Nel mito greco di Edipo, il re Laio, a seguito della terribile profezia che sarebbe stato ucciso dal figlio, decise di rinunciare ad avere un erede e di continuare la sua vita come se niente fosse. Ufficio, amici, partita. Per evitare qualsiasi tentazione, Laio ripudia la moglie Giocasta. La molla così, su due piedi, senza darle alcuna spiegazione. Giocasta, per nulla abbattuta e del tutto intenzionata a dare un senso alla sua vita con la maternità, una sera fa ubriacare Laio e, cito da Wikipedia, "riuscì a giacere con lui una notte che si rivelò fatale". Quando nacque il bambino, Laio che fa? Scappa in un altro continente? Cambia identità? Non lo riconosce? No: "lo strappò dalle braccia della nutrice e gli fece forare le caviglie per farvi passare una cinghia e lo 'espose' per mano di un servo". Alla faccia dell'amore paterno.
Non riesco a capire come mai Freud si sia concentrato così tanto sul fatto che Edipo (che significa infatti "piede gonfio") ebbe dei rapporti incestuosi con sua madre, fra l'altro senza nemmeno saperlo, e non sul fatto che un padre possa bucare le caviglie di un neonato per darlo in adozione. È un secolo che ci fanno una testa così parlandoci del complesso di Edipo, ma mai una parola su quel bastardo del padre. Comunque.
Questa dolorosa premessa serve ad aprire una finestra sul mondo moderno, in cui pare che gli uomini non abbiano affatto smesso di odiare i propri figli. Ovviamente non in termini così accesi. Diciamo che oggi l'uomo medio quando diventa padre, dopo aver assistito al parto, dopo aver tagliato il cordone ombelicale (sempre meglio che perforato le caviglie), dopo aver asciugato il sudore dalla fronte della moglie, dopo aver guardato orgoglioso l'erede, a testimonianza dell'infallibilità dei suoi spermatozoi, riprende a fare la stessa vita di prima. Come se dicesse: "Sì, carino dai, ma adesso ho da fare". Oggi come 2000 anni fa, i padri sono completamente distanti dai loro figli. Lo so, adesso mi direte che no, che non è vero, che "Mio fratello gioca sempre con suo figlio", che "Mio cognato stravede per la sua bambina", che "Il mio amico soffre quando va a lavorare e lascia il bambino a casa con la mamma". Sì, tutto molto bello. E allora come mai in quasi tutte le aziende italiane quando una donna ha un figlio la sua carriera si ferma, mentre quella di un padre no? Come se le donne facessero i figli da sole. Come se si perpetuasse all'infinito la storia di Maria e Giuseppe: il figlio lo fa solo Maria, Giuseppe può pure tornare a lavorare, tanto non è suo. Le cronache sono piene di casi di donne licenziate per essere rimaste incinte. Donne che devono per forza scegliere tra la maternità e il lavoro. E gli uomini? Come mai loro non devono scegliere? Dopotutto i figli li fanno anche loro. Eppure poi non se ne occupano. Vogliamo mettere a paragone due manager italiani, una donna e un uomo? Entrambi hanno un figlio. La vita di quale dei due subirà un grande cambiamento? E non parlo di vecchie generazioni, ma di miei coetanei, di giovani in gamba, con laurea, master, capacità di leadership, sia uomini che donne. Niente, non c'è verso.
Oggi le aziende che assumono sono obbligate per legge a rivolgere la ricerca del personale sia a uomini che a donne, ma poi, guarda caso, sono solo gli uomini a ricoprire le posizioni più alte. Uomini che hanno dei figli, ma che non se ne occupano. O meglio, fanno i padri moderni: la sera, quando tornano a casa dopo 12 ore di lavoro, mettono loro il bambino a letto. E il fine settimana lo portano a giocare a palla e gli insegnano a intagliare i tronchi degli alberi. E le mogli li guardano intenerite, pensando che sono veramente adorabili padre e figlio insieme. SVEGLIA! Che mentre vi intenerite, state perdendo il vostro posto di lavoro, o quantomeno la possibilità di crescere professionalmente e di fare carriera. Mentre vi commuovete guardando vostro marito che allaccia le scarpe al bambino, se ne stanno andando in fumo tutti gli anni che avete passato sui libri e all'università. E dovreste chiedervi perché tutte queste cose le state perdendo solo voi e non il padre dei vostri figli, che oltre a mettere a letto il bambino la sera, altro non fa. Provate a chiedergli che numero ha di piede il piccolo. Dai, forza. Chiedetegli se oggi ha fatto la cacca. O cosa ha mangiato a pranzo. Voi lo sapete. Anche se il bambino era in asilo, anche se non gli avete dato voi da mangiare, voi SAPETE sempre tutto. Il padre no.
