Volevo, per una volta, postare un commento gioioso e ottimista sulla parità tra sessi, ma l'entusiasmo mi si è smorzato subito. Per questo ho sentito l'impellente esigenza di gridare il mio stato d'animo nel titolo. Insomma, leggo questa bella notizia che in molte aziende italiane si è raggiunta la parità tra il numero di uomini e donne impiegate. In alcuni casi il numero delle donne è addirittura maggiore. E no, non si tratta di asili nido. No, nemmeno di ospedali infantili. Uffa, finitela, non sto parlando nemmeno dei Laboratoires Garnier. Le donne sono l'85% in Sodexo, azienda che si occupa di soluzioni per la qualità della vita quotidiana. E chi meglio di una donna sa cosa sia VERAMENTE la qualità della vita, senza confonderla con la buona cucina e la casa pulita. Lo sa perché è costantemente impegnata a inseguirla per sé, questa benedetta qualità, dopo averla dispensata a tutti gli altri. Gratis. In Invatec invece, le donne sono l'80%. L'azienda è attiva nel settore biomedico. Pensa un po': le donne sanno anche fare scienza e ricerca. Non vi eravate accorti che uno dei più grandi scienziati italiani ha i capelli viola ed è una donna? O pensavate che Rita Levi Montalcini fosse famosa solo per la sua età? Poi abbiamo Europe Assistance con il 66% e Nielsen (ricerche di mercato) al 60%. Bene no? Ci sono dei segnali positivi. Le donne stanno addirittura arrivando a ricoprire le posizioni dirigenziali, oltre che quelle impiegatizie. Piano piano, pare, visto che le percentuali risultano essere sempre molto stitiche. Cioè, non so se ci sia molto da esultare sentendo che Intesa San Paolo ha aumentato il numero delle direttrici di filiale del 9%. Che significa? Che su 100 filiali adesso 9 sono dirette da donne? Uau. La Carfagna lo sa? Sta già tremando sulla sua sedia? Il Ministero delle Pari Opportunità è già in via di liquidazione? Comunque, volendo essere ottimisti, in ogni caso non riesco a digerire la batosta che mi arriva da questo articolo: fra le banche, quella ferma al palo con un 42% di donne è Unicredit. La MIA banca. Le altre pare facciano molto meglio. Non solo, ma a sfregio, Unicredit in Europa ha numeri più lusinghieri. È proprio in Italia che si accaniscono. Evidentemente trovano terreno fertile. Resta il fatto che Benedetta Gargiulo, autrice di Donne in ritardo, ha il suo conto corrente nella banca con la minor percentuale di donne. Sto pensando di citarli per danni alla mia immagine. Per compensare, minimo devo trovarmi un posto in Sodexo, dove mi occuperò finalmente della qualità della mia vita.
ahi: anch'io ho il conto presso Unicredit con tanto di mutuo ventennale...
RispondiEliminaDovremmo fare una class action. O minacciarli di dirottare tutti i nostri mutui centenari su altre banche.
RispondiEliminaLa discriminazione più evidente, però, è a livello retributivo, ed Ichino e Moretti (2006, http://bit.ly/9qe1SS) dimostrano come questa sia dovuta ad una sorta di calcolo preventivo sul maggior assenteismo previsto (anche per questioni di ciclo mestruale). Io di solito cito questa ricerca a supporto dell'impiego del Telelavoro.
RispondiEliminaPecco di superficialità e ti rispondo senza aver letto tutto l'abstract che mi hai segnalato. Di donne che si assentano per motivi legati al ciclo mestruale ce ne sono molto poche (sempre che esistano). Piuttosto, una ragione consistente dell'assenteismo femminile è legata alla gestione dei figli e alle LORO malattie. Certo che dopo i 45 anni si nota un calo dell'assenteismo delle donne, ma non perché vadano in menopausa, ma perché i figli ormai sono diventati più grandi e, uscendo dall'asilo, anche più sani. Altra considerazione, in linea generale le donne si assenteranno SEMPRE più degli uomini, fintanto che saranno le uniche su cui si poggia l'intero sistema della famiglia. A un uomo, non lo sfiora lontanamente l'idea di potersi occupare in prima persona delle emergenze e delle contingenze legate alla gestione della vita quotidiana.
RispondiEliminaBen venga il telelavoro, ma il problema di fondo non viene comunque risolto.
