venerdì 27 aprile 2012

La regina della casa

Care amiche e cari amici, faccio capolino come l'anticiclone africano che porta il caldo nelle nostre stanche ossa e vi parlo dell'ultima (ennesima) storia di donne in cucina.
Premetto che ultimamente non guardo molta TV, anzi, direi che sono mesi che non la vedo. Ma non perché sono snob come la mia amica Robi, che con una certa supponenza ti dice: "La TV? Io non ce l'ho neanche" e poi ti chiama supplicandoti di portarle un film su chiavetta per guardarselo sul portatile. No, io la TV ce l'ho e la guarderei anche, se avessi il tempo e la freschezza di farlo. E soprattutto, se non fosse sempre sintonizzata su Disney Channel. Comunque ogni tanto intercetto delle cose. Tipo ieri a pranzo, quando sembrava ci fosse il TG2. Dico "sembrava" perché i servizi proposti parlavano nell'ordine: del caldo torrido che avremmo patito a breve; della ragazza che per sbaglio ha rovesciato dello yogurt sui pantaloni di Obama durante non so quale sua visita ufficiale; dei posti a sedere preferiti dai viaggiatori in aereo (vi giuro, diceva proprio così! Per vostra informazione il posto più gettonato è A6). Se qualcuno se lo chiedesse si trattava proprio del TG2, e non della rubrica Costume e Società. Alla fine di questo importantissimo mezzo di informazione giornalistica, arriva la pubblicità.
Ed eccolo qua, l'ennesimo spot per un prodotto per la pulizia della casa. Chi non l'avesse ancora visto, lo guardi qua. Sono solo trenta secondi: cercate di arrivare fino alla fine.


Questa è la vera pubblicità ingannevole, nel senso che prima ti illude che possa esistere un cavaliere senza macchia e senza paura, maschio, forte, figo e che pulisce pure il castello, e poi ti fa sbattere contro la dura realtà: quel cavaliere sei tu, donna, e devi pulire la cucina.
Allora, già da anni mi batto contro i pessimi insegnamenti della favola di Cenerentola, il cui mito ha fatto dei danni enormi nella vita privata di milioni di donne. Siamo cresciute credendo che ci fosse, da qualche parte nel mondo, un principe azzurro. Abbiamo creduto nel mito della perfezione. Abbiamo creduto che un giorno avremmo smesso di pulire le cucine e avremmo fatto altro. E adesso eccoci qua. Mentre ci stiamo ancora leccando le ferite della delusione cocente, ci prendono anche per il culo in TV. Ci dimostrano come stiano REALMENTE le cose. Ci dicono: "Hai presente tutto il tuo mondo di favole, le storie del castello, del re e del principe? Vuoi vedere qual è il finale? Il finale da favola? Eccolo: non esiste nessun principe. Pensavi veramente che un uomo arrivasse con la sua lucente armatura in groppa a un cavallo bianco per pulire un castello? Sei veramente così fuori di testa? Ma è OVVIO che nessun uomo l'avrebbe mai fatto! Nemmeno per diventare sovrano. Perché, giustamente, se le condizioni per diventare sovrano sono queste, è meglio restare indigenti. E quindi è altrettanto OVVIO che l'unica a sbattersi per quel posto sarebbe stata una donna. La regina della casa."
Ecco che cosa ci dice questo spot. Il finale da favola a cui dobbiamo aspirare è di regnare su una cucina splendente che noi abbiamo pulito col Cif. E allora, secondo la legge della cattiva pubblicità, io COL "CIF" che pulisco la mia cucina! Piuttosto, lascio il mio regno a microbi e batteri e vado a godermi la vita con quello che credevo fosse un principe.


