giovedì 12 aprile 2012

Intubiamola

Ciò che spesso fanno gli ipocondriaci con la loro innocente ossessione per le malattie è garantirsi una vita sana. Così è stato per me, per lunga parte della mia vita. Sono stata spesso oggetto di scherno per la mia enciclopedia medica sistemata con nonchalance tra il vocabolario d'italiano e quello d'inglese. Però poi li vedevo i miei amici sbruffoni, a sfogliarla con attenzione, convinti di non essere visti, cercando la pagina dell'ictus o quella del verme solitario. Ero talmente attenta, all'epoca, da evitare addirittura di diventare SERIAMENTE ipocondriaca, perché di fatto anche quella era una malattia. Questo comunque mi ha consentito di accumulare negli anni un notevole bagaglio culturale in campo sanitario. Ho imparato a suddividere gli antibiotici in famiglie, ad apprezzare le qualità del Buscopan, a descrivere con estrema precisione i sintomi. Ma la mia specialità sono sempre stati gli analgesici che fanno quella cosa magica, mistica direi, di allontanarci dalla nostra misera vita terrena, fatta di disagio e di dolore, per farci approdare in un universo più lieve, sereno e quindi sano. Ecco, io per anni sono stata una felice, ma soprattutto sana, ipocondriaca.
Tutto questo è ahimè finito molto presto. Nel 2006 per l'esattezza, quando è nato il mio primogenito. Mi ero appena specializzata nella medicina dedicata alla gravidanza - cosa per me fino ad allora sconosciuta, visto che sui foglietti illustrativi il capitolo "Gravidanza e allattamento" veniva regolarmente saltato - che ho subito dovuto abbandonare tutti i miei studi per una ragione che non avrei mai pensato di mettere in conto un giorno: la mancanza di tempo. In questi ultimi sei anni ho perso progressivamente tutte le mie conoscenze mediche. Oggi riesco a malapena a distinguere una Tachipirina da un'Aspirina, un Oki da un Aulin. E infatti mi ammalo. A manetta, ogni anno di più. Da che ero convinta di avere i sintomi di tutte le malattie, ma di fatto ero sana come Willy il delfino, ora sono convinta che tutto sommato sto bene, ma mi ammalo di continuo.
Su una cosa sono rimasta piuttosto brava: l'autodiagnosi. Grazie a Internet e al mio talento personale, riesco a individuare con precisione qual è il problema. Ma i medici non temano, non faccio sfoggio di questa mia capacità, è solo così, per mia soddisfazione personale. So che sto per andare da loro con qualcosa che li renderà molto molto felici. Sì perché avete mai notato come reagiscono i medici alle vostre malattie? Se non sono abbastanza virulente restano delusi, vi trattano con sufficienza. Ma se arrivate lì con qualcosa di grosso, eccolo là il guizzo negli occhi, un eccitamento sessuale (non verso di voi, è ovvio), come quando trovate dieci euro nella tasca di una giacca che non usate da due stagioni.
"A-aaah...questo è proprio un bell'herpes!"
"M-mmmh...questa è proprio una bella tonsillite, sa?"
"U-uuuh...una bella colonia di pseudomonas..."
Tutto diventa BELLO, ed è merito tuo. TU li stai rendendo così felici. La tua malattia dà loro una ragione per esistere.