E allora c'è da chiedersi perché questi uomini così moderni e affezionati ai figli non sentano la necessità di prendersene cura come fa una madre. Perché le battaglie per il lavoro le devono portare avanti soltanto le donne? Perché non protestano anche gli uomini? Perché non ho mai sentito dire a un uomo: "No, oggi non posso stare in ufficio fino a tardi perché voglio preparare la cena a mio figlio"? O addirittura: "Vorrei chiedere il part time perché è nato mio figlio e devo starci dietro"?
Se donne e uomini insieme portassero avanti nelle aziende la battaglia per una politica attenta alle famiglie, forse quelle aziende non avrebbero più la possibilità di fare la scelta "più conveniente". Se i padri manifestassero la stessa esigenza delle donne a stare con i propri figli non solo nei ritagli di tempo, forse non ci sarebbe più bisogno di parlare di pari opportunità. Paradossalmente, la battaglia delle donne per avere più tutela sul lavoro nasce con le premesse sbagliate. Si sta facendo tanto per garantire a una donna le stesse possibilità di fare bene il proprio lavoro, escogitando orari flessibili, agevolazioni, permessi speciali. Ma le aziende che ragionano nell'ottica dell'ottimizzazione dei costi e dei risultati continuano ad avere la possibilità di scegliere la via più semplice: il dipendente maschio. Fintanto che esisteranno uomini e padri disposti a rinunciare all'accudimento dei figli, non ci sarà mai una soluzione. Lo so, cari uomini, è difficile mettere da parte un po' il lavoro che tanto ci piace. Lo so eccome. Ma in parità, i sacrifici vanno divisi.
Non riesco a capire come mai Freud si sia concentrato così tanto sul fatto che Edipo (che significa infatti "piede gonfio") ebbe dei rapporti incestuosi con sua madre, fra l'altro senza nemmeno saperlo, e non sul fatto che un padre possa bucare le caviglie di un neonato per darlo in adozione. È un secolo che ci fanno una testa così parlandoci del complesso di Edipo, ma mai una parola su quel bastardo del padre. Comunque.
Questa dolorosa premessa serve ad aprire una finestra sul mondo moderno, in cui pare che gli uomini non abbiano affatto smesso di odiare i propri figli. Ovviamente non in termini così accesi. Diciamo che oggi l'uomo medio quando diventa padre, dopo aver assistito al parto, dopo aver tagliato il cordone ombelicale (sempre meglio che perforato le caviglie), dopo aver asciugato il sudore dalla fronte della moglie, dopo aver guardato orgoglioso l'erede, a testimonianza dell'infallibilità dei suoi spermatozoi, riprende a fare la stessa vita di prima. Come se dicesse: "Sì, carino dai, ma adesso ho da fare". Oggi come 2000 anni fa, i padri sono completamente distanti dai loro figli. Lo so, adesso mi direte che no, che non è vero, che "Mio fratello gioca sempre con suo figlio", che "Mio cognato stravede per la sua bambina", che "Il mio amico soffre quando va a lavorare e lascia il bambino a casa con la mamma". Sì, tutto molto bello. E allora come mai in quasi tutte le aziende italiane quando una donna ha un figlio la sua carriera si ferma, mentre quella di un padre no? Come se le donne facessero i figli da sole. Come se si perpetuasse all'infinito la storia di Maria e Giuseppe: il figlio lo fa solo Maria, Giuseppe può pure tornare a lavorare, tanto non è suo. Le cronache sono piene di casi di donne licenziate per essere rimaste incinte. Donne che devono per forza scegliere tra la maternità e il lavoro. E gli uomini? Come mai loro non devono scegliere? Dopotutto i figli li fanno anche loro. Eppure poi non se ne occupano. Vogliamo mettere a paragone due manager italiani, una donna e un uomo? Entrambi hanno un figlio. La vita di quale dei due subirà un grande cambiamento? E non parlo di vecchie generazioni, ma di miei coetanei, di giovani in gamba, con laurea, master, capacità di leadership, sia uomini che donne. Niente, non c'è verso.
