lunedì 21 febbraio 2011

Quote rosa (e dintorni): rivoluzionare il lavoro?

Questo post a blog unificati nasce da un'idea e uno scambio di vedute su Twitter e in rete tra Monica Cristina Massola, Stefania Boleso, Lorenza Rebuzzini, Manuela Cervetti, Benedetta Gargiulo, Maria Cimarelli, Paola Liberace e Mariangela Ziller.

Dopo uno stralcio di scambi in rete:

"Non basta essere donne per esser candidate, anche questa è strumentalizzazione."
"Mi piacerebbe molto però se chiedendosi "chi c'è di bravo?" venissero in mente donne"
"Il punto è: basta questo per introdurre gente a caso (come avverrà in CDA banche) purché donna?"
"Sono sicura ci siano donne in gamba pronte per assumere ruoli importanti. Come fargli avere la chance?"
"Sempre più mi è chiaro che non si tratta di part time o di conciliazione: che bisogna rivoluzionare il lavoro, nulla di meno"
"Rivoluzionare il lavoro!! E' l'unica. Ma partendo dalle donne (dalle mamme!), non dall'imitazione degli uomini."
(seguendo in Twitter l'hashtag #rivoluzionareillavoro troverete alcune tracce di frasi che ci hanno fatto riflettere...)

abbiamo pensato di scrivere sugli argomenti delle reali opportunità per le donne nel mondo professionale: su come rivoluzionare l'organizzazione attuale del lavoro, e sulla legge attualmente in discussione sulle quote rosa nei CdA.

