macchina. Indifferente. Le dichiarazioni dei Mirigliani padre e figlia sono piene di etica, di valori e di buoni sentimenti, ma alla fine il concorso rimane sempre quello che è stato nei secoli: una sfilata di giovani donne (a quando l'apertura alle quarantenni?) che sognano una vita molto diversa da quella che avevano prima. La famosa "donna burrosa, completa, intelligente e autonoma", proprio perché è "consapevole dei momenti duri della vita che ci aspettano", sceglie di intraprendere un'altra strada. Certo, poi, tra tutte le Miss Italia dagli anni Cinquanta a oggi, ce ne sono state alcune che hanno lavorato sodo, che si sono impegnate e che avevano un reale talento per rimanere nel mondo dello spettacolo e costruirsi una carriera. Penso a Sofia Loren, per esempio, che peraltro non vinse. Tutte le altre però hanno fatto numero, contribuendo a farcire l'industria dell'immagine che oggi ci ossessiona con i soliti messaggi di culi-tette da cui non riusciamo proprio a venir fuori. Lodevoli le iniziative del concorso. Bravi. Adesso, forse, sui manifesti per venderci un condizionatore o un diserbante troveremo sempre una donna nuda. Ma burrosa.

lunedì 10 gennaio 2011

Una bella gnocca sul calendario

Tanto tempo fa, quando avevo ancora tanto tempo libero da dedicare ai sogni e alle fantasie più audaci, quando vivevo ancora a casa dei miei genitori e quando il mio mondo era degnamente rappresentato dalle quattro mura di camera mia, il mese di dicembre era dedicato alla ricerca del calendario più appropriato per accompagnare la mia giovinezza in tutti i mesi dell'anno. Prima dei calendari, campeggiavano i classici poster dei cantanti staccati da settimanali per ragazzine smaliziate. La domenica andavo a messa e poi compravo in edicola Cioè, dove trovavo interessanti disquisizioni sull'esperienza del primo bacio (che immancabilmente suscitavano le domande più inquietanti delle lettrici, tipo: "Rimarrò incinta?"). Lo so, questo racconto getta un'ombra scura su di me e sul mio passato. Molte di voi saranno rimaste turbate dal fatto che io potessi leggere Cioè. Altre, che io andassi a messa ogni domenica. Ma non ho detto tutto. Ho fatto anni di catechismo dai gesuiti. Comunione e Cresima. E la cosa assurda era che ci andavo perché i miei genitori (laici) credevano che fosse un arricchimento culturale. E in effetti era così. Poi, con gli anni, ho imparato a condurre la mia vita secondo i valori cristiani del rispetto per il prossimo, della non violenza, dell'amore per tutti gli esseri viventi, del perdono, della carità e del non giudizio anche senza la mediazione della Chiesa. Probabilmente perché il prete da cui mi confessavo ogni domenica si addormentava regolarmente a metà dell'Atto di dolore, e quindi, iniziai a domandarmi "A che pro?". Ecco, ho fatto outing. Giuro che non ho altri scheletri nell'armadio. Ma torniamo ai poster. Crescendo, ho staccato dalle pareti Nick Kamen, George Michael tratto dal video di Faith e, ahimè, anche Simon Le Bon, di cui ero fan sfegatata, nell'eterna lotta contro gli Spandau Ballet. Al loro posto ho affisso un più decoroso Einstein, come inno all'intelligenza, ma mi sono sempre concessa uno spazio per il calendario di Max. Ironia della sorte, non ricordo nemmeno uno dei modelli seminudi che mi davano il buongiorno la mattina e la buonanotte la sera. Segno che la musica è più forte dell'estetica. Ho solo una debole reminiscenza di Raoul Bova e di Fabio Cannavaro. Ecco sì, Cannavaro me lo ricordo bene, anche perché non era poi tanto tempo fa.
Ovviamente, massima indulgenza anche per i miei coetanei maschi dell'epoca, che immagino venerassero Monica Bellucci e Megan Gale. Indulgenza perché poi siamo tutti cresciuti, e al posto dei calendari abbiamo la lavagnetta con su scritto "zucchero, caffè, patate, cartaigienica", sul tavolo le bollette e in camera un quadro che rievoca la maternità di Maria. C'è però una nutrita schiera di persone che continua a mantenere alta l'attenzione nei confronti dei divi da calendari, dei divi da copertina, dei divi da varietà televisivo (che poi non so perché continuino a chiamarli varietà, se i contenuti sono sempre identici). Sono persone adulte che continuano a sbavare davanti a corpi seminudi o nudi appesi ovunque. In casa, sul posto di lavoro, sul desktop, sui cartelloni pubblicitari. Solo che un adolescente che si intrattiene con il sogno di Monica Bellucci è una cosa. Un adulto, un'altra. Non so, a me fa un po' tristezza. Anche perché poi si alimenta quel mercato dello sfruttamento del corpo (soprattutto) femminile e non si esce più dal circolo vizioso. E poi ci sono i professionisti di questo circolo. Creativi pubblicitari, fotografi, produttori TV, che studiano sempre nuovi modi per entrare in contatto con la gente. Non solo con gli adolescenti. Con tutti. Molti di questi professionisti li chiamano guru. Il guru della comunicazione Oliviero Toscani, per esempio. Il grande provocatore. Che quando dicono così, mi vengono sempre in mente le risse da bar, iniziate perché un provocatore ha urtato con una spallata un altro avventore e poi iniziano a darsi le mazzate. Ecco, Oliviero Toscani ha appena fatto un calendario provocatorio. Per il Consorzio Vera Pelle. E che ci avrà messo mai sui dodici mesi, vi domanderete voi. Voi che siete magari degli amanti della vera pelle, che non sopportate le imitazioni sintetiche e industriali, voi che ricercate sempre l'unicità del modello fatto a mano, voi che credete nella qualità. Voi che appendereste volentieri in ufficio o in cucina un calendario fine ed elegante che rappresenti il vostro stile di vita. Beh, Oliviero Toscani da oggi, vi permette di vedere un 2011 pieno di organi genitali femminili. Di pube. Sì. Ma è arte, eh. Perché fate quella faccia schifata? Siete i soliti bigotti. Il calendario "Vera pelle conciata al vegetale" viene addirittura presentato a Pitti Immagine. Visto che non capite niente? Qui potete approfondire un po' meglio la notizia, così vi fate finalmente una cultura. Toscani risponde alle polemiche dicendo che quelli della Pelle Conciata al Vegetale in Toscana realizzano un prodotto unico al mondo, proprio come la pelle di queste nature. Dove "queste nature" significa "pube". Ma insomma, dico io da questo blog, è questa l'espressione massima della creatività italiana? Okay, adesso ne parlano tutti. E allora? Pure di una rissa in un bar ne parlano. Pure delle violenze negli stadi. Pure del mostro di Milwaukee. Se voleva farci vedere qualcosa di originale, senza rinunciare allo splatter, Toscani poteva almeno metterci degli organi genitali maschili. Così almeno le Pari Opportunità non gli avrebbero fatto causa.
Ecco, ho scritto qui quello che pensavo, perché mandare un'e-mail a Oliviero Toscani non sarebbe servito a niente, visto il mio passato da gesuita e da lettrice di Cioè.