Oggi le aziende che assumono sono obbligate per legge a rivolgere la ricerca del personale sia a uomini che a donne, ma poi, guarda caso, sono solo gli uomini a ricoprire le posizioni più alte. Uomini che hanno dei figli, ma che non se ne occupano. O meglio, fanno i padri moderni: la sera, quando tornano a casa dopo 12 ore di lavoro, mettono loro il bambino a letto. E il fine settimana lo portano a giocare a palla e gli insegnano a intagliare i tronchi degli alberi. E le mogli li guardano intenerite, pensando che sono veramente adorabili padre e figlio insieme. SVEGLIA! Che mentre vi intenerite, state perdendo il vostro posto di lavoro, o quantomeno la possibilità di crescere professionalmente e di fare carriera. Mentre vi commuovete guardando vostro marito che allaccia le scarpe al bambino, se ne stanno andando in fumo tutti gli anni che avete passato sui libri e all'università. E dovreste chiedervi perché tutte queste cose le state perdendo solo voi e non il padre dei vostri figli, che oltre a mettere a letto il bambino la sera, altro non fa. Provate a chiedergli che numero ha di piede il piccolo. Dai, forza. Chiedetegli se oggi ha fatto la cacca. O cosa ha mangiato a pranzo. Voi lo sapete. Anche se il bambino era in asilo, anche se non gli avete dato voi da mangiare, voi SAPETE sempre tutto. Il padre no.
E allora c'è da chiedersi perché questi uomini così moderni e affezionati ai figli non sentano la necessità di prendersene cura come fa una madre. Perché le battaglie per il lavoro le devono portare avanti soltanto le donne? Perché non protestano anche gli uomini? Perché non ho mai sentito dire a un uomo: "No, oggi non posso stare in ufficio fino a tardi perché voglio preparare la cena a mio figlio"? O addirittura: "Vorrei chiedere il part time perché è nato mio figlio e devo starci dietro"?
Se donne e uomini insieme portassero avanti nelle aziende la battaglia per una politica attenta alle famiglie, forse quelle aziende non avrebbero più la possibilità di fare la scelta "più conveniente". Se i padri manifestassero la stessa esigenza delle donne a stare con i propri figli non solo nei ritagli di tempo, forse non ci sarebbe più bisogno di parlare di pari opportunità. Paradossalmente, la battaglia delle donne per avere più tutela sul lavoro nasce con le premesse sbagliate. Si sta facendo tanto per garantire a una donna le stesse possibilità di fare bene il proprio lavoro, escogitando orari flessibili, agevolazioni, permessi speciali. Ma le aziende che ragionano nell'ottica dell'ottimizzazione dei costi e dei risultati continuano ad avere la possibilità di scegliere la via più semplice: il dipendente maschio. Fintanto che esisteranno uomini e padri disposti a rinunciare all'accudimento dei figli, non ci sarà mai una soluzione. Lo so, cari uomini, è difficile mettere da parte un po' il lavoro che tanto ci piace. Lo so eccome. Ma in parità, i sacrifici vanno divisi.
Oggi, davanti alla vetrina di Bata, origliavo: "Ma sì ma cosa ti importa! Tanto i mariti a cosa servono? A parlare di politica e a prendere i bambini ogni tanto!"
RispondiEliminaSe almeno la facessero sta politica...
RispondiEliminaNon ti parlo di me perché vivo una situazione particolare (io e mio marito lavoriamo entrambi autonomamente da casa) , e perché, in generale, quando si parla di dinamiche sociali trovo più corretto guardare all’insieme, piuttosto che alle esperienze del singolo.
RispondiEliminaL’Italia è al penultimo posto in Europa, seguita solo da Malta, per donne in ruoli di responsabilità pubblica e già questo dato la dice lunga so come siamo messe nel nostro Paese.
Domenica ti ho pensato, guardando Presadiretta su RAI3. La puntata “SENZA DONNE” parlava proprio della condizione femminile nel nostro paese e di come più di 1/3 delle donne italiane lasci il lavoro dopo il primo figlio.
Il confronto veniva fatto con la Norvegia dove grazie anche alle quote rosa e a delle leggi ad hoc sono riusciti ad ottenere un ottimo livello di parità tra uomo e donna.
Se di primo acchito pensare di dover ricorrere a delle leggi per affermare la parità mi ributta, ho riflettuto sulle interviste fatte a uomini e donne norvegesi di diversa età e ceto sociale, e una cosa mi ha colpito su tutte, il fatto che loro vivono pensando, anche, alla società.
Quando parlano del ruolo uomo e donna non sono ego riferiti, ma dicono che, se l’uomo e la donna stanno meglio, sta meglio anche il paese, se l’uomo e la donna sono felici al lavoro, ci sarà un beneficio per tutti.
Ecco a mio modo di vedere, in Italia, questo manca. Con buona probabilità anche se venissero fatte delle leggi specifiche sull’argomento, come in Norvegia, la maggior parte delle persone penserebbe a come eluderle.
La verità è che all’italiano medio di come stanno gli altri, gliene importa poco, un piccolo sacrificio personale per il bene di tutti non è un valore riconosciuto.