Come avrete intuito, questo post va in onda a blog unificati. Tipo messaggio del Presidente della Repubblica il 31 dicembre. E, non per darmi delle arie, ma anche io vi faccio gli auguri. Auguro a tutti, uomini e donne, che domani venga approvata la legge sulle quote rosa. E così vi svelo già la mia opinione in merito: un terzo delle donne nel Consigli d'Amministrazione delle società? Sì, grazie. È un po' poco, ma per ora ci accontentiamo. Meglio un terzo che un milionesimo. Certo, le solite prime della classe, tipo Norvegia, Spagna (?) e Francia (?) hanno quote del 40%, ma insomma, non vorremo mica stravolgere così di botto secoli di inciviltà italiana! Bisogna andare per gradi. Magari un giorno facciamo assistere le donne a una riunione del CdA dal buco della serratura. Il giorno dopo le facciamo entrare, magari per portare il caffè. Il terzo qualcuna si può appoggiare al tavolo di cristallo, meglio se in posa accattivante. Così, dopo una settimana di silenziosa presenza, l'uomo medio italiano si sarà abituato e sarà pronto per assorbire lo shock di condividere il potere con il genere femminile. Comunque il panico farà presto a rientrare, dato che "un terzo" coincide matematicamente con il concetto di minoranza. Per cui non ci sarà il pericolo di una guerra tra i sessi.
Detto questo, leggo ovunque i commenti dei soliti moderati (tipo mia madre), che con una certa spocchia criticano il meccanismo delle quote rosa. Dicono che la presenza delle donne non può essere imposta per legge. Dicono che le quote rosa fanno male alle donne. Alessandro De Nicola ha scritto sul Sole24Ore di qualche giorno fa che "È ozioso discutere se le donne fanno bene al bilancio della società; le manager brave sì, quelle scadenti o inadatte no. Sicuramente non sarà una qualunque burocrazia in grado di determinarlo." Ozioso un tubo. Se leggo dei dati che dicono che, dove ci sono dei CdA composti anche da donne, le aziende hanno delle performance migliori rispetto a quelle in cui i CdA sono al 100% testosteronici, significa che, a prescindere se quelle donne manager sono brave o scadenti, le quote rosa migliorano la situazione. E continua De Nicola: "La quota rosa è controproducente sotto altri profili: fa considerare le signore prescelte delle semplici 'raccomandate' e crea una piccola casta di 'gonne dorate' come vengono chiamate in Norvegia..." Cioè, non abbiamo nemmeno iniziato a prevedere un pidocchioso 30% di donne nei CdA, che già si parla di raccomandazioni e gonne dorate?! Ma vogliamo invece dire qualcosa sui "pantaloni dorati" invece? E sulle raccomandazioni di genere di cui godono gli uomini? Voglio dire, oggi, e non per legge, la maggioranza dei CdA delle società italiane è composta da soli uomini. Di questi, molti hanno fatto anche delle pessime figure. Penso ad Alitalia per esempio, o a Trenitalia (tutto quello che finisce in "italia" insomma. Ah sì, anche Telecom Italia). In questo caso non si parla più di raccomandazione? Cos'è, improvvisamente solo adesso scoprite il valore della capacità e della preparazione? Adesso che si parla di donne? Ecco, a me questa cosa mi manda veramente in bestia. Velatamente, ma nemmeno tanto, sento dire: "Bene le donne, ma devono essere capaci e preparate, eh!" E allora dirò una cosa impopolare: chissenefrega se non sono brave o preparate. Qualcuna sarà brava, qualcuna no. Qualcuna sarà odiosa, qualcuna no. Esattamente come gli uomini. Per me è questa la vera parità: le donne devono avere lo stesso diritto di sbagliare che hanno gli uomini. Non è che perché adesso concedono loro un terzo delle poltrone, queste donne devono lavorare il doppio degli uomini.
I principali detrattori di questa legge parlano tanto di meritocrazia. Dicono che i posti di potere devono essere ricoperti da gente qualificata, a prescindere dal genere. Bene, dico io. Ma siamo sicuri che oggi i posti nei CdA siano attribuiti per reale merito? Perché se non è così, allora di cosa stiamo parlando?
Scusate, mi è salita la pressione. Ora mi calmo.
C'è invece un'altra questione che mi preoccupa, che è proprio il numero di donne interessate ad usufruire delle quote rosa. Ci sono? E quante sono? E dove sono? A quale gradino dell'organigramma aziendale si sono fermate (o sono state fermate)? Ci sono moltissime aziende in Italia che contano percentuali altissime di donne nel livello impiegatizio, qualcuna a livello quadro, e praticamente nessuna dirigente. Se nel giro di un anno dovesse entrare in vigore il meccanismo delle quote rosa, dovremmo fare un corso accelerato di management alle donne. E sarebbe anche carino che parallelamente ci fossero dei corsi per spiegare agli uomini come sia normale e dovuto che anche loro si occupino dei figli e della casa. Perché che fai? Incentivi la donna a fare carriera per sfruttare tutte le sue capacità e poi lasci i suoi figli dall'assistente sociale? Ma alla fine c'è un'altra questione spinosa di cui si parla poco, che è lo squilibrio lavoro-vita privata. Si dà per scontato che si debba per forza scegliere: tra lavoro e figli, tra lavoro e vita coniugale, tra lavoro e salute. Sì, lo so, sto facendo un discorso da femmina. Mi è stato detto proprio l'altra sera a cena: le donne vogliono fare tutto e non sono disposte a concentrarsi su un'unica cosa. Vogliono essere madri, mogli, amanti, lavoratrici, amiche. L'uomo invece, una volta che ha scelto il lavoro, non si pone altre questioni. Sta bene così. Beh, scusate, ma a me pare riduttivo. E comunque, statistiche alla mano, la qualità del lavoro aumenta quando aumenta anche la qualità della vita, e questo significa che se ho il tempo per andarmi a fare una birretta con gli amici, o fare i compiti con mio figlio, poi sarò più produttiva in azienda. L'attuazione delle quote rosa in Italia, seppur con percentuali ben lontane dalla parità, implicherà anche una certa rivoluzione nel lavoro. Come tempi e come modi. E di questo, ne godranno anche gli uomini.

Se volete altre opinioni in merito, sicuramente più serie delle mie, questi sono i link dove potrete trovarle:

http://www.mammeacrobate.com/work.html
http://www.workingmothersitaly.com/category/blog/
http://pensieridistefania.blogspot.com/
http://milanoelorenza.blogspot.com/
http://pontitibetani.wordpress.com/
http://www.controgliasilinido.com

21 commenti:

  1. Io trovo sia triste che una legge debba imporre queste cose... dovrebbe essere spontaneo pensare alla donna come a un essere umano e non come a un essere a parte...

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  2. E' triste la condizione attuale delle donne in Italia. La legge è solo una piccola risposta a questa tristezza. In questo paese si è visto che non è spontaneo niente, e allora meglio un intervento dall'alto.
    Trovo triste anche che ci debba essere una legge che ci obbliga ad andare a scuola, ma se non ci fosse, molti di noi resterebbero analfabeti.