giovedì 12 aprile 2012

Intubiamola

Ciò che spesso fanno gli ipocondriaci con la loro innocente ossessione per le malattie è garantirsi una vita sana. Così è stato per me, per lunga parte della mia vita. Sono stata spesso oggetto di scherno per la mia enciclopedia medica sistemata con nonchalance tra il vocabolario d'italiano e quello d'inglese. Però poi li vedevo i miei amici sbruffoni, a sfogliarla con attenzione, convinti di non essere visti, cercando la pagina dell'ictus o quella del verme solitario. Ero talmente attenta, all'epoca, da evitare addirittura di diventare SERIAMENTE ipocondriaca, perché di fatto anche quella era una malattia. Questo comunque mi ha consentito di accumulare negli anni un notevole bagaglio culturale in campo sanitario. Ho imparato a suddividere gli antibiotici in famiglie, ad apprezzare le qualità del Buscopan, a descrivere con estrema precisione i sintomi. Ma la mia specialità sono sempre stati gli analgesici che fanno quella cosa magica, mistica direi, di allontanarci dalla nostra misera vita terrena, fatta di disagio e di dolore, per farci approdare in un universo più lieve, sereno e quindi sano. Ecco, io per anni sono stata una felice, ma soprattutto sana, ipocondriaca.
Tutto questo è ahimè finito molto presto. Nel 2006 per l'esattezza, quando è nato il mio primogenito. Mi ero appena specializzata nella medicina dedicata alla gravidanza - cosa per me fino ad allora sconosciuta, visto che sui foglietti illustrativi il capitolo "Gravidanza e allattamento" veniva regolarmente saltato - che ho subito dovuto abbandonare tutti i miei studi per una ragione che non avrei mai pensato di mettere in conto un giorno: la mancanza di tempo. In questi ultimi sei anni ho perso progressivamente tutte le mie conoscenze mediche. Oggi riesco a malapena a distinguere una Tachipirina da un'Aspirina, un Oki da un Aulin. E infatti mi ammalo. A manetta, ogni anno di più. Da che ero convinta di avere i sintomi di tutte le malattie, ma di fatto ero sana come Willy il delfino, ora sono convinta che tutto sommato sto bene, ma mi ammalo di continuo.
Su una cosa sono rimasta piuttosto brava: l'autodiagnosi. Grazie a Internet e al mio talento personale, riesco a individuare con precisione qual è il problema. Ma i medici non temano, non faccio sfoggio di questa mia capacità, è solo così, per mia soddisfazione personale. So che sto per andare da loro con qualcosa che li renderà molto molto felici. Sì perché avete mai notato come reagiscono i medici alle vostre malattie? Se non sono abbastanza virulente restano delusi, vi trattano con sufficienza. Ma se arrivate lì con qualcosa di grosso, eccolo là il guizzo negli occhi, un eccitamento sessuale (non verso di voi, è ovvio), come quando trovate dieci euro nella tasca di una giacca che non usate da due stagioni.
"A-aaah...questo è proprio un bell'herpes!"
"M-mmmh...questa è proprio una bella tonsillite, sa?"
"U-uuuh...una bella colonia di pseudomonas..."
Tutto diventa BELLO, ed è merito tuo. TU li stai rendendo così felici. La tua malattia dà loro una ragione per esistere.

La mia tonsillite era iniziata poco prima della pausa pasquale. Infiammazione | Aulin | fine del problema. Il problema invece è stato che non essendo più ipocondriaca, ho abbassato la guardia, ho sottovalutato le complicazioni e soprattutto ho pensato di meritarmi delle vacanze. E la mia arroganza è stata punita. Appena arrivata in una nota località termale della Slovenia, pronta per trasformarmi in una spugna umana, le mie tonsille hanno seguito lo stesso procedimento dei chicchi di mais che diventano popcorn. L'analogia mi sembra perfetta sia per proporzioni, sia per colore. Ai bei tempi della mia ipocondria non avrei mai intrapreso un viaggio superiore ai 20 chilometri senza una valigetta del pronto soccorso al seguito. Oggi, mi tocca sopportare pure questo: nel beauty-case ci sono magari due antirughe diversi, ma nemmeno un antibiotico. Della serie, belle ma morte. Vi risparmio le peripezie, ma vi dico solo che in tre giorni ho visto 5 medici: 2 dottoresse dell'ex impero comunista (una molto, molto simile al Maresciallo Tito), 1 medico di guardia italiano e 2 medici specialisti in una clinica privata. Manifestazioni di gioia alla vista della mia gola: 5. Totali antibiotici prescritti: 3. Assunti: 3. Utili: 0. Analisi proposte per mononucleosi: 1 (era dalle medie che non sentivo parlare di mononucleosi). Proposte di ricovero: 1 (per ascesso tonsillare, ma smentito dai due medici successivi).
Per farla breve, e dare un senso a questo post, vi dico che l'altro ieri mattina, durante la mia ultima visita (quella con gli specialisti) ho assistito a una scena molto rappresentativa. Io seduta, esausta, che snocciolavo i nomi dei principi attivi che avevo assunto nei giorni precedenti e l'evolversi della malattia, e i due medici che annuivano estremamente interessati. Poi iniziano a discutere tra loro. Quante fiale contiene quel medicinale? Cinque. No, sei. Sette. E mentre cercavano di mettersi d'accordo su quante iniezioni avrei dovuto fare e a partire da quando e se sospendere oppure no gli altri antibiotici, il tutto con estrema calma, e anche con un certo disorientamento, direi, l'infermiera prende la situazione in mano, va a prendere una fiala, una siringa, un disinfettante e mi trascina con sé per fare la prima iniezione.
"Ecco, così per una ci siamo tolti il pensiero, va bene?" Dice ai medici che non si erano nemmeno accorti che io ero uscita e rientrata con in corpo una dose da cavallo di non so nemmeno cosa.
"Ah, sì, bene..." Dicono in coro.
"La ricetta?"
"..."
"..."
"Ah, ecco, la ricetta, sì"
"..."
Ecco, magari la mia percezione era distorta dai medicinali, ma ho notato una comune assenza di senso pratico degli uomini, compensata da una operatività bellica della donna. Mi domando come sarebbero andate le cose se anche l'infermiere fosse stato maschio. Avrebbe preso la situazione così in mano? Avrebbe preso l'iniziativa di farmi quell'iniezione lasciando gli altri due discutere per conto loro? E le dottoresse femmine invece, avrebbero tergiversato così a lungo? A nessuna sarebbe venuto in mente di farmi la prima iniezione lì, sul posto? Mi viene difficile crederlo. Alla fine, uscendo da lì, mi sono sentita estremamente riconoscente a quell'infermiera che con grande senso pratico aveva accelerato i tempi della mia guarigione. Ora vado a vedere se ho la mononucleosi. Vi terrò aggiornati.



P.S.: sì, anche il blog sta avendo delle mutazioni. Non so se e quando si stabilizzerà.