Forse per questo potrebbe venire in aiuto la scuola. Già alla materna bisogna scegliere se avvalersi o meno dell’ora di educazione religiosa (cattolica) . Io l’ho trovata una cosa veramente assurda: nel momento in cui il bambino entra a contatto, più o meno per la prima volta, con le “diversità” (razza, religione, lingua), forse un’ora in cui parlare di solidarietà, religioni (tutte), convivenza, rispetto del mondo in cui viviamo, valorizzazione delle specificità di ognuno sarebbe a mio modo di vedere molto più utile.
Ci manca una coscienza civile, nessuno vuole rimanere “con il cerino in mano” e putroppo, sia nella vita privata sia in quella pubblica-lavorativa a rimanere con il cerino in mano siamo proprio noi donne.
Scusa per la lunghezza, ma l’argomento mi appassionava :-)
Che cretina, ho visto solo adesso il link alla trasmissione di domenica ! :-))
RispondiEliminaCara Sabri, hai proprio ragione. In Italia facciamo molta più difficoltà a mettere da parte gli interessi personali in favore del bene della collettività. O meglio, invece di preferire che il nostro bene derivi da una società che funziona e a cui abbiamo contribuito personalmente, preferiamo la scorciatoia di perseguire direttamente ed esclusivamente il nostro tornaconto. Del resto, lo vediamo in sessant'anni di politica fatta di favori personali, truffe e truffette, tangenti e cricche varie. Il punto è che non so fino a quando tutto questo potrà durare. E non so quale portata potrà avere un collasso definitivo di tutto questo sistema. In quanto donna italiana posso solo lavorare nel mio piccolo per contribuire a una soluzione pacifica senza dover emigrare all'estero. Perché fra l'altro, in Norvegia fa veramente troppo freddo :)
RispondiEliminaIo non ho figli ma l'argomento mi è sempre stato a cuore. Questo perchè ho sempre avuto piccoli grandi fastidi nel lavoro, capi che ti seguivano nei corridoi apostrofandoti con frasi simpatiche come "Mi raccomando niente figli eh!!..." e magari condivano la battuta con un bel sorrisino tanto per fingere di essere in vena di humor. Tutto questo alle porte del rinnovo del contratto o poco prima. Semplicemente schifosi. Oppure altri che alzavano preoccupati le sopraciglia al colloquio di lavoro quando venivano al corrente del mio stato civile (sposata, aiuto!!), e quindi con aria perplessa come se dovessero risolvere un dannatissimo problema di geometria, mi facevano la solita domanda "Ha intenzione di avere figli?.." Ditemi se non è umiliante una situazione simile, in cui tra l'altro mandare a quel paese questa gente(cosa peraltro lecitissima in un tale contesto) ti compromette il futuro professionale. La cosa ancor più triste è che ho lavorato anche per un'azienda di sole donne, credendo di aver risolto qualsiasi problema, eppure è stato anche peggio, circondata da donne nubili e sfigate sentimentalmente che da subito mi hanno squadrato con diffidenza. E poi hai voglia a parlare di calo demografico, di incentivare le nascite, quando neppure la chiesa, paladina del ripopolamento del mondo, non mi risulta che abbia fatto o detto niente sulla situazione della donna nell'Italia di oggi.
RispondiEliminaNon capisco perché non si possa adottare un'alternanza della maternità, come pare abbiano fatto altri paesi europei (con ottimi risultati): tot mesi sta a casa la madre (per legge) altri tot mesi sta a casa il padre (per legge). Forse così assumere una donna comporterà le stesse cose che assumere un uomo: tanto entrambi dovranno dividersi la cura del bimbo.
Mi descrivete una categoria di sfigati. Situazione davvero triste. Il mio compagno ha sempre fatto la metà delle cose, cambio e lavaggio e "stesura" pannolini lavabili, allattamento (grazie al tiralatte, una notte su 4 o quando dovevo uscire), pulizie, pasti, spesa, giochi e coccole bimbo, bagnetto, massaggio, visite pediatriche, baby nuoto. Ho una seconda gravidanza molto ravvicinata e molto difficile fisicamente, quindi da sei mesi papà e figlio dormono insieme e io mi faccio da sola le mie orrende notti. Il mio compagno è passato a fare i tre quarti delle cose, e inoltre si occupa di me che sono uno straccio. In più, fa cose che io non faccio mai, tipo pulire a fondo l'automobile o aggiustare cio' che si rompe. Ieri abbiamo festeggiato le sue dimissioni! Per qualche mese mi aiuterà con i due piccolissimi, e nei ritagli di tempo cercherà un'attività più adatta alla nostra situazione familiare. Che fortuna avere incontrato un uomo normale...
RispondiEliminaMarilina, sì, sei proprio fortunata. Se la tua situazione fosse la norma, oggi non dovremmo discutere di quote rosa e di pari opportunità.
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