venerdì 7 gennaio 2011

Tradimenti, eredità, veleni e giornalismo

Una volta, tanto tempo fa, volevo fare la giornalista. Ai tempi del liceo curavo il giornalino della scuola, un appuntamento mensile la cui parte più apprezzata era l'oroscopo, dove il segno della vergine se la vedeva sempre male. Poi ho cambiato rotta, un po' demotivata dall'eccessiva gavetta che i giovani dovevano fare per svolgere questo mestiere, e un po' dubbiosa sulla qualità del lavoro di molti giornalisti. Cambiare idea non mi ha mai turbata più di tanto. In fondo, prima della giornalista, volevo fare la veterinaria. E prima ancora l'annunciatrice TV, tipo Nicoletta Orsomando, che ci introduceva ai programmi della serata. Oggi, per fortuna, non mi ritrovo a sverminare gattini o ad estrarre vitelli dalle mucche, né a lavorare in Rai. E, aggiungerei, nemmeno a scrivere di notizie che sembrano uscite dal delirio onirico di un tronista di Maria De Filippi. A questo proposito, ho sorvolato sugli articoli che recentemente ci aggiornavano sul caso di Avetrana, raccontandoci che proprio un tronista (ruolo professionale che ancora mi sfugge) avrebbe presentato un calendario venduto a fini benefici per aprire un canile in memoria di Sarah Scazzi. E penso che il motivo per cui in televisione ormai non ci siano più i programmi satirici di una volta, non dipenda dalla censura di Stato, ma dal fatto che la realtà è già fin troppo satirica di per sé.
Comunque oggi, leggo un altro articolo inconsistente. O forse consistente. Non lo so, sto ancora cercando di capire. Sul Corriere si sono sentiti in dovere di informarci su un fatto. Ci dicono che il senatore americano Edwards è stato escluso dall'eredità della moglie, morta il 7 dicembre scorso, perché l'aveva tradita nel 2006 con una collega della campagna elettorale, da cui aveva avuto un figlio. Elizabeth Edwards, che a questo punto per rispetto, chiamerei con il suo cognome da nubile (io, come giornalista avrei avuto questa sensibilità), Elizabeth Anania quindi, si era separata dal marito agli inizi del 2010. Tutto il patrimonio di Elizabeth è stato intestato ai figli e verrà amministrato dalla più grande, che attualmente fa l'avvocato. Ecco, questa è la notizia così come ci viene riportata. E che cosa emerge da questo articolo, oltre al fatto che difficilmente vincerà il premio Pulitzer? Quali riflessioni dovrebbe stimolare? Ma soprattutto: è una notizia? A me, francamente, pare una storia normale. Cosa c'è di tanto sensazionale in una vicenda del genere? Il fatto che una donna tradita possa escludere il marito dalla possibilità di godere dei suoi beni? È questa la notizia? Il fatto che questo possa sembrare un po' strano, o un po' forte, o un po' degno di essere discusso, mi lascia alquanto interdetta. E forse i giornalisti che si sono occupati del caso hanno pensato: "Ma guarda un po' tu che cosa può succedere. Un senatore perde l'eredità perché ha tradito la moglie. Questa moglie doveva essere veramente inviperita." E ci credo. Perché l'articolo non ne parla, ma Elizabeth Anania era malata di cancro dal 2004. Il marito la tradisce nel 2006, fa un figlio con un'altra e poi nel 2008 annuncia pubblicamente la sua scappatella. Nel 2010 Elizabeth ottiene la separazione e, finalmente, mesi dopo, può morire in pace. Sicuramente il senatore non avrà di che patire per la mancata eredità. Non è una questione di denaro. Ma una questione di principio e di rispetto. E una questione su cui, forse, Elizabeth non avrebbe gradito discutere con la stampa. Perché adesso, dopo questo articolo, questi sono i commenti nel bar sotto il mio ufficio:
"Oddio! A tanto può arrivare una donna ferita!"
"L'ha fatto proprio per dargli fastidio, tanto quello i soldi ce li ha."
"Vendicativa."
"Sì sì, è comprensibile, però dov'è la capacità di perdonare delle donne? Dov'è finita la loro indulgenza?"
"...la loro comprensione di madri?"
"Hillary Clinton, il marito l'ha perdonato."
"E infatti guarda dov'è arrivata."
"Eh ma, chi dice donna, dice danno."
"Sì, le donne sono imprevedibili."

mercoledì 5 gennaio 2011

Tardone e tardoni