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  3. e senza legge nessuno avrebbe smesso di fumare nei locali pubblici...a volte un'imposizione dall'alto ci vuole per frenare mal costume e indifferenza al bene comune - due dei tratti nazionali piu' caratteristici!

    Speriamo solo che funzioni, pur con le sue limitatezze (30% per arrivare alla parita'...mah?!)

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  4. ottimo post, quoto tutto.

    però, io, e parlo di me me, non delle donne in generale (ci mancherebbe), in questo momento della mia vita sono più interessata ad essere una madre più o meno presente che a fare carriera. Io (io!), ora (ora!) non desidero farmi corrompere dal lavoro, che è solo lavoro. e credo che questo riguardi anche altre donne, che stanno al piano di sotto, a guardare il soffitto di cristallo, senza volerlo sfondare. poi è chiaro che la possibilità di sfondarlo deve essere concreta, qualora lo si desideri.

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  5. Ecco, Valentina, secondo me il punto è proprio quello: ciascuno deve avere la possibilità di fare quello che desidera.
    La madre a tempo pieno, se è quello che ha deciso, oppure la top manager nel cda, se lo vuole ed ha le capacità per farlo.
    Nel primo caso nessun ti dice niente, nell'altro invece serve una legge per aiutarti a sfondare il cosiddetto tetto di cristallo...
    Capisci che c'è qualcosa che non torna??
    E allora ben venga un "aiutino"!

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  6. Io temo fortemente che questa cosa delle quote rosa, finirà per essere ritorta contro le donne e finirà, per l'ennesima volta, per penalizzarci. Io temo che -proprio perchè il lavoro e la società di oggi non consentono alle donne di dedicarsi al lavoro, anche volendolo- saranno poche le donne che sacrificheranno qualcosa per la carriera. E allora ci verrà detto: ma noi le avevamo messe, le quote rosa, siete voi che non ne avete approfittato...
    perplessamente vostra
    schnecke

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  7. Schnecke, si spera anche che quelle poche che inizieranno a sedersi nei CdA facciano anche in modo di favorire l'ascesa di tutte le altre, introducendo politiche di lavoro diverse e a misura non solo di donna, ma di "persona".
    Poi sono d'accordo con Valentina e Stefania: libertà di autodeterminazione per tutti. Anche per gli uomini, che non necessariamente si devono sentire degli sfigati se scelgono la famiglia al posto del lavoro.

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  8. @stefania: posto che io comunque lavoro, e tanto (il mio commento significava che potrei lavorare di più, e potrei sgomitare, impormi, farmi vedere, essere ambiziosa), trovo che comunque anche la madre che decide di stare a casa subisce forti pressioni dalla società: viene definita una mantenuta, viene considerata una persona che nella vita non fa "niente".
    quindi va bene l'autodeterminazione, vanno bene le quote rosa, però si tratta, come al solito, di un problema che c'è a monte. la società pretende di assegnare un ruolo alle donne (anche agli uomini, certo). e soprattutto impone un preciso modello di maternità. ora, se tu ti vuoi adeguare al modello di madre che ti impongono, e te ne stai a casa, la pubblicità, i media, e alla fine anche le persone che hai attorno, ti vedranno poco propensa a quel successo a cui bisogna ambire per essere persone "giuste, integrate, normali". se tu invece vuoi perseguire obiettivi lavorativi importanti, ecco che ti dicono che devi stare a casa con i figli, che devi fare figli se non ne hai, e, sottilmente, insinuano che sei poco "donna", in quanto poco materna.
    ecco, sicuramente io sono per il fottersene di quello che si dice, e per il rendere conto solo a se stessi. però credo che al di là delle quote rosa (giuste, a mio parere), ci sia anche una questione di aspettative sociali sulla donna e sulla mamma alimentata o forse creata dagli stessi media.

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  9. quote rosa ok e... quoto polly: io non voglio essere, come direbbe Vecchioni che poi è anche di moda,stronza come un uomo. anche perchè io posso essere molto più stronza di un uomo. la loro caratteristica principale non è la stronzaggine, bensì l'ottusità, la caparbietà, il complesso del gallo nel pollaio o del capo tribù. in generale, ovviamente. ma, sempre in generale, il tipo di maschio a causa del quale servono le quote rosa vedrà sempre un terzo dell'azienda in biancheria intima, anche mentre snocciola dati in streaming aggiornando la holding giapponese. al contrario, 'egli' non sarà mai un gran padre. ed è verissimo: sono razzista!

