martedì 7 gennaio 2014

P&G pensa alle madri separate

Ho già parlato qui del rapporto che P&G vorrebbe avere con tutte le mamme del mondo. Ho già protestato contro l'immagine della mamma che DA SOLA si sobbarca tutti i lavori domestici, DA SOLA cresce i figli e sempre DA SOLA li fa pure diventare campioni olimpici. Ho protestato anche a nome di tutti quei padri che dicono: "Hey! Ma non è così!!! Anche io porto mio figlio ad allenamento, gli preparo la cena e carico la lavatrice!" Ma niente, a P&G l'opzione che esistano anche i padri e che questi padri possano essere attivi nelle famiglie proprio non piace. Meglio insistere sullo stereotipo della donna/mamma che fa tutto da sola. Perché si sa, le donne sono multitasking e i fustini di detersivo si vendono meglio a loro.

Adesso esce il sequel di quello spot che in molte, troppe, ha suscitato lacrime di commozione.



E mi è venuta l'illuminazione. Non avevo capito niente. Pensavo che P&G fosse la classica multinazionale che si nutre del marketing più conservatore e generalista. Pensavo che la sua comunicazione fosse un ostacolo culturale al lento e difficile processo verso la parità di genere, verso il superamento degli stereotipi. E invece mi sbagliavo: P&G in realtà promuove un reale cambiamento della società verso nuovi modelli di famiglia.
Sì, perché finalmente si parla a una categoria di donne che non sono mai considerate nella comunicazione italiana e forse nemmeno in quella estera: le donne separate.
E allora sì! Essere una donna separata non ti emargina dalla società! Guarda donna separata: sei forte anche se sei da sola! Insegni ai tuoi figli che si può anche cadere ma che l'importante è rialzarsi! Un bellissimo messaggio di coraggio. Pensate che rivoluzione: non è più la famiglia tradizionale al centro di una comunicazione di una delle multinazionali che investono di più al mondo in comunicazione, ma è un modello nuovo, indipendente.
Le donne, che in caso di separazione sono in genere quelle più svantaggiate, adesso hanno uno sponsor importante. Uno sponsor che le incoraggia e dice loro che possono sempre farcela, che possono sempre rialzarsi, esattamente come insegnano loro ai figli.

Vabbè dai, la smetto, che quasi quasi mi convinco da sola.

P.S.: aggiungo un chiarimento "postumo". Siccome mi stanno arrivando commenti entusiastici su questa cosa delle mamme separate, sono costretta a specificare che si tratta di una mia personale provocazione e che non c'è evidentemente alcuna intenzione da parte dell'azienda di fare un salto così audace. Purtroppo le cose restano come sono sempre state: l'azienda inscena le mamme nel loro ruolo più classico, che è quello di donne che si occupano dei figli e della cura della casa e comprano i prodotti P&G. I padri probabilmente sono tutti al lavoro.


giovedì 2 gennaio 2014

La nuova creatura

Cari uomini e care donne in ritardo,

ho aspettato l'anno nuovo - e il primo momento vagamente libero - per raccontarvi il secondo progetto per la serie "bando alle ciance: passiamo ai fatti" che mi sta tenendo lontana da questo blog e da tutto quello che stavo facendo prima.
Accanto al progetto "Pari o dispari? Il gioco del rispetto" che vuole diffondere attraverso il gioco, la cultura della parità di genere ai bambini delle scuole dell'infanzia (ne ho parlato qui), ho avuto l'impellenza di fare ancora un'altra cosa. E questa cosa si chiama "LABY - coworking & life".
È uno spazio di coworking, dove donne e uomini hanno a disposizione aree di lavoro, scrivanie, sale riunioni, connessione internet, fotocopie, ma anche spazio per il loro tempo libero, dove farsi un'ora di pilates, yoga, o massaggi oppure seguire dei corsi di formazione (dalla cucina all'aggiornamento professionale), tutto questo senza mai dover scegliere tra vita personale e figli. Sì, perché i figli si possono portare e affidare agli educatori e alle educatrici di un'area dedicata, dove i piccoli vengono seguiti e intrattenuti con attività di vario genere.
In Italia ci sono molti posti dove si può lavorare, altrettanti posti dove, chi ha ancora tempo, può dedicarsi alla cura del proprio corpo e del proprio spirito e poi ci sono ancora diversi posti (pochi a dire il vero), dove i bambini possono divertirsi. Ecco, noi abbiamo pensato di riunire in un posto solo, bello e grande, tutti questi momenti della vita di ognuno di noi.

Presentazione LABY - coworking & life

Il cuore di LABY ovviamente batte per le pari opportunità, cercando di ridurre lo svantaggio che sul lavoro le donne hanno soprattutto al rientro dalla maternità. Perché più che rientro, si tratta spesso di fuoriuscita definitiva. Le donne che fino a pochi mesi prima avevano responsabilità, chi piccole, chi grandi, improvvisamente dopo i figli, diventano handicappate. Come se avessero avuto una malattia debilitante. E io mi dico sempre, va bene, magari è stata pure una malattia debilitante, ma poi si fa riabilitazione e si può tornare come prima. Voglio dire: Umberto Bossi, dopo l'infarto o l'ictus, o quello che è stato, ha fatto riabilitazione. E adesso lo vedi sempre lì che parla, che lavora per il suo partito. Ma le donne no. C'è più probabilità che Umberto Bossi torni a fare politica dopo essere quasi morto, che una donna torni a svolgere il suo lavoro dopo aver avuto un figlio.

Allora ci siamo detti: "Ci vorrebbe un posto dove per la prima volta non si debba scegliere tra lavoro e figli. O tra tempo libero e figli. Un posto dove vive e pulsa una community di persone che condividono competenze ed esperienze professionali e dove non ci sia più isolamento né sociale, né professionale." Ed ecco LABY.

Nel 2013 Stefania Boleso, Silvia Mazzolin e io ci siamo fatte il culo a tarallo per costruire questa cosa. Abbiamo lavorato con il Comune di Trieste, con la Provincia, abbiamo vinto un bando della Regione Friuli Venezia Giulia, abbiamo parlato con le aziende e con le persone. Adesso stiamo allestendo lo spazio e contiamo di inaugurare a primavera.
Io ovviamente non dormo più. Ma non sono mai stata così felice, perché questo è veramente il coronamento di anni di ragionamenti fatti qui e fatti altrove ed è finalmente l'occasione pratica e non più virtuale per fare qualcosa di concreto in tema di politiche femminili.

Il primo esperimento di questo tipo, anche se con le dovute differenze di "mercato", è partito a Milano e ha da poco compiuto un anno di attività. Si chiama Piano C. Poi abbiamo notizia di un altro progetto simile a Mestre, che si chiama Lab Altobello. E sarebbe fantastico che ogni città italiana ne avesse uno, che le Istituzioni supportassero un reale cambio del nostro modo di lavorare e di vivere, che nonostante tutti gli strumenti tecnologici a disposizione si regge ancora su scelte manichee tra lavoro e famiglia, tra quello di cui si occupano gli uomini e quello di cui si occupano le donne. Ancora oggi, non c'è tolleranza per chi non accetta queste scelte.

Io invece sono molto tollerante.
W il 2014!