lunedì 20 febbraio 2012

Mamme tigri in montagna

Ho staccato la spina andando un po' in montagna. Era giunto il momento in cui il mio primogenito doveva imparare a sciare. Cioè, non che io sia una di quelle madri che obbligano i figli a diventare campioni di qualcosa eh. Però a me sciare piace. La montagna - d'inverno - piace. Mangiare krapfen piace. E quindi perché non far vivere questi piaceri anche al resto della famiglia? Insomma l'ho iscritto alla scuola di sci, ripromettendomi di non trasformarlo nella protagonista de "La solitudine dei numeri primi". "Saper sciare non è obbligatorio" è stato il mio mantra.
Alla fine è andato tutto liscio, Lorenzo ha sciato con un certo entusiasmo, anche se il bambino ha i suoi tempi...si distrae...guarda il panorama...pensa alla mamma...pensa alle caccole nel suo naso...insomma, è un sognatore. Una mamma tigre l'avrebbe preso a calci con il tacco dello scarpone. Io mi sono trattenuta, o meglio, ho trattenuto la nonna tigre e quello che mi ha fatto passare da piccola.
Lo guardavo con orgoglio mentre cadeva in continuazione dallo "skifil", spiegandogli che solo gli stupidi non cadono mai, lo incoraggiavo mentre finiva dritto in un cumulo di neve fresca perché non curvava al momento giusto e gli portavo gli sci quando era stanco. Sono stata brava, veramente. Ho avuto solo un momento di esitazione, giuro, solo uno, quando ho guardato il suo maestro ventitreenne, quindi nato nel 1989 (capite? 1989) e ho pensato che lui ha imparato a sciare direttamente con i carving, che per me sono stati una sorta di rivoluzione copernicana, e che probabilmente quando ha imparato lui c'era già il tapis roulant che ti portava su dopo ogni discesina di prova, mentre io, da piccola, tornavo su a scaletta sudando dentro la calzamaglia che non era in tessuto tecnico ma di lana grezza di muflone preistorico, e se cadevo dovevo tirarmi su da sola, e nessuno mi portava gli sci, perché se volevo sciare dovevo portarmeli da sola, e se piangevo, le lacrime mi si ghiacciavano in faccia, perché nessuno me le asciugava. Okay, la smetto. Comunque questi pensieri li ho fatti veramente, per cui ho avuto un momento di ribellione e ho detto a mio figlio che se era  sulle piste da sci a divertirsi era un privilegiato e che se voleva sciare, gli sci doveva portarseli da solo e se erano troppo pesanti per lui, poteva andare a fare un altro sport, tipo nuoto, ché in acqua è tutto più leggero. Ah, e mi è scappato anche di dirgli che doveva ascoltare di più il maestro e guardare di meno il panorama, ché nella vita nessuno aspetta i tuoi tempi. Alla fine mi ha punita con un atto eroico: il bambino davanti a lui sul tapis roulant cade rovinosamente perdendo sci e bastoncini, Lorenzo, precario anche lui sui suoi scietti, noncurante del pericolo di cadere a sua volta, si china, si protende in avanti, recupera uno dei bastoncini e lo porta in cima al bambino. Un atto di gentilezza gratuito, che gli ha richiesto concentrazione, attenzione, equilibrio (e anche culo). Io, ovviamente, piangevo a bordo pista. Ma comunque, gli sci non glieli ho portati lo stesso: diventerà un uomo, cazzo. Gli sci, deve portarseli da solo, così come se li portano le bambine.

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