Arrivo un po' tardi sul gossip di fine anno che tanto ha appassionato l'opinione pubblica italiana, e cioè la nascita di Penelope Nannini. A dire la verità non ero molto stimolata a parlare di questo fatto, perché non mi ero fatta un'opinione precisa. In genere sono molto affezionata al concetto di libero arbitrio, per cui è giusto che ognuno faccia le scelte che meglio crede. Probabilmente Gianna Nannini avrà considerato i vari pro e contro di mettere al mondo una creatura alla sua veneranda età. Probabilmente avrà pensato che se Mick Jagger saltella ancora sugli spalti a settant'anni, fare un figlio a 54 non è poi così fuori dal mondo. Chissà. Comunque oggi mi salta all'occhio un articolo che ci dice che Carla Bruni, per favorire la prossima elezione del marito, voglia dargli un figlio. Si tratta del solito meccanismo (che pare funzioni), secondo cui la gente vota più volentieri i candidati sposati con figli. Su questo non commento. Commento invece tutto il gran parlare che si fa di donne celebri, che secondo la stampa dovrebbero (o non dovrebbero) intraprendere una gravidanza. Ne ha parlato prima di me Cinzia Sasso, giornalista di Repubblica, nel suo blog, a proposito di un articolo su Elisabetta Canalis, in cui si evidenziava con un certo sgomento che la ragazza aspettasse ormai da ben 17 mesi di essere sposata, e che 32 anni sono un'età pericolosa, perché George Clooney potrebbe tranquillamente ripiegare su candidate molto più giovani (e meno vicine alla menopausa). Allora, io non vivo in campagna e non ho dimestichezza con le fattorie, ma credo che questo discorso ben si adatti al mondo dell'allevamento, quando la sopravvivenza dell'attività del fattore dipende da tutta una serie di variabili come: la fertilità degli animali, l'età delle mucche, la nascita di nuovi vitelli, l'accoppiamento. Allora, George, quando facciamo questo nuovo vitello? Siamo sicuri che quella mucca vada bene? Non è che magari vogliamo provare con una più giovane, e quella la mandiamo al macello? Non vorrai mica far fallire tutta l'industria del gossip? Insomma, siamo stufi di scattare foto alla tua fidanzata quando porta un maglione largo ipotizzando che sotto ci sia un po' di pancetta da gravidanza. Che poi magari era solo perché la sera prima ha esagerato coi pandori.
E poi mi arriva l'articolo su Carla Bruni, che è una vita che ci trifolano con la storia che forse è incinta, che a quell'intervistatrice ha detto di pregare ogni giorno per l'arrivo di un bambino, che ha 43 anni ma che significa. Che poi sembra che tutta la realizzazione di Carla Bruni e di Sarkozy dipenda dall'arrivo o meno di un figlio, quando di figli loro, in totale ne hanno già quattro. Tre lui e uno lei. Ma quello che mi inorridisce è la solita univocità delle considerazioni. Non si è capito perché l'arrivo di queste benedette creature debba dipendere soltanto dalla donna. 43 anni sono un'età in cui obiettivamente una donna fa più fatica a rimanere incinta, ma neppure i 55 anni del compagno aiutano. Com'è che non leggo da nessuna parte un commento che dica: "Beh, forse la Bruni dovrebbe scegliersi un marito più giovane, più fresco e più fertile. Forse dovrebbe farsi un giro nelle banlieues". E, seppure con la morte nel cuore, credo che nemmeno George Clooney sia più così "in forze" come un tempo. E mi sa che pure la Canalis non avrebbe problemi a sostituirlo con uno molto più giovane. Ma questo non fa gossip, perché anche il mondo dell'editoria del pettegolezzo ha le sue regole sessiste. Demi Moore con il suo giovane compagno non fanno molta notizia. Questa cosa della donna più vecchia che sta con il giovanotto è un po' una stramberia.
Del resto - e qui ritorno su Gianna Nannini - l'Italia intera si è espressa in considerazioni di ogni tipo sulla tardiva gravidanza della cantante. "Quando la figlia avrà vent'anni, lei ne avrà 74".
"Non è giusto condannare un figlio a vivere da orfano così giovane".
"Ce la farà a tenerla in braccio?"
"Come farà a starle dietro?"
Giuste o no, queste considerazioni io non le ho mai lette o sentite nel caso di Charlie Chaplin, investito anzi da un'aura mitica proprio per aver messo al mondo figli fino a novant'anni. O per Mike Bongiorno, che quando è nato il suo terzogenito, di anni ne aveva 65. O per Michael Douglas, padre a 59.
Poveri padri: di loro, se muoiono presto, a nessuno gliene frega niente.

