mercoledì 29 dicembre 2010

Il viaggio della speranza

Avete passato bene il Natale? Vi siete finalmente rifocillati dopo mesi di stenti e privazioni? Avete scambiato regali di cui la metà riciclati e l'altra metà acquistata all'ultimo secondo con la tachicardia? Avete fatto il bagno di folla tra parenti che covavano l'influenza che poi vi siete immancabilmente beccati? Bene. Ah, dimenticavo: siete andati a messa? Siete stati buoni? Non ci credo. Sono sicura che avete trascorso il Natale all'insegna della tradizione, con quei pranzi infiniti in cui la matriarca della famiglia cucina per due giorni, mentre il patriarca si assume il gravoso compito di comprare i panettoni al supermercato e scegliere il vino. Quei pranzi in cui a un certo punto, non si sa come, le donne stanno tutte da una parte, a parlare, a scambiarsi ricette, sparecchiare, apparecchiare, a raccontarsi le ultime dei loro figli, e gli uomini dall'altra, a cercare di infilare le batterie nei regali dei bambini. Quei pranzi che Monicelli ci aveva raccontato tanto bene in "Parenti serpenti", per esempio. Beh, io sono partita. No, purtroppo non per i tropici, anche se il mio primogenito me l'aveva esplicitamente chiesto: "Mamma, io voglio andare al mare". In questo momento potevo essere in un bungalow sulla barriera corallina a guardare Nemo che nuota sott'acqua. E invece sono davanti al computer, che guardo Nemo in TV, giusto per dare a mio figlio l'illusione che l'oceano è a portata di mano. Sono partita per trascorrere le feste dalla famiglia del padre dei miei figli. Niente mare. Solo calorie. E orde di infanti che si azzuffavano per i giocattoli, tra cui una bambola che mio cognato ha regalato a suo figlio, con mio grande stupore. "Lo fai solo per essere menzionato nel mio blog" gli ho detto senza pietà. Ma forse ci credeva veramente. Comunque non era di questo che vi volevo parlare.
Volevo parlarvi del mio viaggio di andata, tanto per cambiare con Trenitalia, su un Intercity notte, il Trieste-Lecce, e tanto per cambiare sempre foriero di disagi. Il mio primogenito era già partito con suo padre qualche giorno prima e a me toccava il turno con il secondogenito unenne. Più passeggino, più sacchi con i regali, più bagaglio. A questo proposito, vi confido l'emozione di essere partita con il mio zainone da viaggio-on-the-road, uno sbiadito ricordo del mio passato felice, che ho riesumato per l'occasione, avendo la necessità di mantenere entrambe le mani libere per portare il passeggino. È stato bello riempire quello zaino prima della partenza e ricordarmi del cartellone di laurea che mi hanno fatto gli amici, in cui campeggiava la mia foto con quello zaino enorme sulle spalle e sembravo un'esploratrice giapponese. Quella foto era stata scattata nell'isola di Ios. Una mia amica ed io eravamo arrivate lì dopo mille ore di traghetto da Atene, e dopo essere fuggite dal resto del gruppo dei nostri compagni di viaggio con i quali stavamo girando la Grecia da settimane, e con cui litigavamo quotidianamente. A Ios dovevamo incontrare un altro nostro amico, che ci doveva venire a prendere al porto. Ma quella sera lui stava male, e il traghetto aveva fatto tipo 6 ore di ritardo. E, particolare storico non irrilevante, all'epoca non c'erano i cellulari. Per cui, una volta lì, ci siamo inerpicate per le stradine dell'isola a cercarlo. E, non so come, alla fine l'abbiamo pure trovato. In un appartamento condiviso con altri nove individui. Tutto questo con il mio zaino sulle spalle. Immaginatevi quindi lo spirito con cui me lo sono caricato nuovamente sulla schiena, quello zaino, pieno di body, pannolini, tutine, e tutto ciò che non mi sarei mai sognata di portarmi in Grecia tredici anni fa. Ma sto divagando. Montata sul treno, scopro con gioia di essere finita in una cuccetta