Raramente capita di leggere ricerche condotte (guarda caso da due uomini italiani) in modo così superficiale come "Biological Gender Differences, Absenteeism and the Earning Gap". Devo dire che ho girato diverse aziende e in nessuna di queste ho notato un assenteismo femminile tanto massiccio rispetto a quello maschile. Inoltre io stessa in un anno di lavoro sono stata a casa due giorni (non retribuiti) e quando l'ho fatto notare ai miei datori di lavoro in fase di rinnovo contrattuale non sono riuscita ad avere nemmeno un centesimo in più (anzi non se n'erano nemmeno accorti). Ti posso assicurare, da donna, che se proprio sono affetta da improvvise convulsioni uterine so di potermi avvalere di diversi medicinali (anche omeopatici) ad hoc. Penso piuttosto che i due ricercatori dovrebbero guardare un po' meno le pubblicità sugli assorbenti femminili e così guadagnare più tempo per approfondire le proprie ricerche.
RispondiEliminaMa ci rendiamo conto che _imporre_ una percentuale basata sui sessi è stupido? Sarebbe come dire che in un posto di lavoro ci vuole tot gente con i capelli biondi e tot gente con i capelli neri... Ci sono corsi di studio da completare, concorsi, diplomi e quant'altro. Chi vuole accedere a vari posti di lavoro, compia il percorso necessario, maschio o femmina. Semmai, saranno gli esaminatori a doversi mostrare oggettivi nella selezione ai colloqui: quello è il vero problema.
RispondiEliminaSilma, magari! In genere ci si preoccupa delle percentuali quando i risultati che ci interessano sono sempre di gran lunga inferiori al 50%.
RispondiEliminaRelata refero: Ichino e Moretti (almeno nel settore bancario italiano da loro considerato) riscontrano una differenza, non massiccia ma rilevabile, fra assenze maschili e femminili; rilevano, inoltre, una certa ciclicità; rilevano, infine, che i datori di lavoro (le banche, in questo caso) sembrano aver "adattato" le retribuzioni, al ribasso per le donne, adeguandolo al presunto assenteismo. Non è mia prassi quella di rifiutare delle metriche (statistiche, che ho letto) almeno ad una prima analisi corrette. Specie se fanno (un po' di) luce su un comportamentamento discriminatorio, notoriamente abbastanza diffuso, da parte dei datori di lavoro (non solo italiani, non solo banche). Questa ricerca è importante - non per niente viene spesso citata (fuori dall'Italia) - proprio perché anziché opporre un semplicistico "è sbagliato" alla discriminazione di retribuzione fra uomini e donne tenta di spiegarla, e dandone cause e misure, offre l'opportunità, direi anche per le istituzioni eventualmente coinvolte (ministero, associazioni, etc.) per proporre soluzioni volte alla "tombalizzazione" di tale ingiustizia.
RispondiEliminaNessuno infatti si azzarda a discutere i risultati della ricerca. Come al solito però, quando si esce dal contesto dei numeri, per arrivare a quello ben poco calcolabile delle cause dei comportamenti umani, si può essere soggetti a critiche. Il fatto che questa ricerca "tenti" di spiegare l'assenteismo femminile, non significa che poi arrivi ad un risultato condivisibile o VERO. Anche se i fini sono nobili. Sarebbe da capire per quale motivo i due ricercatori abbiano ipotizzato la causa ormonale. Solo questo sarebbe da capire. Solo perché le assenze erano cicliche? Ecco, a una donna questa ipotesi non sarebbe mai venuta in mente, cercando di indagare in altre direzioni.
RispondiEliminaIn effetti anch'io trovo un po' stiracchiata la rilevazione della ciclicità sui 28 giorni (nella ricerca), ma semplicemente perché so che sono ben poche le donne in cui viene "rispettata", e quindi questo aspetto sarebbe dovuto essere confrontato con a] la casistica generale (ci sono dei sondaggi demografici in materia) e b] le statistiche sull'uso degli estroprogestinici (regolarizzanti del ciclo). Ciononostante, "alla Occam", l'ipotesi più plausibile per una ciclicità proprio sui 28 giorni pare quella fatta nello studio, che comunque la considera come una delle componenti dell'assenteismo (in senso generico, non dispregiativo) femminile. La scienza si basa più sulla "massima verosimilianza possibile" (c'è sempre un margine di errore) che sulla "verità". In tal senso la sola idea che le donne in età fertile (lo studio dice anche il fenomeno si riduce fuori da questa fascia) possano essere discriminate, in qualsiasi modo, solo per il fatto di avere un "problemino periodico" diventa automaticamente inaccettabile appunto perché si tratta di un problemINO, peraltro non per tutte, non ogni volta e con una caterva di altre accezioni.
RispondiElimina..E questa "scientificamente automatica inaccettabilità", almeno per me, può diventare un argomento inoppugnabile anche in sede normativa.