martedì 4 gennaio 2011

Com'è andata a finire

È vero, sono un po' latitante ultimamente, ma sto cercando di prendere un po' di fiato anch'io. Anche perché ho scoperto che tutti gli annunci oroscopali che occhieggiavano ottimisti sul mio profilo di facebook erano delle bufale. Paolo Fox ha detto che, per la Bilancia, il 2011 farà schifo come il 2010. Okay, Piero Angela (e mille altri come lui) ha detto che gli oroscopi non sono scientificamente attendibili, per quella storia della precessione degli equinozi, ecc., ma comunque non è bello sentirsi dire a inizio anno che la sfiga ti accompagnerà per altri dodici mesi. Cioè, pure se incontri uno sconosciuto per strada e quello ti dice che secondo lui avrai una vita breve, non ci credi, ma resterai comunque con un vago senso di schifo e inquietudine. Insomma, la tua giornata sarà comunque rovinata. E così sarà anche il mio anno. Per cui per adesso mi riposo.
Cazzeggiando quindi sul Corriere.it, scopro il seguito del mio post "Le frasi dell'anno". Hanno finito di raccogliere le dieci parole del 2010 scritte dai lettori. Qui potete scoprire i risultati divisi per sesso. La prima cosa che salta all'occhio è che lavoro e amore sono ai primi posti. Famiglia, speranza, amicizia sono altre tre parole "transgender". Le differenze stanno nelle posizioni della classifica. Tipo: "amore" è la parola più scelta in assoluto dalle donne (la seconda è "lavoro"), mentre "lavoro" è la parola più scelta dagli uomini (la seconda è "amore"). Cosa vorrà dire? Forse che la maggior parte delle donne sono innamorate di uomini che lavorano tanto? O forse che la maggior parte delle donne sono ancora escluse da un lavoro gratificante?  Ma checcefrega. L'importante, appunto, è l'amore. Dopo l'amore, per gli uomini, viene la crisi. Non si sa se affettiva (per il fatto che lavorano troppo), o economica (per il fatto che lavorano troppo poco). Di certo la parola "crisi" non è molto gettonata dalle donne, che la piazzano al nono posto. E sapete cosa c'è, sempre al nono posto, nella top ten maschile? "Bunga bunga". Un'espressione che evidentemente è rimasta impressa nell'immaginario degli uomini e che è invece assente da quello delle donne. Sarà perché queste ultime ci sono abituate? Rassegnate? Per gli uomini invece il Bunga bunga è diventato un tarlo nella mente, un tormentone tipo la Lambada negli anni Novanta. Chissà quale sarà il tormentone del 2011.