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  10. si, sono bab :)
    e approfitto per aggiungere, ne parlavamo alla stessa cena citata da bica, che si parla troppo di escort e troppo poco di toy boy. la mia amica ne ha uno da manuale (molto + giovane, nero e rasta)e sono sicura che il mondo è pieno di storie simili. solo che se ne parla di meno, perchè all'uomo non piace passare sul serio da giocattolino per donne. la clerici fa fare l'autore al suo ex toy boy attualmente marito, che prima faceva tutt'altro. scommetto che le varie politicanti nostrane ne hanno a pacchi, di questi, vogliamo parlarne?!?

    (è ovvio che rivoluzionare il mondo del lavoro è l'unica strada possibile, al di là delle chiacchiere)

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  11. Barbara, mi è bastato il riferimento a Vecchioni per capire che eri tu.
    Comunque, se posso permettermi, quella di Vecchioni era anche una visione abbastanza canonica della donna (con la gonna). Se vogliamo uscire dagli stereotipi, che come dice Polly, sono sia quello della madre sfigata che sta in casa, sia della donna in carriera sfigata perché non ha figli, dobbiamo anche imparare ad accettare pure le donne stronze "come gli uomini".

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  12. assolutamente no! siamo diverse. e siamo meglio. non mi convincerete mai del contrario, anche se gli uomini, io, li adoro. adoro lavorare per loro ma anche quando loro lavorano per me, adoro uscirci, ubriacarmi con loro, farci del sesso e anche dei figli. ma, di certo, 'essi' non saranno mai all'altezza; e il fatto che abbiano sempre governato loro è anche frutto di una furbesca interpretazione femminile della vita. sic!

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  13. X bab

    Cara amica complessata e invidiosa,
    ti faccio semplicemente notare che anche internet, ovvero lo strumento attraverso il quale voi femminucce diffamate quotidianamente tutti gli uomini (quindi anche i vostri padri, fratelli, mariti e figli), è una creazione maschile.
    Fosse per voi femmine vivremmo ancora nelle caverne, al massimo nelle capanne.

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  14. http://www.uominibeta.org/2011/02/02/morti-sul-lavoro-l8-sono-donne/

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  15. Morti sul lavoro: il 3% sono donne…
    di Fabrizio Marchi e Rita Vergnano

    Una tragedia di classe e di genere, quella dei morti sul lavoro, di cui si parla ipocritamente in modo generico, soffermandosi, quando va bene, solo sul primo aspetto, occultando scientemente il secondo. Evitando cioè di specificare che la quasi totalità delle vittime sono uomini, appartenenti al genere maschile, e poveri, appartenenti alla classe lavoratrice. Perché non si ha notizia di un notaio o di un commercialista rimasti uccisi precipitando dalla loro scrivania, né di un parlamentare o di un giudice cadendo dal loro scranno, né tanto meno di un industriale schiacciato sotto una pressa.

    Questi sono i dati tratti dal sito dell’Inail per quanto riguarda l’Italia (verificati nel 2008):

    Nel 2004 i morti totali furono 1328 di cui 1225 maschi e 103 femmine.
    Dei 1225 maschi, 438 morirono a causa di infortuni stradali (di questi 251 erano infortuni in itinere e gli altri inerenti la tipologia di lavoro)
    Delle 103 femmine 62 morirono per incidenti stradali (di cui 54 in itinere)

    Nel 2005 i morti furono 1280 (di cui 1193 maschi e 87 femmine)

    Dei 1193 maschi 612 morirono per incidenti stradali (di cui 235 in itinere); delle 87 femmine 66 morirono in incidenti stradali (di cui 44 in itinere)

    Nel 2006 i morti furono 1341 (1242 maschi e 99 femmine)

    Dei 1242 maschi 603 morirono in incidenti stradali di cui 214 in itinere); delle 99 femmine 85 morirono in incidenti stradali di cui 52 in itinere.

