venerdì 17 settembre 2010

Il treno della parità

Seduta al mio posto sull’Eurostar che da Milano mi sta riportando a Trieste, assieme a tutti i pendolari del Nord Italia messi insieme, mi godo lo spettacolo umano che mi circonda. Eccola qua, l’Italia che lavora. L’Italia che produce (anche inquinamento acustico, visto che in questo momento stanno tutti gridando al telefono). E mi compiaccio nel constatare che in questo momento, non sembra esserci nessuna disuguaglianza. La ragazza di fronte a me ha appena finito di chiamare una serie di candidati per un colloquio, fissando degli appuntamenti per la prossima settimana e ora si sgranocchia dei Tuc. Più in là c’è un’altra donna che studia con meticolosità dei turni di lavoro di una squadra. Accanto c’è un giovane incravattato che smanetta col Blackberry. Di fronte a lui c’è un uomo che legge “Spigolature Bassanesi”. Ovunque, gente che legge documenti, che scruta diagrammi, che parla con clienti, che organizza incontri. Qualcuno guarda semplicemente dal finestrino. Meno male che esiste ancora l’opzione “contemplare”, e non solo quella del “fare”. Il mio compagno, seduto al mio fianco, o per meglio dire, SUL mio fianco, legge una rivista per nerd della pubblicità, e ogni tanto butta l’occhio furtivo su quello che sto scrivendo. E per questo ho sentito il dovere di menzionarlo.
Insomma, su questo treno - che viaggia già con 20 minuti di ritardo a 30 dalla partenza - non riesco a scorgere alcun segnale di disparità. Nemmeno uno sguardo di compassione di una donna nei confronti di un uomo, né viceversa. Tutti si sono sistemati autonomamente. Tutti molto gentili fra di loro. Mi viene da pensare di aver fatto delle considerazioni azzardate. Sono tentata di salutarvi e di chiudere il blog. Ma poi noto qualcosa. Un piccolo cambiamento di tendenza. Gli uomini, piano piano, si rilassano. Chiudono i computer. Mettono via i cellulari. Iniziano a leggere un giornale. Quelli che sembravano più agguerriti ora sonnecchiano. La ragazza davanti a me invece, finiti i Tuc, si è rimessa a lavorare. Quella accanto non ha mai smesso. Insomma, le donne non sembrano mollare. Non so, mi piace troppo l’idea di viaggiare su un treno paritario, per avere il pensiero malizioso che le donne stanno lavorando di più, perché poi, una volta arrivate a casa loro, dovranno dedicarsi ai lavori domestici. E non vorrei nemmeno pensare che si tratti di un fattore congenito delle donne, quello di lavorare più degli uomini.
Mentre faccio queste riflessioni, e continuo a trasferirle sulla tastiera, il mio compagno si è addormentato. Forse dovrei farlo anch’io.

2 commenti:

  1. http://www.corriere.it/economia/10_settembre_23/lunghezza-giornata-donne_0ed9da4e-c714-11df-ad8a-00144f02aabe.shtml

    questa notizia mi ha fatto immediatamente pensare a questo blog....

    buona giornata e buon week end

    Chiara - donna infermierina :-)

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  2. La chiusura dell'articolo è abbastanza inquietante: "Inoltre, nel 7,3% dei casi, si può anche lavorare da casa, magari occupandosi nel frattempo delle faccende domestiche o della cucina. Una scelta, inutile a dirsi, fatta propria soprattutto dalle donne." Perché "inutile a dirsi"? Direi piuttosto "tragico a dirsi", "allucinante a dirsi", "triste a dirsi".
    Grazie della segnalazione: è ghiotto materiale per la mia ricerca.

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