La mia tonsillite era iniziata poco prima della pausa pasquale. Infiammazione | Aulin | fine del problema. Il problema invece è stato che non essendo più ipocondriaca, ho abbassato la guardia, ho sottovalutato le complicazioni e soprattutto ho pensato di meritarmi delle vacanze. E la mia arroganza è stata punita. Appena arrivata in una nota località termale della Slovenia, pronta per trasformarmi in una spugna umana, le mie tonsille hanno seguito lo stesso procedimento dei chicchi di mais che diventano popcorn. L'analogia mi sembra perfetta sia per proporzioni, sia per colore. Ai bei tempi della mia ipocondria non avrei mai intrapreso un viaggio superiore ai 20 chilometri senza una valigetta del pronto soccorso al seguito. Oggi, mi tocca sopportare pure questo: nel beauty-case ci sono magari due antirughe diversi, ma nemmeno un antibiotico. Della serie, belle ma morte. Vi risparmio le peripezie, ma vi dico solo che in tre giorni ho visto 5 medici: 2 dottoresse dell'ex impero comunista (una molto, molto simile al Maresciallo Tito), 1 medico di guardia italiano e 2 medici specialisti in una clinica privata. Manifestazioni di gioia alla vista della mia gola: 5. Totali antibiotici prescritti: 3. Assunti: 3. Utili: 0. Analisi proposte per mononucleosi: 1 (era dalle medie che non sentivo parlare di mononucleosi). Proposte di ricovero: 1 (per ascesso tonsillare, ma smentito dai due medici successivi).
Per farla breve, e dare un senso a questo post, vi dico che l'altro ieri mattina, durante la mia ultima visita (quella con gli specialisti) ho assistito a una scena molto rappresentativa. Io seduta, esausta, che snocciolavo i nomi dei principi attivi che avevo assunto nei giorni precedenti e l'evolversi della malattia, e i due medici che annuivano estremamente interessati. Poi iniziano a discutere tra loro. Quante fiale contiene quel medicinale? Cinque. No, sei. Sette. E mentre cercavano di mettersi d'accordo su quante iniezioni avrei dovuto fare e a partire da quando e se sospendere oppure no gli altri antibiotici, il tutto con estrema calma, e anche con un certo disorientamento, direi, l'infermiera prende la situazione in mano, va a prendere una fiala, una siringa, un disinfettante e mi trascina con sé per fare la prima iniezione.
"Ecco, così per una ci siamo tolti il pensiero, va bene?" Dice ai medici che non si erano nemmeno accorti che io ero uscita e rientrata con in corpo una dose da cavallo di non so nemmeno cosa.
"Ah, sì, bene..." Dicono in coro.
"La ricetta?"
"..."
"..."
"Ah, ecco, la ricetta, sì"
"..."
Ecco, magari la mia percezione era distorta dai medicinali, ma ho notato una comune assenza di senso pratico degli uomini, compensata da una operatività bellica della donna. Mi domando come sarebbero andate le cose se anche l'infermiere fosse stato maschio. Avrebbe preso la situazione così in mano? Avrebbe preso l'iniziativa di farmi quell'iniezione lasciando gli altri due discutere per conto loro? E le dottoresse femmine invece, avrebbero tergiversato così a lungo? A nessuna sarebbe venuto in mente di farmi la prima iniezione lì, sul posto? Mi viene difficile crederlo. Alla fine, uscendo da lì, mi sono sentita estremamente riconoscente a quell'infermiera che con grande senso pratico aveva accelerato i tempi della mia guarigione. Ora vado a vedere se ho la mononucleosi. Vi terrò aggiornati.



P.S.: sì, anche il blog sta avendo delle mutazioni. Non so se e quando si stabilizzerà.


4 commenti:

  1. ma scusa, il tutto è successo all'estero?e sai cosa ti è stato iniettato?;)

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    1. No, all'estero sono stati somministrati i primi due antibiotici dalle prime due dottoresse. Tutto il resto è storia di sanità italiana.

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  2. Ciao Bè, mi dispiace per il tuo malanno. Comunque volevo dirti che, non appena letta la descrizione delle tue tonsille, mi sono subito venute in mente le mie quando ho avuto la mononucleosi a 19 anni. Quindi non mi stupirei che la diagnosi fosse proprio questa. Non sto adesso a raccontarti qui gli altri sintomi... casomai ci sentiamo.
    Guarisci presto!
    Un abbraccio, Alessandra

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  3. ahahahah, posso ridere? Anche se della descrizione della tua tonsillite? mmm... non so, comunque l'infermiera=senso pratico è un'equazione assodata. Se ti può consolare, ho avuto la tonsillite intorno ai cinque anni, in un'epoca in cui le tonsille infiammate si estirpavano chirurgicamente, e un chirurgo sadico mi ha operata da sveglia, motivando la scelta di metodo con la pericolosità dell'anestesia: ma durante l'operazione quanti calci gli ho assestato me ne ricordo ancora, e tuttora ne godo retrospettivamente :) Guarisci e pensa invece al restyling del blog, facci vedere gli effetti speciali.

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