promiscua. Sapete cos'è una cuccetta promiscua? Detto così non sembra niente di promettente. O forse sì. Dipende dai punti di vista. Allora, ci sono due tipi di cuccette: quelle per donne, e quelle promiscue. Nelle prime ci possono andare solo le donne, nelle seconde uomini e donne. Così, le donne che viaggiano da sole possono veder salva la loro virtù, mentre quelle che viaggiano in coppia possono stare tranquillamente con il loro compagno. Il fatto che magari anche per un uomo, possa essere imbarazzante dormire con una sconosciuta, non è contemplato. Fatto sta che a me è capitata la promiscuità. E sarò avventata, ma la compagnia di uomini-che-viaggiano è di gran lunga preferibile a quella delle donne-che-viaggiano, confermando, ahimè, tutti i luoghi comuni che si dicono delle donne, che sono chiacchierone, impiccione, moleste. Ovviamente, tutto questo non vale per le nuove generazioni, tutte troppo stanche per il lavoro, per la precarietà, per le maternità per recare una qualsiasi forma di disturbo. No, le giovani donne non rappresentano un problema, perché svengono sul letto appena si chiudono le porte del treno. Il problema sono le donne di una certa età. Negli ultimi dieci anni, tutte le volte che ho condiviso una cuccetta con tre di queste, ho avuto voglia di gettarmi dal finestrino, che però era sempre sigillato. Mai una volta che si concedessero un po' di relax per leggersi un libro, ascoltarsi un iPod, farsi due parole crociate. Niente. Due ore per sistemare le borse, le valigie, i sacchetti, gli zaini. Altre due per cercare dov'è il beautycase, perché è sconveniente andare a dormire spettinate. Un'ora di domande su chi sei, dove vai, da dove vieni. E il resto del viaggio a raccontarti di loro. Gli uomini invece, entrano, incastonano la valigia (una a testa) nell'apposito spazio, si distendono e dormono. Fantastici. E sembra proprio che a nessuno di questi sfiori il pensiero di stuprarti nel sonno. Mentre te lo stai domandando, li senti già russare. E così puoi andare subito a dormire anche tu (forse anche un po' delusa).
Insomma, questa volta, in corridoio, vedo una signora sconsolata che, ovviamente, appena mi vede inizia a parlarmi dei suoi problemi. Che è finita in una cuccetta promiscua, che ha chiesto al cuccettista di essere cambiata, ma il treno è pieno e deve rimanere là e non sa come fare. Le chiedo se il problema fossero i suoi compagni di viaggio, magari troppo rumorosi. "Nooo, quelli stanno già dormendo!" Ci avrei scommesso. Il problema era che quella signora trovava sconveniente dormire, lei donna, con altri tre uomini con cui non avesse alcun legame di parentela. Sono strani i ragionamenti delle persone. Quella signora sarebbe stata disposta anche a viaggiare seduta in uno scompartimento classico con le poltrone. Magari con altri 5 uomini. Purché seduta. Mi è venuto il sospetto che il vero problema fosse la posizione orizzontale. Ecco, quella proprio era inaccettabile. Purtroppo erano pieni anche tutti i posti a sedere. Non so come abbia fatto, alla fine, quella signora. Io sono tornata nel mio scompartimento, dove mi aspettavano tre uomini che non ho visto né quando sono entrata, né quando sono uscita, al termine del viaggio. Loro però, mi hanno vista e sentita. Mentre cambiavo mio figlio. Mentre gli davo il biberon con il latte. Mentre gli cantavo la canzoncina della buonanotte. Mentre gli sistemavo le coperte ogni dieci minuti. Avranno sicuramente maledetto la promiscuità, perché con queste donne non si può proprio viaggiare. Poveri uomini.

2 commenti:

  1. Guarda, l'ultima volta che ho fatto un viaggio in treno ho pensato che ogni tanto qualcuno si potrebbe pure staccare le cuffiette e curarsi del mondo che lo/la circonda...o no?
    miss r

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