    Quindi gli infortuni in itinere sono circa il 20% per i maschi mentre salgono al 50% per le femmine. Se consideriamo che la quasi totalità degli autotrasportatori, degli autisti e in generale di coloro che svolgono una professione che prevede lo stare lunghe ore alla guida di un mezzo, sono uomini, è facile capire come in realtà si arriva alla percentuale del 98% di vittime maschili.

    Le percentuali sono pressoché le stesse relativamente all’Unione Europea. Paradossale il fatto che, sullo stesso sito dell’Inail (www.inail.it “banca dati al femminile”), viene citata la percentuale di infortuni mortali femminile e non quella maschile che si evince ovviamente sottraendo la prima al totale…

    Pensate cosa succederebbe e sarebbe già successo se questa ecatombe sociale e di genere, con cifre paragonabili a quelle di una guerra civile neanche tanto strisciante, fosse stata e fosse a parti invertite. Se cioè a morire sul posto di lavoro fossero le donne e in quella percentuale.

    Campagne mediatiche fino all’inverosimile, tuoni e fulmini scagliati contro una insopportabile e vergognosa discriminazione, leggi speciali per evitare alle donne i lavori più pesanti, faticosi e rischiosi. E sarebbe sacrosanto. Guai se non fosse così.

    E invece in questo caso c’è un silenzio assordante, come si suol dire. E’ come se tutto questo fosse dato per scontato. E suonano beffardi i titoli dei giornali che mettono in risalto l’aumento degli infortuni sul lavoro per le donne, in percentuale.
    Su questo dramma sociale e umano (e maschile) cala il sipario dell’oblio e dell’ipocrisia. Non una parola in tal senso. Se ne guardano bene tutti: politici, media, sindacati, associazioni degli industriali.
    La domanda sorge spontanea? Perché? Forse perché questa verità è insopportabilmente vera al punto di spazzare via una “verità” fasulla, quella del privilegio e dell’oppressione maschile sulle donne, sempre, comunque e dovunque? Forse perché questa verità è talmente vera che metterebbe in crisi la vulgata dominante e “politicamente corretta” che racconta di una oppressione a senso unico dell’intero genere maschile su quello femminile?

    Noi non abbiamo paura della verità che qualcuno,una volta, sosteneva essere rivoluzionaria. Noi, la pensiamo come lui. Qualcun altro/a ne ha paura.

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  16. http://questionemaschile.forumfree.it/?t=8366653

    Ok. Andiamo per ordine.
    Tu dici che la percentuale di donne in politica attiva dipende da un complotto (più o meno oscuro) della parte maschile (segreterie di partito, classi dirigenti etc.) per garantirsene il monopolio.
    Ma prima di fare un’affermazione così banale, che è quella che sentiamo tutti i giorni dai media, sapresti dirmi quello che non viene mai detto?
    Ossia, quale sia la percentuale di donne che frequentano la politica e partecipano attivamente nelle sezioni, nelle segreterie, sul territorio, nelle circoscrizioni, nei comuni e in tutti quei luoghi dove la politica si svolge?
    Io, pur senza avere dati certi (che nessuno dice esplicitamente, perché, questa sì, è una realtà occultata) so che in molti partiti (molti, non tutti) la semplice percentuale delle iscritte non va oltre il 15/20 percento, ad essere generosi. E questo dato ancora non dice quanta parte di queste abbia un impegno effettivo o possegga solo una semplice tessera. A questo riguardo, sarebbe utile ed importante se qualcuno di noi (io non ho tempo sufficiente per farlo) svolgesse una piccola ricerca sul web per raccogliere questi dati sin dove possibile. Sono convinto che ne uscirebbe un quadro significativo.
    Poi, chiunque conosca minimamente la politica sa perfettamente che la carriera e la sua ascesa sono garantite solamente dal seguito personale dell’attivista, dal numero di tessere che riesce a far sottoscrivere e dal suo bacino di consenso.
    Se una segreteria di partito dovesse sostituire a questi criteri per formare le candidature quelli del sesso di appartenenza, pregiudicherebbe il rapporto effettivo con l’elettorato perdendo voti e rappresentanza. E’ quello che sta succedendo ai DS che, privilegiando in astratto la componente femminile, ad ogni tornata perdono quote di elettorato.
    Secondo: tu dici che un ulteriore impedimento alle donne sarebbe dato dal dover crescere i figli.
    Intanto, io non riesco più a capire come si faccia seriamente ad invocare, da un lato, la maternità come valore aggiunto della donna e, dall’altro, ad additarla come fattore di impedimento al suo sviluppo sociale. Da questa contraddizione, secondo me, si stanno producendo quei guasti psicologici individuali, che hanno il loro sintomo più drammatico nelle ormai numerose madri che sopprimono i figli a calci nella schiena o infilandoli nella lavatrice. Neanche questo aspetto viene mai considerato dai media, che preferiscono parlare, invece, di astratte depressioni post-partuum…….
    Ma, a parte questo (che meriterebbe un approfondimento a parte), secondo te e molti altri, data questa evidenza biologica bisognerebbe alterare le regole del gioco democratico e della rappresentanza, nonché dei criteri meritocratici di selezione, solo per consentire alle donne una maggiore partecipazione sine titulo alla vita politica. E’ un punto di vista; sicuramente non il mio che lo considero una pericolosa falsificazione della rappresentanza politica.
    Ma ci si dimentica di osservare, soprattutto, che questa eventualità poggia, in ultima analisi, sul sacrificio di altrettanti uomini che si guadagnano la carriera sul campo e non sull’appartenenza di genere e che si vedrebbero scavalcati da altrettante donne con la semplice giustificazione che “sono donne”.
    Le chiamano esplicitamente “discriminazioni positive”, quindi ben comprendendo l’intimo aspetto discriminatorio che comportano, che sarebbe reso accettabile, chissà perché, dall’aggettivo positive. Naturalmente la positività della cosa non è estesa a tutti i cittadini, unico fattore che la renderebbe tollerabile, ma solo ad una parte di essi: quella femminile.
    Io credo che qualunque discriminazione, anche a mente del dettato Costituzionale che tu stesso hai ricordato, non abbia mai alcun aspetto positivo, ma sia solo la legittimazione di un nuovo sistema di privilegi di una parte a danno dell’altra.
    Se per te questo è progresso e civiltà siamo ben lontani dal comprenderci.

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  17. Cari anonimi (o anonimo, nel caso fosse uno solo), datevi un nome, un nick quantomeno. Così riusciamo almeno a capire in quanti stiamo portando avanti la discussione.
    Seconda cosa, cercate di non replicare conversazioni già avvenute in altri forum o blog, che immagino avranno avuto incipit e contesti diversi.

    Detto questo, in merito alla considerazione che Internet è un'invenzione maschile, beh, direi che si tratta di un'argomentazione un pochino superficiale. Ma se vogliamo approfondire, potremmo anche dire che pure la guerra è un'invenzione maschile. Anche lo stupro. Contenti voi.
    Fosse "per noi femmine" magari vivremmo molto meglio di adesso. Poi, se questo significa diffamare mio padre, mio fratello, mio marito e i miei figli, pazienza. Me ne assumo tutte le responsabilità. Ma sono certa che loro la pensano come me, segno che la mia (e quella di molti commentatori su questo blog) non è una guerra tra sessi, ma contro l'ignoranza e l'inciviltà.

    Passiamo invece ai morti sul lavoro. Sinceramente non ho capito il messaggio (sarà perché sono femmina?). Che cosa ci vuoi dire? Che l'uomo è svantaggiato rispetto alla donna perché lui muore sul lavoro e lei no? Beh, iniziate a farle lavorare queste benedette donne allora! Guarda, domani mi presento in un cantiere e chiedo di venire assunta. Vediamo cosa mi dicono.

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  18. a Zelig! Mandiamolo SUBITO ZElig!!!
    fa troppo ridere...

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  19. ah, e poi. io non sono invidiosa dei maschi. io li adoro, come già detto (e come dimostra la mia esistenza, eheheh). e adoro anche mio padre, i miei figli, i miei amici, i miei ex e gli svariati attuali. che sono tutti dei deliziosi cazzoni maschilisti, ma c'est la vie! anche l'alcol fa venire la pancia, la gastrite, il mal di testa, le occhiaie, ma quanto è figo bere! io non ci rinuncerei mai.
    Voi piuttosto, così anonimi di nome e di fatto... (mi raccomando, ragazzi, meno pippe - metaforiche e non - e più attività; la libertà, come diceva un grandissimo maschio, è partecipazione!)

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